Questo è il monaco, cioè colui che non si salva da solo, ma che regala e dispensa “ali”... intervista a
Fr AlbertoMaria OCist
Fratel
Alberto Pais quando è nato e dove?
Sono nato in
un bel giorno di primavera nella splendida e soleggiata Liguria. Per la
precisione nel suo capoluogo Genova, nel mese di maggio del 1985.
I suoi
genitori e la sua famiglia?
Tuttavia sin
da subito non ho solcato il mare della vita tutto da solo. No! Fortunatamente
ho potuto esordire sulla scena di questo mondo in buona compagnia, e l’ho fatto
legando la mia vita alla relazione con mia sorella gemella Tatiana, che oggi è
una bellissima donna in carriera come ingegnere navale. Sono grato dei miei
genitori, della loro splendida storia d’amore. Di un giovane marinaio Roberto e
di una splendida e intelligente ragazza Orietta che sin dalla sua adolescenza
aveva dovuto sopperire alla prematura morte di sua mamma. Si sono sposati
giovanissimi e poco più che ventenni, con gli occhi grandi dei giovani e i
cuori caldi di passione hanno fatto di tutto per darci una vita dignitosa e carica
di gusto. Intraprendenti e non dandosi mai per vinti ci hanno trasmesso un
grande senso di responsabilità, e una ragguardevole dose di forza vitale per
affrontare le molte pieghe che la vita prende nel suo naturale fluire. Mia
madre fu tra le prime donne ad essere assunte come operatrice ecologica e dà
che ne ho memoria lo ha sempre fatto e si è spesa in esso.
I giochi da
bambino?
Ho giocato
tanto da bambino e l’ho potuto fare nella natura, nel giardino e nel bosco che
c’erano dietro la nostra casa. Infatti sin dalla nostra nascita papà e mamma
hanno fatto di tutto per uscire dalla città per farci vivere nel verde e così
hanno comprato una dimora proprio su uno dei passi più importanti della
Liguria, il passo dei Giovi. Sono cresciuto proprio a cavallo del passo, e
ripensandoci oggi lo trovo geniale e stimolante come esperienza. Ho giocato
tanto con mia sorella, anche se siamo stati un po’ cane e gatto, ma grazie a
lei e alla sua esuberanza ed espansibilità ho combattuto la mia timidezza e la
mia riservatezza. Ci siamo poi trasferiti altre volte nei comuni lì vicino e
così ho assaporato il fatto di crescere in piccoli paesi dove si sa tutto di
tutti e dove i giovani si conoscono tutti creando così vere compagnie di amici
che a volte durano tutta la vita. Ho giocato tanto e poi dopo aver debuttato
giovanissimo nella ginnastica artistica, mi selezionarono per praticare nuoto
in modo agonistico. E così tra scuola e nuoto e poi un po’ di pallanuoto i
giochi mi hanno portato a scoprire tanto di me e di ciò che ci circonda.
Cosa sognava
di fare da bambino?
Sono stato
uno di quei bambini che a scuola viene sempre rimproverato perché distratto da
ciò che è fuori dalla finestra della classe. Da bambino sono stato ossessionato
dal volo, dal poter volare alto nel cielo. I miei sogni erano costellati da
esperienze di volo, e non parlo di aerei, ero io letteralmente a volare.
E poi che ha
fatto?
Finite le scuole
medie quel sogno che mi abitava ha preso corpo e così dopo aver parlato con un
pilota dell’Alitalia del mio paese che qualcuno aveva fatto in modo di
presentarmi, sono partito per studiare all’ITAER di Forlì. Quegli anni di
superiori sono stati intensi e hanno chiesto più del dovuto ai miei genitori in
materia di finanze. Ho volato almeno per 23 ore ai comandi di un piccolo
aeromobile scuola. Ma quelle poche ore mi hanno impresso un eccezionale gusto
per le cose che mi circondano.
La chiamata
come è venuta fuori?
Non credo per
quel che mi concerne che esista una disarcionata sulla via di Damasco. Dio era
presente nella mia storia sin da piccolo quando a soli 5 mesi mio papà
camminando con me in braccio per Genova si imbatté nella papamobile di san
Giovanni Paolo II che mi diede la sua benedizione. Tuttavia dico sempre che la
chiamata se c’è è sempre riconoscibile nella propria storia e che lo Spirito
Santo come bravo tessitore aiuta sempre coloro che sentono tale chiamata a
riconoscere i passi e i segni della presenza di Dio in loro, è però certo che
se narrati agli altri non hanno la stessa forza significante. Ma il segno e la
svolta che mi hanno fatto voltare pagina e che mi piace raccontare è stato
quando alla fine delle superiori ho intrapreso la strada dei concorsi per le
accademie militari, cioè quella aeronautica di Pozzuoli e quella Navale di
Livorno. Sono concorsi duri e molto selettivi. Per potervi partecipare bisogna
anche presentare alcuni referti di esami medici particolare. Uno di questi era
un esame di ecocardiogramma, e che per motivi di tempo dovetti fare
privatamente. Beh, durante la visita la dottoressa che mi visitò d’improvviso
si fermò e mi chiese il motivo di tale esame. Io le risposi che mi serviva per
accedere ai concorsi dell’accademia militare aereonautica. Lei mi squadrò e a
brucia pelo mi chiese: “ma se ti dicono di andare a buttare una bomba tu cosa
fai?” in qualche modo le risposi, ma quella domanda mi rimase in mente per
molto tempo, passarono i mesi e finalmente giunsi al concorso. Per farla breve
giunse il momento del colloquio, un ufficiale psicologo dell'Accademia militare
mi chiese: “Se le dico di andare a buttare una bomba: lei ci va?”. Beh! quel
giorno quella stanza per me si è dilatata all'inverosimile, volevo volare non
uccidere, e così le domande che fino ad allora avevo procrastinato mi chiesero
di essere abitate. Iniziai un corso di lettura di sacra scrittura e poi iniziai
a scrivere icone russe”.
Aveva una
fidanzata? Se sì, come ha preso la sua scelta?
Ho avuto
tante storie con ragazze bellissime e tutte speciali e uniche a loro modo e
tutt’oggi mi piace ricordarle tutte. Mi hanno reso ciò che sono e tutte hanno
saputo impreziosirmi a loro modo. Oggi la gioia mia più grande e saperle e
vederle sposate e con prole al seguito. Vivere una relazione amorosa mi ha
aiutato tanto a scorporare per sempre l’amore dal possesso! Infatti quando si ama
una persona, non la si “possiede”, non esistono termini come “sei mio” o “sono
tuo”. Questa intuizione oggi è per me alla base del mio voto di castità, o
meglio conversione dei costumi. Crescere con una sorella gemella credo che mi
abbia conferito un modo del tutto speciale di comprendere l’universo femminile
e per questo ne sono grato al Buon Dio. Per capirci però, anch’io ho sognato il
mio piccolo grande amore e so per certo di aver rinunciato ad una grande storia
d’amore, ma oggi sono consapevole che quell’amore per me ha assunto confini e
sfide molto più grandi.
E i suoi
come l'hanno presa?
I miei
genitori non mi hanno ostacolato nel mio cammino, anzi li dovrò ringraziare per
sempre per avermi lasciato andare. Certo è che per qualsiasi genitori non è
facile sapere e accettare che non ci saranno nipotini per casa nella loro
vecchiaia. Pensate che una volta mia madre da chi le chiedeva che fine avessi
fatto, si è sentita ribattere: “meglio così che drogato”. Il dolore più grande
l’ho provato nel perdere tutti gli amici. Nessuno ha condiviso la mia scelta e
mi hanno considerato come un fallito o come qualcuno che è caduto in disgrazia,
o vittima di qualche patologia.
La prima
volta che è venuto a Pra ‘d Mill… Quale impressione?
Mi hanno
portato a Pra ‘d Mill e a farlo è stato una persona speciale che oggi è
sacerdote. Era un giorno molto freddo di febbraio del 2009. Mi ricordo che
salendo la strada era piena di neve e tra me e me pensai: “ma Alberto dove stai
andando?” Quei pochi giorni che trascorsi in monastero furono così strani e
senza tempo. Complice il freddo, complice la mia giovane età, e quel ritmo di
vita così diverso da tutto quello che conoscevo, assaporai un modo nuovo di
vivere e bastò per caderne affascinato. Ma poi feci il primo colloquio con P
Cesare Falletti e in lui trovai uno dei pochi adulti credibili che abbia mai
incontrato. Al termine del colloquio mi disse: “se sei pazzo lo vedremo,
intanto tu resta per il tempo che vuoi” e così lo presi in parola. Sciolse con
poche parole la pressione che il mondo butta sulle spalle dei giovani e mi
regalò del tempo prezioso per pensarmi e conoscermi.
E’ dura la
vita di un monaco cistercense? Alzarsi nel cuore della notte le pesa?
Per prima
cosa è utile ribadire che per quello che ci riguarda nella nostra vita non
esiste alcuna costrizione. Non siamo stati messi al confino e non abbiamo
subito alcuna restrizione contro la nostra volontà. Certamente ciò che viviamo richiede
un continuo sforzo di adattamento e raramente si raggiunge un automatismo del
movimento, cioè la fatica ci accompagnerà sempre nel nostro viaggio. Alzarsi
presto assume così il tratto di una sorta di allenamento al fine di raggiungere
una forma. Abitare e attendere il giorno nuovo che sorge rigenera la speranza,
e trasforma la veglia da vigilanza (cioè lo stare sempre in difesa) ad attesa
(cioè vivere con stupore ciò che verrà). La nostra vita non è dura, sono ben
altre le vite dure che alcuni nostri fratelli e sorelle quotidianamente
affrontano in tutto il mondo. È una vita semplice, fatta di pochi movimenti, ma
è una vita che non è vissuta “di istinti” e “d’istinti”, anzi è una vita
sapiente e inclusiva. Io ho imparato questo movimento dai miei genitori che per
molti anni quando eravamo piccoli si dividevano gli orari di lavoro in modo
particolare. Mia mamma aveva preso a lavorare come spazzina nel centro storico
di Genova e lo faceva di notte rientrando a casa per le 2 del mattino! Oggi
ringrazio Dio di averla preservata dal male. Papà invece per molti ha
consegnato il latte il mattino molto presto. È mio padre che mi ha insegnato ad
“attendere”, avreste dovuto vedere in che modo e con che intensità per anni (le
comprò uno dei primissimi cellulari per stare più tranquillo spendendo un
milione delle vecchie lire) ha atteso il rientro a casa di sua moglie.
La sua
giornata tipo … orari e cosa fa
La mia
giornata è scandita da 7 ore di preghiera e l’orario va dalle 4 del mattino
alle 20 di sera. In comunità mi occupo dei lavori pesanti, e soprattutto della
manutenzione del verde, e poi nei piccoli o grandi lavori di manutenzione della
casa cercando di aggiustare quel che mi è possibile. Ma amo leggere e ascoltare
lezioni delle materie più disparate. Mi diletto anche nel lavorare un po’ il
cuoio e la pelle.
A chi fa
fatica a capire una scelta come la sua, che dice? E’ un isolarsi dal mondo il
vostro?
L’incomprensione
è giusta, la nostra vita si basa su una regola scritta e tramandata da 1500
anni! È stata oggetto d’infinite interpretazioni e altre tante applicazioni. Le
persone hanno tutto il diritto di dubitare e di essere perplesse a tal
riguardo. Questo però non toglie alla vita monastica la sua forza intrinseca,
il germe di vita sapiente e bella che porta con se. La vita monastica ha perso
vigore e forze negli ultimi decenni e contrariamente a quanto si pensa non
esiste per difendere Dio o per renderlo presente agli uomini, esiste perché ci
sono uomini che si curano di abitare la domanda su Dio. Oggi sono tanti gli
uomini che sono isolati veramente e che sono ammantati di una solitudine
mortifera e molti di loro vivono nelle città. Noi non siamo isolati, siamo prossimi
al silenzio di tutti gli innocenti di questo mondo, a tutti coloro che non
hanno più voce e che non l’hanno mai avuta. Questo è il monaco, cioè colui che
non si salva da solo, ma che regala e dispensa “ali” a tutte le attese e alle
aspirazioni degli uomini affinché possano prendere il volo e innalzarsi fino al
cielo.
Cosa si deve
fare per essere un buon monaco cistercense?
Buono o
cattivo, bello o brutto, al monaco non dovrebbe interessare. Non è il fine
estetico che accompagna il monaco nel suo vivere. Tuttavia per essere un buon
monaco certamente deve essere consapevole e deve conoscere la storia che lo
precede. Deve sfuggire agli errori passati e deve essere teso e pronto a
riconoscere i segni dei tempi. Siamo molto diversi dai nostri padri che ci
hanno preceduto nei secoli e funzioniamo diversamente da loro. Un buon monaco
allora sa trarre cose nuove dalle vecchie e sa vedere nel nuovo che avanza no
una minaccia, bensì una nuova opportunità per avanzare verso una umanità
migliore. Il buon monaco non deve dimostrare niente, deve vivere “l’essere” e
“l’esserci”, deve lavorare in modo solidale con tutti gli uomini e deve
guadagnarsi il pane quotidiano allo stesso modo dei suoi fratelli che sono nel
mondo. Non vive di rendite o di agevolazioni o sconti alcuni.
Chi arriva
da voi e che cerca?
Al monastero
arrivano tante persone, tutte con la loro storia e i loro motivi. Al monastero
di solito non si arriva per “turismo” perché nel farlo non ci sarebbe alcun
motivo, dato che non c’è nulla da vedere! Non ci sono opere d’arte o
architettoniche di alcun rilievo. Dicevo che al monastero arrivano tante
storie, perché per noi monaci “l’accoglienza” parte sempre dall’ascolto ecco
perché raramente rispondiamo alla domanda di chi ci chiede come stiamo. A noi
importa accogliere la vita di chi ci sta di fronte. E insieme percorriamo un
piccolo tratto di vita ecco perché spesso, quando il tempo lo permette, i
colloqui con gli ospiti si fanno camminando per i boschi. Attenti infondiamo
attenzione a coloro che ci raggiungono e così scoprono come cambiare
prospettiva nella loro vita.
Cosa è
importante per lei?
Per me resta
importante prima come giovane e poi come monaco che la vita e quindi la storia
possano essere percepite come in divenire e non come sfacelo di realtà. Cioè il
bello e il migliore non ci ha preceduto e ora invece tutto è male o brutto. Io
e miei fratelli lottiamo allo stesso modo di chi ci ha preceduto nella storia e
come loro camminiamo nella storia che viene. Siamo costruttori di pace e esercitandoci
nell’arte del discernimento diventiamo veri figli. Il monaco è testimone che la
vita spirituale non è scissa nell’uomo. Non esiste un “fare” e un “essere” che
siano diversi o antagonisti fra loro. Esiste la vita ed essa può essere
orientata “al di più” che abita tutto e tutto muove. Come giovane monaco resto
attento alla solitudine di molti giovani che sono schiacciati dall’ansia di
prestazione di un mondo che ha fatto del “successo” la sua legge della giungla.
Poco più ventenne ho sentito l’urgenza di vivere in modo alternativo e per
questo sono stato tacciato di essere uno “strano”, uno “strambo”, un fallito.
Tuttavia so, che quel ragazzo che ero ha potuto fare quello che ha fatto perché
oggi esiste l’uomo che sono, ciò che ho vissuto in questi anni in monastero non
è di più o di meno di quello che avrei potuto vivere nel mondo contemporaneo.
Per me conta solo “l’intensità” con cui l’ho vissuta! e ai giovani vorrei
parlare di questo. Non sono le tante esperienze o il saltare come canguri a
destra e sinistra a fare di noi uomini più validi o felici.
La morte:
che c’è dopo?
Il monaco ha
un rapporto molto speciale con la morte. Non la sposta dai suoi occhi e non la
ricolloca in qualche anfratto della sua coscienza. Siamo sempre soliti a
pensare a quello che verrà in termini di tempo, dato che l’esperienza che
facciamo come uomini è proprio quello della manca di tempo (che sembra non
bastarci mai, tanto che abbiamo inventato l’elettricità), forse però potremmo
pensare che ciò che ci attende sarà declinato in termini di “spazio”. Avremo
finalmente lo spazio necessario per “essere” quello che dobbiamo “essere”!
questa è la buona notizia. Le nostre personalità non sottrarranno più spazio ai
nostri fratelli o sorelle ei conflitti saranno solo un ricordo.
Il mondo di
oggi le piace?
Il mondo mi
piace eccome! Tuttavia non posso non sentire il grido del bisogno di amore che
c’è! Deve morire la diffidenza, dobbiamo smettere di pensare all’altro come un
usurpatore, come un ladro di beni e di possibilità. Il mangiarci a vicenda ci
sta togliendo sapienza e forza! L’averci guadagnato e l’aver accumulato ha
fatto di noi cani rabbiosi pronti a tutto. Il monachesimo non è la cura ma è
come l’antivirus del PC, lavora in silenzio e sommesso a difesa di tutto il
sistema. Non è una polverosa biblioteca o un conservatorio di musica classica,
è piuttosto una officina dove si lavorano i materiali più disparati. Torniamo a
parlare di amicizia ai giovani!! Perché
è questo che forma la vita monastica con la sua sapienza. Forma amici di Dio.
Felice della
scelta fatta?
Alla domanda
sulla felicità molto spesso glisso. Nel rispondere ci voglio troppe premesse e
di solito son queste che ci rendono infelici. Cioè siamo infelici perché il
mondo, la vita, non ci sembrano mai essere all’altezza delle premesse! E allora
si entra in un circolo vizioso, fatto di frenesia. Dove si finisce con il dover
rincorrere tutto per poi diventarne schiavi! Assuefatti da quel movimento
spasmodico generiamo per noi personaggi finti, maschere che indossiamo in base
alla convenienza. Il monaco cerca unità nell’”essere” e nel “vivere”. Io mi
ritengo felice non perché ho raggiunto un risultato, ma perché amo il processo
con cui ci sto riuscendo. Non è una cura che funziona! Ma è piuttosto la dose
giusta di vita adatta a me. Infine credo che la felicità sia sempre leggibile
negli occhi belli di chi, vivendo nel bene, ha visto e ammirato la forza
generatrice di quest’ultimo, al contrario quando si incrociano quelli di chi ha
ingannato si resta sempre e solo turbati.
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