Omelia del Giovedì Santo (28 marzo 2024)





Con la celebrazione di questa sera entriamo nel Triduo Santo.

Siamo sulla soglia, come forse lo fu il popolo di Israele, quella notte che ci è raccontata dal libro dell’Esodo e di cui la prima lettura ci narra la preparazione ordinata dal Signore.

La preparazione di un rito che segnava la partenza verso una terra promessa, verso il luogo della libertà dalla schiavitù dell’Egitto. E i dettagli minuziosi che sono consegnati – abiti, cibi e gesti – dicono di un popolo in cammino, pronto a partire! Non c’è tempo per adagiarsi e riposare! C’è un grande desiderio del cuore e disponibilità a prendere il largo.  

Così anche noi, come ogni anno, ci troviamo alla soglia di questi giorni santi, con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano! Desiderosi anche noi di entrare in una terra promessa, una terra di felicità, dove le fatiche e le sofferenze delle nostre piccole o grandi schiavitù, nella quale ci siamo infilati o nella quale ci siamo sentiti condotti, non esistano più.

Vivo è il desiderio, ma abbiamo forse le energie e la disponibilità di osare cammini? Non so… tanti potrebbero essere gli stati d’animo, le risorse, le disponibilità… tanti quanti siamo qui questa sera. Eppure ci ritroviamo insieme per celebrare questo Triduo Pasquale.

Forse ci possiamo scoprire un po' meno disponibili a rimetterci in gioco, a osare di prendere il largo. Oppure ci sentiamo di stare “comodi” nella situazione in cui ci troviamo, per cui crediamo non sia opportuno rimettersi troppo in cammino. Ci potrebbe essere nel nostro cuore quel misto di speranza e rassegnazione, di desiderio e di tristezza, di gioia e di fatica che forse abitò il cuore dei discepoli la notte dell’ultima cena.

L’evangelista Giovanni dedica una buona parte del suo vangelo a narrarci di quei momenti! 5 capitoli su 21 (dal capitolo 13 al 17… e avremo la grazia di poterli riascoltare alla fine di questa celebrazione)!! E tra le righe forse possiamo vedere come il gruppo dei discepoli che si stringe attorno a Gesù portava con sé tutta una serie di sentimenti, aspettative, desideri, tristezze, fatiche.

La tensione attorno a Gesù e al gruppo dei discepoli stava crescendo. Gesù era consapevole dell’imminenza della Passione. Giuda aveva già preso la decisione di consegnare Gesù, gli altri discepoli discutevano chi fosse il più grande, Pietro aveva preteso di sapere meglio di Gesù cosa si doveva fare… ma tutti, riuniti dal desiderio di Gesù di celebrare la Pasqua con i suoi discepoli. Lui, desideroso di celebrare questo memoriale della liberazione del popolo che appartiene a Dio, desideroso di condurre i discepoli - a nome di tutta l’umanità - in una nuova terra promessa: il cuore del Padre.

 

E la lavanda dei piedi sancisce questo passaggio. La traversata di un nuovo mar Rosso! Forse più facile da attraversare, perché ridimensionato ad un semplice catino d’acqua, ma non meno impegnativo perché richiede l’umiltà di lasciarsi raggiungere lì dove più ci si vergogna, dove si è più vulnerabili.

 

Non è un caso che venga descritta con minuziosa attenzione la reazione di Pietro: Non è degno del maestro chinarsi ai piedi del discepolo, non è degno del “sacro” avere a che fare con la sporcizia di ciò che è materiale, profano, peccatore!

I piedi sono sporchi così come alcuni ambiti della nostra vita. Pietro, Giuda, Giacomo e Giovanni… così come ciascuno di noi! Ci ritroviamo nel cuore di questa cena, con i piedi sporchi.

 È vero… forse ci siamo puliti per l’occasione con una bella confessione. Ma le pieghe del cuore continuano forse ad esserci e a renderci più vulnerabili al peccato, meno forti nel resistere ad alcune tentazioni (ognuno ha il suo tallone di Achille!), oppure complici di ambiguità e rassegnati nella mediocrità.

Ma tutto questo vorremmo nasconderlo per un momento, mettere sotto al tappeto quel mucchietto di polvere e sporcizia che abbiamo raccolto dalla perlustrazione della casa del nostro cuore! Al momento della festa, dobbiamo essere tirati a lucido, perfetti, immacolati!

 

Invece Gesù ci spiazza! Tira fuori un catino, si cinge di un asciugatoio e comincia a pretendere di lavare i piedi dei suoi. Si mette davanti ad ogni discepolo per mendicare quella parte di cui profondamente ci vergogniamo, quella parte che ci fa tanta difficoltà ad accettare. E insiste e al tempo stesso attende che noi accettiamo di “denudare” i nostri piedi, denudare quelle parti di noi “scomode” ma senza le quali non saremo mai pienamente noi stessi davanti a Dio.

Possiamo entrare nella nuova terra promessa che è il cuore di Dio solo se accettiamo di entrarvi integralmente, con tutte quelle parti di noi, belle e meno belle, edificanti e che destano scandalo…

Desideriamo questa sera - e in ogni momento -  essere davanti al Signore, lasciarci amare, accogliere ma vorremmo farlo in quelle parti degne di stima e di amore. Ma proviamo a fermarci un momento e a pensare… dove sono quelle parti più scomode e che ci fanno problema? Dove sono quelle parti che ci fanno più soffrire, (perché sono ferite che si sono aperte per i colpi che abbiamo ricevuto o che abbiamo inferto)? Dove sono quelle parti di cui ci vergogniamo profondamente o che ci fanno rabbia? Forse le abbiamo dimenticate… le abbiamo nascoste da qualche parte…

Proviamo allora ad andare a recuperare anche quelle parti di noi e portiamole qui, nel cuore di questa celebrazione.

Il Signore ci vuole tutti interi, anche con quelle parti “scomode”… non per giustificarle o per sminuirle, ma per lavarle, per guarirle.

Il Signore ci vuole davanti a Lui nell’integrità della nostra persona, anche se questa integrità rassomiglia ad una accozzaglia di pezzi rotti più che a una colonna granitica.

Nei prossimi giorni contempleremo Gesù abitare quei luoghi di umanità sfigurata: la violenza, il sopruso, l’odio, l’oltraggio, l’indifferenza, la derisione, la morte. Lo contempleremo come fosse un mendicante che va in giro per raccogliere tutti quei pezzi di umanità che destano scandalo e che vorremmo nascondere davanti a Dio… ma che invece abitano in un modo o in un altro anche il nostro cuore. Gesù va in giro a visitare questi “luoghi”, a raccogliere tutti questi pezzi di umanità non perché li approva, ma perché possano essere guardati, e portati davanti a Dio… e perché possano essere impastati in quel pane di cui Gesù è il lievito, in quel pane che Lui – come lo fa non ci è dato di comprendere fino in fondo – saprà trasformare in vita divina.

Il pane che riceveremo questa sera, e ogni volta che ci accostiamo all’eucaristia è segno e promessa di questa Pasqua, nella quale noi siamo compresi, nella quale noi siamo attesi! 

fr. Emanuele
 

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