Omelia per la solennità di Natale - messa della notte (25 dicembre 2024)
Nel cuore di una
notte di inverno, ci troviamo insieme in questa chiesa del monastero di Pra ‘d
Mill per celebrare il Natale del Signore. E forse potremmo chiederci il perché
ci troviamo qui… (questa domanda vale anche per i monaci!). Perché siamo qui?
Perché stare svegli fino a tarda notte? Siamo certo qui per celebrare la
nascita di Gesù… ma entriamo in questa notte ripetendo tutta una serie di tradizioni
e con tutto un bagaglio di sentimenti che abitano il nostro cuore.
Sicuramente la notte di Natale è carica di significati per
ciascuno di noi: carica di ricordi, carica di aspettative, carica di sentimenti!
Per alcuni fare memoria di Gesù che nasce è occasione per ritrovarsi in
famiglia, e trovare riposo nella calda intimità degli affetti. Per altri forse
è questa una notte di lotta tra il desiderio di trovare pace e dimora nel cuore
di qualcuno e la constatazione di una vita che spesso si rivela una faticosa
battaglia contro il senso di solitudine o contro il conflitto che in un modo o
in un altro pervade l’esistenza di ogni uomo.
Ma in fondo nel cuore di questa notte c’è spazio per ogni tipo di sentimento… perché il cuore di questa notte è possibile asilo per ogni esistenza, travagliata o serena che sia. Perché nel cuore di questa notte c’è una Parola di salvezza che è rivolta a ciascuno di noi.
Ed è per questa Parola abbiamo mosso i nostri passi… come
mendicanti di questo nutrimento per la vita, nutrimento che non sazia i nostri
stomaci ormai pieni, ma che raggiunge il desiderio del nostro cuore, che solo
Dio può colmare… mendicanti di una Parola della quale sentiamo di avere
bisogno.
Una Parola che ci dice innanzitutto che non siamo soli! Nel cuore di ogni notte, il Signore si rende presente come una piccola vita che umilmente e discretamente si fa spazio. Quello spazio possibile e quello spazio che riusciamo ad offrirgli… anche fosse lo spazio di una capanna fatta di quattro pezzi di legno posta ai margini delle nostre esistenze.
Eppure in questi luoghi, dove c’è un minimo spazio di
disponibilità accade qualcosa che ci desta dal nostro torpore, qualcosa che,
come l’angelo ai pastori, ci dice: Alzati,
solleva il capo e contempla! Il Signore, la fonte della Vita, è qui!
E siamo invitati ad osare un cammino, a muovere dei passi
verso un “oltre” sconosciuto.
Mi colpisce che, quando nella storia della salvezza accade qualcosa di grande, c’è sempre la presenza di “angeli del Signore”. Messaggeri che appaiono in momenti rilevanti, invitando i loro interlocutori a fissare lo sguardo su qualcosa che non è di immediata comprensione, di fissare lo sguardo con un atteggiamento contemplativo… e avviene in modo sempre uguale: un angelo appare, invitando a non temere. Annunzia la buona notizia e mostra un segno.
Lo abbiamo ascoltato questa sera come messaggio rivolto ai
pastori… lo ascolteremo a Pasqua nel messaggio rivolto alle donne quando l’angelo
annuncia la risurrezione di Gesù.
Questa notte sono indicate una mangiatoia e delle fasce, a
Pasqua un sepolcro vuoto e i teli posati da parte.
Dunque quando compare un angelo c’è la rivelazione di qualcosa di importante per noi. C’è una terra santa nella quale si è invitati ad entrare e questa terra santa è il mistero di un Dio che si fa uomo per noi.
Ma sebbene ci troviamo a contemplare questo mistero del Natale
da oramai tanti anni, dobbiamo guardarci dal rischio di pensare di averne già
compreso tutto! Dobbiamo ancora imparare…
perché questa Parola vuole raggiungerci oggi, lì dove siamo, per allargare i
nostri orizzonti!
Dunque la terra dove stiamo entrando questa notte è terra
santa… bisogna entrare in punta dei piedi!
Contempliamo una nascita apportatrice di salvezza! Il
Salvatore del mondo entra nella storia dell’uomo, ma come entra?
Il profeta Isaia ci descrive la promessa di questa incarnazione con parole grandiose: una luce sfolgorante, un giogo spezzato, un bimbo, un figlio che, come grande sovrano, porta con sé degli appellativi: questo bimbo è il Consigliere ammirabile, il Dio potente, il Padre per sempre, il Principe della pace.
Una descrizione che evoca grandezza, potenza, forza, carisma.
Ma il rischio è quello di leggere questi termini con la logica che ci appartiene,
una logica forse tanto, troppo umana… o meglio mondana.
Invece la realizzazione di questa promessa avviene in modo
tanto lontano dalla logica che ci abita nel cuore.
Questo “Consigliere
ammirabile” nasce ai margini di una piccola cittadina della giudea, questo “Dio potente” si mostra nella forma della
piccolezza di un neonato. Questo “Padre
per sempre” si mostra infante e bambino. Questo “Principe della Pace” sembra dover sottostare ad ingiustizia, in una
situazione di un popolo sottomesso alle leggi di un impero straniero, e nei
primi mesi della sua vita, è costretto a trovarsi migrante per terre
sconosciute a causa della gelosia di un re folle.
Dov’è dunque quella gloria di Dio di cui sembra parlarci Isaia? Dove si manifesta? Dove prende dimora il Signore, Dio dell’universo?
Nella fragile carne di un neonato, nella periferia della
società, nella precarietà e nell’insicurezza…
C’è forse anche per noi l’illusione di pensare che il compimento e il senso di una vita dimori nella riuscita, nel successo che trova riscontro nei numeri, nei traguardi raggiunti, nelle approvazioni delle folle. Credendo a quella parola menzognera e pericolosa che solo una vita fortunata sia una vita benedetta dal Signore.
Pur frequentando quotidianamente i Vangeli e le Scritture,
nel nostro cuore continua ad abitare la seduzione della “grandezza”, del “successo”…
che forse non si presenta in modo così grossolano ma si rende presente troppo spesso
con argomentazioni sottili che inquinano il cuore, facendoci perdere di
lucidità: una minima difficoltà o incidenti di percorso rischiano di essere
letti solo come una via che è cattiva, un successo o una consolazione solo come
conferma di un cammino buono.
Invece nel cuore di questa notte la Parola, il Verbo fatto carne viene a ricordarci che Lui è presente in ogni piega della vita, qualunque essa sia, e se deve esserci un luogo che Dio predilige è il luogo della piccolezza.
Dio prende dimora nel piccolo… nell’infinitamente piccolo. Nel
fragile, nell’infinitamente fragile. Nel vulnerabile… nell’infinitamente
vulnerabile.
È questa la buona notizia che viene silenziosamente gridata nel cuore di questa notte: Dio abita questa vita, quella che ciascuno di noi conduce, perché Dio che si fa bambino prende dimora in ciò che è umano, in ciò che è piccolo, in ciò che è silenzioso, in ciò che è marginale, in ciò che non sembra imporsi.
Ma per contemplare questa presenza, bisogna avere occhi capaci di vedere.
Siamo qui questa sera per celebrare il mistero dell’incarnazione
di Gesù! Siamo qui perché crediamo che Dio abita questa storia e la nostra
storia. Ma siamo qui anche per chiedere al Signore la grazia di avere occhi capaci
di vedere.
Faccio allora mie le parole di Origene che ho trovato in
questi giorni e che le raccolgo come invito, come preghiera e che faccio mie
anche come augurio
Possa il Signore Gesù toccare i nostri occhi per essere capaci di guardare non ciò che si vede, ma quello che non si vede. Possa aprirli questi occhi perché contemplino non il presente ma l’avvenire (ciò che ci sta davanti). E possa donarci gli occhi del cuore con cui possiamo vedere Dio attraverso lo Spirito.
fr. Emanuele
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