Omelia della domenica III Avvento in Gaudete (13/12/2020 Anno B)


 

   Oggi la Chiesa ci invita a rallegrarci, ma a rallegrarci “nel Signore” perché la sua venuta è imminente, e il Vangelo ci presenta la figura e la missione del Battista: “voce che grida nel deserto” per preparare l’Avvento del Verbo nei cuori dei suoi fedeli. Sembra paradossale, soprattutto nella situazione attuale, un invito alla gioia. Passeremo infatti un Natale molto diverso dal solito, come lo è stata la Pasqua precedente. Niente riunioni numerose di familiari, niente cenoni, spostamenti ridotti al minimo ...tutto questo potrebbe suscitare solo tristezza nel nostro animo. 

Ma la Parola di Dio ci invita alla gioia, a quella vera, a quella che non sparisce quando finiscono le feste e quando si ritorna alla vita quotidiana. Possiamo solo rallegrarci nel Signore. Perché Lui viene in ogni nostra situazione, ci è fratello quando stiamo bene e quando siamo assediati dalla pandemia, ci è vicino quando siamo nel fervore e quando siamo nell’aridità. Si è fatto uomo per camminare con noi in ogni situazione, al nostro fianco anche quando i nostri occhi sono incapaci di riconoscerlo e abbiamo il cuore freddo come i due discepoli di Emmaus mentre il Signore sta camminando con loro: prigionieri di una tristezza che impedisce loro di riconoscerlo. 

E’ il pericolo nel quale tutti possiamo cadere nella situazione attuale: perderci di coraggio, lasciarci “rubare “ la speranza, sentirci stanchi e sfiniti come pecore senza pastore. Che fare allora? Ci viene in aiuto S, Paolo nella seconda lettura, con la sua esortazione a stare sempre lieti e a non spegnere lo Spirito, il solo che ci può far scoprire gli aspetti positivi della nostra vita illuminandoci con le Scritture e aprendoci all’incontro personale con Cristo. Certo, dobbiamo pregare incessantemente e rendere grazie in ogni cosa e in ogni situazione. 

L’isolamento attuale può diventare il deserto in cui grida anche oggi la voce del Battista invitandoci a “preparare la via al Signore”. E questo era il desiderio che spinse i nostri fondatori a lasciare Molesmes per fondare Cîteaux. il desiderio di una maggior povertà e di una maggior solitudine perché il loro cuori fossero sempre disponibili alle “visite del Verbo”. La pandemia ci ha costretti a ridurre drasticamente i rapporti umani, a comunicare più col computer che con la corporeità, a ridurre all’essenziale le spese il lusso e il divertimento, sono caduti tutti gli orpelli con cui circondavamo il Natale consumistico e ci siamo ritrovati poveri, insicuri, consci della nostra fragilità e della caducità della nostra esistenza. Però possiamo dare a tutto questo in significato positivo: ci siamo riscoperti estremamente bisognosi della presenza di Gesù Cristo e del legame con i nostri fratelli. 

I primi Cisterciensi hanno spogliato gli edifici sacri del lusso cluniacense e hanno ridotto tutto all’essenziale per incontrare meglio il Cristo e radicarsi solo in lui. Hanno costruito le loro chiese privilegiando l’acustica rispetto alla vista, per essere più attenti alla voce che grida nel deserto … ma anche a noi oggi è stato chiesto un maggior isolamento, forse per ascoltare di più la Parola di Dio e i nostri cari, con i quali viviamo tutti i giorni, ma ai quali rischiamo di abituarci nella “normalità” senza più ascoltarli, dandoli per scontati, senza comunicare profondamente con loro. L’isolamento coatto in cui siamo può quindi diventare un’ottima occasione per educarci all’ascolto e all’accoglienza degli altri, di cui scopriamo di aver sempre più bisogno: La fragilità della nostra vita può essere girata in positivo, considerando ogni attimo che ci è concesso come un grandissimo dono, da non sprecare, ma da utilizzare intensamente per amare e servire Dio e il prossimo, proprio perché siamo consci che in ogni attimo fuggente possiamo costruire la nostra eternità e quindi rallegrarci sempre “nel Signore”, santificandoci fino alla perfezione perché tutti si salvino e giungano alla conoscenza della verità. Il deserto cui siamo chiamati non è solo “vuoto di cose” ma un vuoto da custodire perché Dio e la carità verso il prossimo lo riempiano. 

L’Avvento ci presenta due esempi chiarissimi di questo atteggiamento: Giovanni Battista, ma soprattutto Maria Santissima: Giovanni ci insegna una radicale essenzialità, “scomparendo” come persona di fronte a Cristo, vivendo di locuste e di miele selvatico, vestito solo di pelli di cammello stretta con una cintura di pelle … egli diventa solo la “voce” che apre all’ascolto del “Verbo”. Maria fa la stessa cosa, diventando puro ascolto e pura accoglienza, entrambi si definiscono “servi”, l’uno indegno di sciogliere i sandali del Messia. l’altra pura disponibilità ad accogliere la volontà di Dio perché il Verbo, annunciato dalla “Voce che grida nel deserto” si faccia carne prima nella sua mente e nel suo cuore e poi nel suo grembo. 

Tutti i padri cisterciensi delle origini , specialmente Guerrico di Igny, nella spogliazione dei loro monasteri ridotti all’essenziale sono innamorati dal mistero di Maria che accoglie il Verbo nel suo essere perché si faccia Carne. Contemplando la gestazione di Maria invitano tutta la Chiesa (che per loro è soprattutto la loro comunità monastica) e l’anima di ogni monaco a diventare come Maria, che si lascia totalmente penetrare dal Verbo, ascoltato e accolto con amore totale, nella sua mente nel suo cuore e nel suo corpo. Maria, la Chiesa, e l’anima del monaco devono accogliere il Verbo, custodirlo con amore durante la sua gestazione, evitando pericoli, scosse e traumi, per poterlo partorire nella loro storia, nell’oggi, nel quotidiano … sì anche durante la pandemia e le difficoltà della vita: in ogni ambiente e in ogni situazione, portando “il lieto annunzio ai poveri, fasciando le piaghe dei cuori spezzati, proclamando la libertà degli schiavi e la liberazione dei prigionieri, promulgando, anche nel 2020, l’anno di misericordia del Signore, e tutto questo vivendo sempre più intensamente con lo “stile” di Cristo, infatti siamo battezzati nello Spirito Santo e possiamo dire in verità, come S. Paolo “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. Ecco il motivo della nostra gioia, quella vera, quella che non sparisce nemmeno se camminiamo in una valle oscura… e allora rallegriamoci nel Signore, sempre!

                                                                    Fr Gabriele

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