Omelia della Domenica (19/11/24 Cristo Re dell'Universo TO Anno C)


Omelia della Domenica (19/11/24 Cristo Re dell'Universo TO Anno C)
C’è un’affermazione che da duemila anni interpella ogni uomo, e dinnanzi alla quale ciascuno è chiamato, più o meno apertamente, a darsi una risposta.

È quell’affermazione che i discepoli sostengono di aver ascoltato in riva al Giordano, dove Gesù si è immerso per essere battezzato da Giovanni il Battista. Un luogo deserto, e quindi estremamente silenzioso, dove ci si stupisce di vedere scorrere un corso d’acqua tra due sponde di sabbia. E lì, racconta l’evangelista Luca,

ricevuto anche Gesù il battesimo, discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento (Lc 3,21-22)”.

E poi di nuovo, sul monte Tabor, Pietro racconterà nella sua lettera di essere stato testimone oculare della trasfigurazione di Gesù, udendo di nuovo questa voce che dichiara: “Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento (2 Pt 1,17)”.

La nostra fede si gioca tutta su questa affermazione. Credo che Gesù è il figlio di Dio? Che è Dio? E questo cosa implica, cosa comporta nella mia vita e nell’idea che ricavo di Dio?

Finché Gesù ha vissuto, coloro che hanno creduto nella sua divinità sono stati davvero pochi: paradossalmente quelli che lo riconoscono con maggiore facilità sono i demoni, che quando lo incrociano sulle strade della Palestina lo scongiurano di andarsene, chiamandolo “Figlio del Dio altissimo” (Lc 18,28); ci sono poi i malati, come il cieco Bartimeo che attribuiscono a Gesù un titolo messianico: “Figlio di Davide, abbi pietà di me”.

Alla domanda che Gesù rivolge ai discepoli “E voi chi dite che io sia?” Pietro risponde “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Ma Gesù precisa subito che questo riconoscimento è stato possibile solo perché il Padre gliel’ha concesso e questo non gli impedirà di avere ancora seri dubbi al momento della passione. C’è poi ancora il buon ladrone, che si accorge di avere accanto a sé, nell’ora della morte, colui che presto, oggi stesso, lo introdurrà in paradiso. E infine il centurione, che sotto la croce confessa “Davvero costui era Figlio di Dio”. Pochissimi sono stati quindi coloro che hanno creduto nella divinità di Gesù nel corso della sua vita.

Il vangelo di oggi ci mostra invece la ben più grande possibilità di rifiutare, di negare la verità di quella voce al momento del battesimo nel Giordano. C’è un crescendo di ostilità nei personaggi che compaiono oggi, passando dal popolo che si limita a osservare, ai capi che deridono, i soldati che scherniscono e uno degli altri due condannati che addirittura insulta, bestemmia contro Gesù. Tutti, vedendolo appeso alla croce, gli contestano questa presunta identità di essere il Cristo di Dio, l’eletto; di essere il re dei Giudei; di essere il Cristo.

In queste provocazioni, per quanto sprezzanti, si potrebbe in fondo intravvedere non una negazione a priori, di principio, ma un reale desiderio di riconoscere, sperimentare, credere nella sua divinità. È una estrema possibilità che concedono a quest’uomo per dimostrare ciò che è. “Se sei davvero Figlio di Dio, salva te stesso, scendi dalla croce, e non potremo più dubitare”.

Chi di noi in fondo non desidererebbe avere una prova certa dell’esistenza di Dio, della divinità di Gesù, della realtà della risurrezione, della vita eterna? E quale sarebbe una prova più grande di quella di vedere un uomo crocifisso scendere dalla croce, riprendere in mano la propria vita, sconfiggere il male e la morte, capace di salvarsi da solo?

Quale sarebbe, però, di fronte a una tale dimostrazione di forza, l’immagine di Dio che ne deriva? Sarebbe un Dio attaccato alla vita, che dispiega la sua onnipotenza per salvare se stesso: in fondo la trasposizione e l’essenza dell’egoismo umano che tenta a tutti i costi e con ogni mezzo di preservare le proprie ricchezze, i propri privilegi, la propria vita.

Esattamente l’opposto di ciò che san Paolo è arrivato a capire di Cristo Gesù, che pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso facendosi obbediente fino alla morte di croce. Spogliò, svuotò se stesso, non “salvò se stesso”. Morendo in croce Gesù ci mostra un Dio che non è chiuso e ripiegato su di sé, ma che è puro dono e puro amore.

Se pensiamo a Dio come a un re umano, ne deriva un’immagine di Dio che esercita il potere, il dominio, il giudizio, il controllo su tutto e su tutti. È soltanto quando ascoltiamo l’insegnamento e osserviamo la vita di Gesù che comprendiamo che la figura del gran re che ci sta mostrando è quella del potere che si fa servizio, del dominio che si fa dono, del giudizio che si fa misericordia, del controllo che si fa libertà. Libertà concessa agli uomini perché Egli stesso è totalmente libero e quindi capace di donarsi totalmente.

La morte in croce di Gesù smentisce l’immagine religiosa che i capi del popolo hanno, di un Dio preoccupato di se stesso e della propria vita.

La sua morte in croce sconfessa l’immagine politica di un Dio simile ad un re prepotente che dispiega la sua forza per convincere e piegare i suoi sudditi.

E, ancora, la sua morte in croce ci libera dalla paura della nostra morte e della solitudine dinnanzi ad essa. Se fosse sceso dalla croce, i due ladroni si sarebbero ritrovati soli ad affrontare la morte. E invece Lui è rimasto lì con loro, sarà ancora lì con ciascuno di noi al momento della nostra morte, a mostrarci una luce proprio nel momento in cui le tenebre sembrano diventare assolute: “oggi con me sarai nel paradiso”.

Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. …

Se dovessi camminare in una valle oscura,

non temerei alcun male,

perché Signore, tu sei con me.



La sua morte in croce trasforma la nostra morte in momento di comunione che introduce alla vita eterna con Lui.

fr Amedeo

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