Omelia per la domenica della Santa Famiglia (29 dicembre 2024)

 




Ci troviamo ancora all’interno del mistero del Natale, del tempo per eccellenza in cui Dio ha voluto manifestare l’aspetto di sé che forse rimaneva ancora meno conosciuto, non tanto perché attraverso la storia di Israele e l’insegnamento dei profeti non l’avesse già rivelato, ma perché è a noi uomini che è più difficile da accogliere, in cui si fa più fatica a credere.

Lo riassume bene san Bernardo quando scrive:

“Prima si era manifestata la potenza [di Dio] nella creazione delle cose; la sapienza si manifestava nel governarle; ma la bontà della sua misericordia si manifestò soprattutto ora, nell'umanità. La sua potenza era stata fatta conoscere ai Giudei per mezzo di segni e prodigi; … E la sua maestà si fece conoscere anche ai filosofi, ricchi della loro capacità dì pensiero … Ma avvenne che i Giudei erano come oppressi dalla sua stessa potenza, e i filosofi, indagatori della maestà, erano come schiacciati dalla sua gloria. … Si manifesti, Signore, la bontà a cui l'uomo, creato a tua immagine, possa conformarsi; ... La tua misericordia dilati i suoi confini, allarghi le corde (della sua tenda), accresca le capacità del suo seno, si estenda da un confine all’altro con forza, e governi con dolcezza ogni cosa. Con il giudizio, Signore, il tuo seno si è chiuso; sciogli la tua cinta e vieni, stillando misericordia, traboccando carità”.

Ogni anno, ad ogni Natale, la liturgia della Chiesa ci invita a fare memoria  della  misericordia di Dio, manifestata pienamente attraverso la sua incarnazione, affinché rinnoviamo o ritorniamo a credere che anche i luoghi della nostra vita ordinaria, per quanto travagliati da incertezze, paure, sofferenze, sono raggiunti da questa misericordia.

Proprio perché calata nella quotidianità e nella concretezza della vita, anche la santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, con la vicenda dello smarrimento del bambino Gesù narrata nel vangelo, è ben lontana da un quadretto idilliaco che rappresenta la famiglia modello in un contesto di tranquillità e armonia, di pace e gioia. Ci vengono invece descritti due genitori angosciati, dopo tre giorni di ricerche del figlio che, tra l’altro, con le sue spiegazioni non si rivela così benevolo e comprensivo nei loro confronti. Tra loro sembra si sia instaurata una incomprensione, una distanza, alla quale far fronte tuttalpiù con il rispetto, con una custodia silenziosa di questi eventi da parte di Maria.

Con questa presa di distanza del figlio, Maria capisce che la sua vocazione di madre sta attraversando una nuova evoluzione. Nuova, perché nei vangeli la vocazione di Maria ci è presentata come una continua risposta a delle proposte di Dio che lei non aveva cercato, desiderato, ma alle quali si apre con fiducia. L’annunciazione da parte dell’angelo Gabriele, la visitazione a Elisabetta, la presentazione di Gesù al tempio, fino allo stare sotto la croce sono tutti eventi della vita di Maria che lei, più che cercare, riceve, accoglie.

Ben diversa è la vicenda di Anna, raccontata nella prima lettura, il cui desiderio di essere madre è tanto chiaro e determinato che rimarrà impresso perfino nel nome del figlio Samuele, interpretato col significato di “Al Signore l’ho richiesto”. Nondimeno, anche lei è in una disposizione di totale libertà, al punto che porterà a compimento la sua brevissima maternità con una offerta piena a Dio del proprio fanciullo: “Lascio che il Signore lo richieda … egli è richiesto per il Signore”.

Le vicende di queste due donne ci rimandano a diversi possibili modi di intendere la vocazione: un chiaro desiderio di maternità per Anna, che persegue con un’insistente preghiera tanto da riuscire a far breccia contro l’ostacolo della sua sterilità; e, dall’altra parte, non meno responsabilizzante, l’accoglienza di un dono, la disponibilità ad acconsentire al progetto di Dio da parte di Maria, la cui vocazione, più che una chiara intuizione iniziale della strada da percorrere, è una costante e decisa risposta affermativa ai segni di Dio che man mano si manifestano nella sua vita. Segni che le chiedono pure la disponibilità ad un continuo riorientamento della sua vocazione, perché la chiamata ad essere madre la coglie in un momento in cui ancora si sta soltanto preparando ad essere sposa; e oggi che che a pieno titolo dovrebbe esercitare la sua autorità su Gesù dodicenne, coglie la chiamata a fare un passo indietro affinché si realizzi il progetto che Dio ha per lei e suo figlio.

 

Questo racconto del Vangelo è preceduto e seguito da due versetti simili, che sintetizzano i primi trentanni della vita di Gesù a Nazareth: “il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui”. Evidentemente lo stupore che Gesù ha suscitato per la sua intelligenza tra i maestri della legge a Gerusalemme è il frutto di questa crescita nascosta a Nazareth, nell’ordinarietà che la vita di un villaggio marginale della Galilea può offrire. La sapienza della vita quotidiana, illuminata dalla grazia, insegna a stare nelle cose di Dio: ”Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.

La festa del Natale, dell’incarnazione della Parola di Dio, ci dice che ora l’incontro con questa Parola avviene nelle cose della vita, passa attraverso una lettura sapiente della vita ordinaria; il Vangelo è da leggere e da vivere nella quotidianità della nostra vita.

E la vita, evidentemente, ci espone alle sue contrarietà, ai suoi impedimenti, al suo andamento tutt’altro che lineare; ci mette di fronte ai nostri limiti, ai nostri desideri mancati, alla periodica  necessità di reimpostare il percorso. Da tutto ciò non ne è rimasta esente la santa Famiglia. Ma la disponibilità ad accogliere la Parola lì dove si presentava, l’umile sapienza di saper coglierla presente nelle cose più ordinarie, -dei semplici gigli dei campi, dei passeri del cielo- ha permesso a Giuseppe, Maria e Gesù di fare delle loro vite altrettante risposte a Dio, ha permesso loro di capire dove, come e a cosa Dio li stava chiamando.

 

Fr. Amedeo  


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