Omelia III in Gaudete domenica d'Avvento (13/12/2020 Anno B)

 

Nonostante i giorni difficili e strani che viviamo, con tutta l’incertezza e i limiti che ci sono imposti, la nostra fede ci chiede di lasciare entrare uno spiraglio di gioia nel nostro cuore. Non possiamo vivere nella tristezza come coloro che non hanno la Speranza: il nostro Dio Salvatore e liberatore viene e il clima è quello di chi si prepara alle nozze, il mattino del matrimonio: “come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli”, dice il profeta Isaia. 

Si attende un momento bello, atteso da tempo e che è ormai alle porte. Fra pochi giorni sarà Natale e non possiamo essere come quelli che dicono che quest’anno non sarà un vero Natale o addirittura “non ci sarà Natale”!: le decorazioni e i pranzi non sono Natale, ma il Signore che viene per stare con noi è la sorgente della gioia e quello nessuna epidemia e nessun decreto ministeriale lo ferma, lo blocca. 

Se la massa dei peccati degli uomini non impediscono a Dio di precipitarsi incontro a noi per abbracciarci, non sarà certo la mancanza di qualche luce, di un pranzo allegro con tanta gente o l’andare in giro la notte di Natale che impedirà questo evento, che si ripete con la fedeltà infinita di Dio, non solo la notte del 24 Dicembre, ma ogni momento della nostra vita. Giustamente la Chiesa ci fa chiedere al Signore di poter vivere questi giorni con rinnovata esultanza. 

San Paolo poi ci dà quelle tre parole che non dobbiamo far nostre solo in questa domenica della gioia, ma ogni giorno: “siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie”. Se le consideriamo con attenzione troveremo che sono davvero strettamente legate. 

 Cosa possiamo pensare di una persona sempre lieta, che prega con costanza e che è riconoscente in tutto, a Dio e al prossimo, qualunque cosa accada, perché nella luce del Vangelo tutto è davvero grazia, se non che ha incontrato il Dio della Misericordia e della Vita? Guardate Giovanni il Battista: poteva fare una bella carriera, aveva una capacità di parola che colpiva, una personalità forte, un coraggio da leone. Eppure ha coscienza di sé solo per quello che non è: tutti aspettano da lui che si erga come un faro, come il salvatore, come il Messia. 

Ma no, non lo è: è solo una tappa in attesa del grande avvenimento della venuta di Dio fra i suoi. “Io sono Colui che è, tu sei colei che non è”, ha detto Gesù a Santa Caterina da Siena, ma ha aggiunto: “Ma se tu sei è perché ti amo”. Ecco la chiave di Giovanni Battista e di tutti i santi: non è l’ammirazione della gente, ma l’amore del Signore che li fa essere, agire e gioire profondamente. Che grande liberazione è questa per i preti come me, ma anche per tutti coloro che sono assetati di riconoscimento, di gratificazioni, ecc. Gesù è nato povero e certamente ci dice: Seguimi in questa povertà. 

Ma è proprio quella che dicevo la povertà essenziale: se siamo liberi dallo sguardo della gente, come Giovanni il Battista, non abbiamo bisogno di ricchezze e di altre cose che ci rassicurano. La venuta di Gesù ci basta. I miei primi Natali sono stati durante la guerra e soprattutto la guerra civile e parole come come coprifuoco, mancanza di risorse, semplicità estrema di vita, il non poter uscire, erano cose quotidiane, ma nessuno diceva che non era Natale. Anzi lo si accoglieva come una dolce pioggia su un deserto, una buona Novella in un orrore di paura e di fuoco, una brezza d’amore in una tempesta di odio. 

Giovanni sapeva e testimoniava che di fronte al Cristo non era altro che un umile servo, ma più tardi parlerà anche di sé come l’amico dello Sposo. Grandezza e umiltà si tengono la mano appena sono orientate verso il Dio che viene, che è presente, che è venuto e che verrà. Noi oggi, che lo attendiamo e in questa attesa, con il cuore che si apre alla gioia dell’incontro, facciamo un cammino di purificazione. 

Come potremo riconoscere Colui che bussa alla nostra porta, se non avremo imparato a riconoscere il suo volto e se nei passi della vita non lo riconosciamo nelle mille possibilità in cui si presenta? Se vogliamo vederlo sul trono della sua gloria che, sorridente, ci invita a sederci accanto a lui, dobbiamo imparare a riconoscerlo nella grotta di Betlemme, in una mangiatoia, avvolto di semplici panni, così come anche tutte le volte che ci apparirà simile a quel Bambino. 

E il segno che lo riconosciamo sarà la gioia che ci abiterà ogni volta che si presenta a noi, sotto qualunque spoglia.

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