Omelia per la solennità di Cristo Re (24 novembre 2024)
La Passione secondo Giovanni, al di là della sua precisione storica nel descrivere gli eventi narrati, è in realtà un cammino verso la glorificazione gloriosa di Gesù. Più volte viene proclamato Re nel corso della narrazione. Addirittura questo titolo nel vangelo di oggi viene commentato dall’autorità di Roma, nella persona di Ponzio Pilato, che scriverà sulla Croce in tre lingue: “Gesù il Nazareno, Re dei Giudei”. Abbiamo sentito questa settimana la parabola delle mine in Luca, dove il padrone parte per un paese lontano (Roma) per ricever il titolo di Re. E qui l’autorità romana mette questo titolo in cima alla croce, che per Giovanni è proprio il trono regale di Gesù, alla luce del verbo “innalzare”: “quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me!”, e il cartiglio scritto in greco, ebraico, latino ha proprio questo significato, come ci ricorda la seconda lettura: “Ecco, viene sulle nubi e ognuno lo vedrà: anche quelli che lo trafissero e tutte le nazioni della terra si batteranno per lui il petto”. E alle rimostranze dei farisei per quel titolo messo sulla croce Pilato risponderà “Quello che ho scritto ho scritto!”, un’affermazione implicita della regalità di Gesù.
Se al posto della penna l’evangelista S.
Giovanni avesse avuto in mano tavolozza e pennelli per dipingere la scena della
Crocifissione di Gesù non avrebbe senz’altro ripetuto il quadro dipinto dagli
altri evangelisti, con uno sfondo oscuro e con l’accentuazione delle sofferenze
fisiche e morali di Cristo, ma avrebbe scritto un’icona con lo sfondo d’oro,
per accentuare la gloria del Crocifisso, e il suo Crocifisso sarebbe rivestito
dei paramenti sacerdotali e della porpora regale, avrebbe gli occhi aperti e la
corona in testa, e dalla sua bocca uscirebbe lo Spirito Santo, perché Giovanni
“concentra” sulla croce morte, risurrezione, ascensione e pentecoste. Dal suo
fianco scaturirebbe acqua e sangue, uno zampillo che si unirebbe al fiume che scaturisce
dal Tempio, nella visione del profeta Ezechiele, che sarebbe sullo sfondo,
fiume che dove arriva risana. Maria e Giovanni sotto la croce
rappresenterebbero la Chiesa che riceve il dono dello Spirito e i due
sacramenti fondamentali: il Battesimo e l’Eucaristia, simboleggiati dal sangue
ed acqua che sgorgano dal costato trafitto del Salvatore, perché il Corpo di
Cristo è il vero tempio da cui scaturisce la salvezza per tutti.
la Croce è il suo trono, oltre che essere
altare del suo sacrificio e talamo della sua unione con la Chiesa. I suoi
ornamenti regali sono le sue piaghe, indossa una corona di spine, è nudo e non
rivestito di stoffe preziose, i suoi abiti sono stati divisi e tirati a sorte,
il suo potere è un amore che porta la sua kenosi fino all’estremo: quello di
amare fino alla fine, senza risparmio, è vittima dopo essere diventato nostro
fratello, nostro servo, e anche nostro cibo. E tutto questo è il cammino verso
la sua incoronazione di re dell’universo, come Luca ci dice nel brano dei discepoli
di Emmaus “Stolti e tardi di cuore nel credere all’insegnamento della
Scritture! Non bisognava che il Cristo soffrisse tutto questo per entrare
nella sua gloria?”
Forse è questa la teologia sottostante alla
celebre frase di S. Bernardo: “Si vergogni chi ostenta lusso, eleganza e
mollezza sotto un Capo coronato di spine!”. Non è una semplice polemica contro
lo sfarzo liturgico di Cluny, e nemmeno verso il potere e il prestigio che
godevano i cluniacensi al suo tempo. Anche i “poveri di Cristo” dei monasteri
cistercensi potevano cadere nella stesso inganno se il loro cuore non si fosse
mantenuto spoglio e disadorno come i loro edifici per poter essere aperto
totalmente alle “Visite del Verbo”.
E’ un richiamo forte anche per noi oggi,
soprattutto nella situazione di incertezza e paura che tutti stiamo vivendo per
le guerre in atto e le contraddizioni presenti nella nostra società attuale,
che ci mette sotto gli occhi la nostra fragilità e che mostra quanto sia
assurdo il delirio di onnipotenza dell’uomo contemporaneo, basato più sulla
ricchezza, sul prestigio e sul potere che sulla fratellanza e la
condivisione; sull’apparire più che
sull’essere, sul dominare e sfruttare
più che sul servire e sul donarsi amando “fino alla fine” come Cristo nostro re
per il bene di tutti.
E’ anche quanto ci ricorda il Papa
nell’Enciclica “Fratelli Tutti”, e che S. Giovanni della Croce ribadisce nel
suo celebre detto: “alla fine della vita saremo giudicati sull’amore”; il
giudizio non si baserà altro che sulle opere di misericordia, sulla carità che
non verrà mai meno. Bisogna dunque amare sino alla fine Dio e gli uomini: Mai
Dio senza l’uomo, mai l’uomo senza Dio, perché il Cristo re, nostro modello, è
il Dio fatto uomo, colui che per primo ha fatto lo stesso, per cui a pieno
diritto poteva darci il suo comandamento nuovo: Amatevi come io vi ho amato!”
Si confrontano qui la sapienza umana con quella di
Dio, e si capisce la frase detta da Gesù a Pilato: “Il mio regno non è di
questo mondo”: La regalità umana dice “salva te stesso”, quella di Gesù salva
tutti donando se stesso fino in fondo. La sapienza di Dio è altra! Il Dio che
conoscono i capi del popolo non può “perdersi”: se non si salva non è il messia
e non può salvare nessun altro! E' anche quanto gli suggerisce il “cattivo”
ladrone in Luca. Questo è un ideale a nostra immagine, non è il vero Dio, ma
una nostra proiezione. È la
logica delle tre tentazioni di satana nel deserto che ritorna sulla bocca dei
sacerdoti e dei capi del popolo, e anche
su quella di Piero, quando vuole allontanare da Gesù la sofferenza e la Croce:
“ Pensa a te stesso, usa le cose per te, stupisci per obbligare a credere,
adorami e sarai re, ricchissimo e potente.”
Il vero
Dio invece salva gli altri e regna sull’universo perdendo se stesso! Questo
insegnamento è valido anche per noi oggi, se vogliamo eliminare le ingiustizie
e le violenze in cui la mentalità del mondo ci immerge. Per Cristo servire è
regnare. Per questo in Giovanni, al centro dell’ultima cena, quando Gesù
“avendo amato i suoi li amò fino alla fine”, lava i piedi ai suoi apostoli e ci
comanda di amarci come lui ci ha amato. Lava i piedi e si dona nell’Eucaristia
anche a Pietro, che di lì a poco lo avrebbe rinnegato, anche a Giuda, che lo
avrebbe tradito e consegnato nelle mani dei suoi uccisori.
Questo è il modo di regnare di Cristo,
amare fino alla fine e donarsi anche per chi gli volta le spalle. Impariamo da
Lui, che è mite e umile di cuore e troveremo ristoro per le nostre anime e per
quelle dei nostri fratelli.
Fr Gabriele
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