Omelia della IV domenica di Quaresima (10 marzo 2024 - Anno B)
Il ricordo di te è la
nostra gioia!
È bello questo versetto che la liturgia di oggi ci fa
cantare. Ed è bello associare la gioia del cammino verso la Pasqua ad una
memoria.
C’è una memoria grata per quanto il Signore ha compiuto.
L’invito a ricordare la storia della salvezza è per ripercorrere quanto il
Signore ha fatto per il suo popolo, quanto ha compiuto per la salvezza
dell’uomo.
E le letture di oggi sono ricche di termini che indicano la
delicatezza e la bontà di Dio, che non si stanca.
Il libro delle Cronache ci descrive l’opera di Dio che mandò
“premurosamente e incessantemente
messaggeri” ad indicare una strada di felicità. Ma questo popolo si
incaponisce sulle sue convinzioni, sicuro di possedere in sé la verità, i
criteri di discernimento, nella certezza di essere sulla via giusta.
E sebbene questa ferma convinzione li porti lontano da Dio, sebbene
la “costruzione” di una propria idea di Dio e di religione non stia in piedi,
crollando e collassando rovinosamente come crollarono le mura di Gerusalemme e
il Tempio santo, il Signore non si stanca! Continua a prendersi cura del Suo
popolo perché continui a vivere. Infatti suscita addirittura lo spirito di un “pagano”,
Ciro, perché sia possibile una nuova relazione tra il popolo e Dio. È lo stesso
Ciro che ricorda l’appartenenza, e che invita ad uscire dalla terra di
schiavitù per tornare presso la città santa, il luogo della dimora di Dio: l’invito
ad un nuovo esodo. Sembrerebbe essere contro ogni logica!
Ma è il Signore che conduce la storia, e lo fa con la
creatività che lo caratterizza!
Anche Paolo nella lettera agli Efesini ci ricorda il volto di un Dio ricco di misericordia, che amandoci ci fa rivivere e lo fa per grazia, non perché lo meritiamo. Non sono nell’uomo i criteri e i meriti per una vita piena! È in Dio la sorgente della vita! E ci vuole fede per credere che siamo salvati per grazia! Ci vuole coraggio per accettare di essere debitori di una vita, senza meritarla… ci vuole il coraggio e la libertà del povero che non si vergogna del proprio limite - e neppure del proprio peccato! -, e non si sdegna di ricevere la vita anche da chi sembra lontano da Dio, abbandonandosi all’opera di salvezza che il Signore vuole compiere.
Fare memoria di questo sguardo di misericordia che ci precede e che tutto provvede per la nostra salvezza, è dunque la fonte della nostra gioia, è la via della salvezza, perché ci ricorda non solo che Dio ha agito così nella storia, ma che, così come un tempo, anche ora, oggi, il Signore continua ad agire, ad avere cura di noi! Ed è proprio questo lo scopo di questo esercizio della memoria… che non è poi così semplice, e senza rischi.
San Benedettoci mette in guardia dal rischio della smemoratezza. Il cammino di umiltà, che è il cammino di conformazione a Cristo, comincia dall’esercizio della memoria, dalla fuga dalla smemoratezza… Ed in effetti c’è il rischio di vivere come smemorati anche se si ha a che fare ogni giorno con le cose di Dio!!
Oppure c’è il rischio di vivere l’esercizio di memoria prestando il fianco alla tristezza e alla nostalgia per un passato che, certo!, ha cambiato la nostra vita, ma che ora non c’è più. La salvezza dimora nel passato! Ma questa nostalgia non è l’esercizio di una memoria grata che il Signore ci chiede: crediamo che il Signore continua ad agire come un tempo oppure temiamo che gli ostacoli della vita siano così forti da impedire l’opera di Dio?
Avvolti nelle tenebre di una tristezza per un passato che
non c’è più, potremmo rischiare di essere come Nicodemo, vecchio di giorni che
spera in Gesù una “restaurazione” del tempo passato.
Gesù invece, rivolgendosi a quest’uomo, e riconoscendo in
lui la bontà e l’autenticità della sua ricerca, non lo respinge, accoglie con
bontà il suo desiderio, e lo invita ad un esodo: credere nella luce venuta in
questo mondo, esporsi alla luce, fare la verità. E non lo fa con parole di
consolazione a basso prezzo, come: “vedrai
che prima o poi tutto si sistema”! Il Signore lo provoca e ci provoca a rinascere dall’alto, ad alzare lo
sguardo da terra, quasi a perdere l’equilibrio sbilanciandosi in Dio.
Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo…abbiamo ascoltato! E questo forse perché l’uomo, guardando a Colui che è stato trafitto, guardando a Colui che ha fatto della propria vita dono per la vita del mondo, impari ad alzare lo sguardo dal proprio ombelico, e lo alzi verso Colui che ci salva, verso Colui nel quale possiamo riporre la nostra fiducia. È solo alzando lo sguardo verso il Cielo, che possiamo recuperare la consapevolezza che siamo sotto lo sguardo di Colui che non è venuto a condannare ma a salvare. Non è sotto il nostro sguardo che dobbiamo posizionarci, ma sotto lo sguardo di Dio!
Essere sotto uno sguardo non è mai facile… scatta in noi la paura, la vergogna di essere scoperti nudi, contraddittori (e lo siamo!), che le nostre ambiguità vengano alla luce del sole. Siamo forse abituati ad essere sotto degli sguardi che giudicano o che desiderano possedere con bramosia… oppure siamo noi stessi che guardiamo gli altri e la realtà in questo modo. E l’esperienza di questo sguardo non sano, fa male, inquina il cuore, rende amara la vita.
C’è invece una memoria grata dell’agire di Dio che ci invita
ad alzare lo sguardo, ad aver il coraggio di venire alla luce, per essere amati
per quello che siamo, per ricevere la grazia della consolazione, della
guarigione delle nostre ferite, per credere e fare esperienza che il Signore
Gesù è venuto non per condannare ma per salvare il mondo!
Chiediamo allora al Signore che la Pasqua che ci prepariamo
a celebrare sia occasione per ritrovare questa memoria che getta luce sul
nostro oggi, e ci fa sperimentare la premura di un Dio che ci precede e ci
salva.
fr. Emanuele
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