Omelia per la I domenica di Avvento (1 dicembre 2024 - Anno C)
“Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore
fra voi e verso tutti, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella
santità, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi”.
È l’augurio che san Paolo fa alla comunità di Tessalonica,
inviando loro la lettera di cui abbiamo letto un pezzo nella seconda lettura di
oggi. L’amore tra fratelli e verso tutti, sostiene Paolo, rende saldi i cuori,
vale a dire non vacillanti, stabili, fermi.
Perché, viceversa, il cuore può essere anche assalito da una
tale paura da arrivare ad arrestarsi: “gli uomini moriranno per la paura e
per l’attesa di ciò che dovra accadere sulla terra”, abbiamo ascoltato nel
vangelo. In realtà qui l’ammonimento è a non lasciare appesantire il cuore,
“in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita”. Antidoto a questi
rischi sono la vigilanza e la preghiera: “Vegliate in ogni momento
pregando”.
Per concludere questo rapida ripresa delle letture di oggi,
Geremia annuncia che arriveranno giorni in cui “Gerusalemme vivrà
tranquilla”, giorni in cui i cuori potranno trovare pace, perché il Signore
realizzerà le promesse di bene che ha fatto.
Il filo conduttore di queste tre letture, così diverse nelle
disposizioni d’animo possibili, è la venuta del messia, ancora indefinito per
Geremia -un germoglio della casa di Davide- ma che prende il titolo di Figlio
dell’uomo per Luca e il nome proprio di “il Signore nostro Gesù” per Paolo.
È il modo con cui ci rapportiamo a lui che determina lo
stato del nostro cuore:
•
può essere un cuore pacificato
perché fiducioso nelle promesse di bene che stanno per realizzarsi con la sua
venuta,
•
o un cuore sereno perché confortato
dall’amore che circola tra fratelli e verso tutti,
•
oppure un cuore terrificato dal
dilagare del male sulla terra.
Lo stato del cuore non dice ancora
la sorte, l’esito di questo incontro: dice però il modo con cui possiamo
giungere all’incontro. La fede e la speranza nella realizzazione delle promesse
di bene e l’esercizio della carità con gli altri uomini predispongono,
preparano un cuore sereno, calmo, confidente; tutto ciò che invece tenta di
allontanare, far dimenticare, distrarre dai veri beni finiscono per affannare
il cuore, angosciarlo. Ma perché?
Nel suo discorso programmatico Gesù,
dopo aver dichiarato alcuni beati, aggiunge: “Infelici voi ricchi, perché
avete già ricevuto la vostra consolazione”. Ancor più che una condanna
della ricchezza, forse Gesù vuole incoraggiarci a orientare la nostra
attenzione alle vere consolazioni, a quei beni che non andranno perduti, che
potremo ancora portare con noi il giorno in cui ci presenteremo davanti a Lui.
In quel giorno non lo vedremo più nelle vesti del povero, dell’affamato, del
forestiero, del malato, ma in quelle del giusto giudice che eserciterà il
giudizio e la giustizia, e l’amicizia dei poveri è un bene che non andrà perso
neanche dopo la morte.
•
Se le ricchezze non ci avranno
distolto dal cercare i veri beni, diversamente da quell’agricoltore tutto
affannato a costruire nuovi granai per riporre tutto il suo raccolto, senza
considerare l’avvicinarsi di quel giorno;
•
se le ricchezze non ci avranno fatto
distogliere gli occhi dai bisogni dei poveri, dalle sofferenze degli oppressi e
degli afflitti, come il buon samaritano che decide perfino di farsi garante
delle spese future per l’ospitalità e la cura del malcapitato;
•
se le ricchezze non prenderanno nel
nostro cuore il posto che spetta a Dio, riponendo la nostra fiducia e sicurezza
in Lui anziché nel denaro -mammona significa ciò su cui si può contare, come la
parola amen-;
allora
potremo guardare a quel giorno con il cuore pacificato, sereno, risollevando e
alzando il capo, perché la nostra liberazione è vicina.
Ma un cuore
pacificato necessita di una purificazione. “Beati i puri di cuore, perché
vedranno Dio”. Certo, la purezza di cuore rimane qualcosa di lontano, di
superiore alle nostre forze; qualcosa che però Dio vuole darci: “Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito
nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne (Ez
36,26)”. A noi il compito di prepararci ad accogliere questo dono,
ad esempio con la splendida invocazione del salmo 50: “Crea in me, o Dio un
cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non non respingermi dalla tua
presenza e non privarmi del tuo santo spirito”.
Quando un cuore semplice ha
intrapreso la via del bene, allora la visione di Dio non sarà più motivo di
sconvolgimento ma di intima gioia, incontro non più da temere ma da desiderare,
come sostiene Guerrico d’Igny nella conclusione di un suo sermone per
l’Avvento:
“è veramente
meraviglioso e amabile, quando il Dio-amore penetra nei sentimenti dell’anima
amante, quando lo Sposo abbraccia la sposa in unità di spirito e questa è
trasformata in quella medesima immagine per la quale come in uno specchio
contempla la gloria del Signore. Quanto sono beati coloro la cui ardente carità
ha già meritato di ottenere questo privilegio. Ma quanto sono beati anche
coloro la cui santa semplicità può sperare di ottenere un giorno il medesimo
privilegio. E certo, quelli, dal frutto del loro amore, ricevono già un
sollievo nella fatica, mentre questi, forse con tanto maggior merito quanto
minore è per ora la consolazione, portano il peso della giornata ... e
attendono la venuta della ricompensa. Per noi dunque, fratelli, che non abbiamo
ancora la consolazione di un'esperienza tanto sublime, per mantenerci pazienti
fino alla venuta del Signore, almeno ci sia data fino ad allora la consolazione
di una fede sicura e di una coscienza pura, pronti a dire, come Paolo, con
tanta felicità e fiducia: So a chi ho creduto, e sono convinto che è capace di
conservare il mio deposito fino a quel giorno, ovvero fino alla venuta della
gloria del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, a cui è la gloria nei
secoli dei secoli. Amen.[1]
fr. Amedeo
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