Omelia IV domenica d'Avvento (20/12/2020 Anno B)

 


Questa domenica è un giorno di festa in attesa della venuta del Signore, ormai prossima. Un giorno il Signore entrerà in Gerusalemme in mezzo a canti e sventolio di rami di palma e di ulivo, oggi anche noi rischiamo di attenderlo con lo stesso decoro, e forse ancora di più. 


Ma come quando il Re Davide ha progettato di costruire un tempio in grande stile e si è visto contraddetto dalla Parola del Signore, così anche il Vangelo di oggi ci conduce ad un’altra visione dell’attesa del Signore. Da secoli ormai il popolo attendeva il Messia, stanco della sua condizione di miseria e di oppressione, di guerre che attraversavano la sua terra e di un’attesa che non sembrava finire. 

Si aspettava una gloriosa liberazione e un Salvatore che entrasse da una porta di Gerusalemme e restaurasse il trono di Davide. Ma, come al tempo di Davide il Signore ha rifiutato di essere onorato con un tempio grandioso, così più di dieci secoli dopo sceglie un piccolo borgo di una regione periferica di Israele e fa del grembo di un’umile giovane donna la sua dimora in mezzo agli uomini. Non sono gli uomini a preparagli un posto perché la sua presenza sia stabile con loro, ma è lui che dona agli uomini dove abitare con lui. Nel seno di Maria, nella più grande piccolezza e oscurità, il Dio delle più alte grandezze e della Luce, che fa sorgere la luce, si unisce e abita con le sue dilette creature umane. “Il Signore ti annuncia che farà a te una casa”, ha detto il profeta Natan. Il Signore ci prepara una casa dove lui, il nostro Dio, il Verbo eterno del Padre, prende la nostra natura umana e si unisce a noi, per opera dello Spirito santo e nello stesso tempo ci dono lo Spirito, che ridarà ai suoi discepoli dopo la Risurrezione e a noi nei sacramenti. Maria accoglie l’annunzio, che in verità la fa tremare; ma non perché non riconosce la chiamata di Dio, ma perché ne coglie la grandezza. 

Umile e nascosta, ma pronta a dire il suo “Sì”, la sua volontà di aderire pienamente alla volontà divina le fa porre alcune domande, che rimarranno per noi basilari e illuminanti. L’annuncio è grande e straordinario: era chiaro che l’Angelo parlava dell’Atteso da tutte le nazioni, del Messia liberatore di Israele, di colui di cui tutti i profeti hanno parlato. “Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”. Come dal piccolo borgo di Nazareth può venire il Salvatore, Colui che libererà Israele, come l’avevano fatto i Giudici, prima ancora del Regno di Davide? Davanti al grande potere di Roma, cosa poteva fare un giovane della Galilea, senza autorità, senza ricchezze, senza potere? Ma ancora di più: “Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo”; essere chiamati era semplicemente uguale ad essere e suo figlio sarebbe stato Figlio dell’Altissimo? 

Cosa può voler dire una cosa così strepitosa? Ma ancora: “Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Giuseppe, il suo futuro sposo era della stirpe di Davide, ma il regno della sua dinastia era terminato da quasi seicento anni. Maria, tuttavia, non pone queste domande che avrebbero mostrato sospetto e poca fiducia. Pone solo una domanda: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. 

La domanda è su di sé, non sulla Parola di Dio e la sua Onnipotenza. E’ una domanda che non blocca il disegno di Dio, ma cerca di assecondarlo, pur nella coscienza della sua piccolezza. Interrogare non è dubitare, e Maria interroga. La risposta dell’Angelo non è più chiara di tutto il resto, ma a Maria quel: “Nulla è impossibile a Dio” ricorda tutta la meravigliosa storia del suo popolo e della fedeltà di Dio alle sue promesse. A Maria basta questo: allora può dire tutta la sua disponibilità; non dice che ha capito il progetto di Dio, ma solo che si fida di Lui, totalmente, e che sa che il Signore compirà un’opera meravigliosa, come tutti gli altri interventi fatti per salvare il suo popolo. 

Poteva forse pensare che questa volta sarebbe stato ancora più grande delle altre volte; ma che nel suo grembo sarebbe venuto, come annientato, Dio stesso, questo non poteva capirlo, lo accettava sapendo che da Dio non possono venire che cose buone. Come abbiamo cantato col salmo responsoriale, anche Maria poteva ripetere mormorando piena di sgomento, ma anche di meraviglia: Canterò per sempre l'amore del Signore. In lei la certezza della fedeltà di Dio all’Alleanza col suo popolo era un un pilastro che la sosteneva e l’intuizione che qualcosa di grande stava succedendo la riempiva di speranza. Il suo: “Avvenga per me secondo la tua parola” è una parola detta con entusiasmo, l’entusiasmo dell’umile fiducia, non quello della vanità. Da quel momento il mondo, la storia, e ciascun persona umana vive una novità, una pienezza, un cammino che vede aperta la strada verso la meta. 

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