Omelia della Domenica XXXII
Omelia della Domenica (10/11/2019 DomXXXII T.O. Anno C)
Come di consueto la liturgia di queste
ultime domeniche del tempo ordinario ci invita a meditare sulle realtà ultime
della nostra esistenza: la morte, la risurrezione, il giudizio finale e a
gettare uno sguardo di speranza sulla nostra vita che si dirige verso
l’eternità.
Oggi il Vangelo ci fa meditare sulla
Risurrezione, partendo da una domanda dei Sadducei, i quali non cedevano in una
risurrezione dei morti, ma al massimo in una loro esistenza umbratile negli
inferi, nello Sheòl. E dalla loro questione a partire dalla parabola che si
basa sulla legge del levirato si comprende anche l’idea di “risurrezione” che
avevano in testa: un ritorno alla nostra vita consueta, dove ci si sposa per
prolungare l’esistenza attraverso la generazione naturale. Un’idea molto
riduttiva, quasi banale, che probabilmente era proprio alla base del loro
scetticismo. Eppure nella tradizione profetica l’idea di una risurrezione “diversa”
era già stata affermata, soprattutto in Isaia, ed Ezechiele, in Giobbe per i
libri sapienziali, per non parlare del libro dei Maccabei, dal quale è stata
tratta la prima lettura, il senso profondo della quale è che Dio non permette
che si dissolvano nel nulla coloro che danno la vita per rimanere fedeli alle
sue leggi e alla sua alleanza.
Gesù,
come al solito risponde ribaltando questa prospettiva troppo “materiale” della
risurrezione, tipica dei “figli di questo mondo”: quelli che sono giudicati degni
dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né
marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e ,
essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio”. Una definizione sulla
quale possiamo molto meditare guardando a Cristo Risorto come modello e
primizia di questi “figli della risurrezione”.
Chi vive in Cristo ha già
trasfigurato in lui la propria morte ed è entrato nella risurrezione e nella
vita nuova: è quanto riceviamo nel sacramento del Battesimo e alimentiamo
nell’Eucaristia come ripresentazione del Mistero Pasquale in cui ci immergiamo
per risorgere già ora come uomini nuovi, figli nel Figlio, partecipando del
rapporto di figliolanza al Padre incorporati nella persona di Gesù stesso (i
figli della risurrezione sono figli di Dio). Poi sono “simili agli angeli di
Dio: il loro essere è tutto trasformato, e anche il corpo assume le
caratteristiche della spirito, come Gesù risorto, che aveva ancora un “corpo”
reale, ma non più soggetto ai limiti dello spazio e del tempo: non è un
fantasma ed è vivo in mezzo a noi con un “Corpo Spirituale” ( S. Paolo parla di
soma pneumatikòn). E’ un “capo” che estende in tutte le membra del suo “corpo
mistico” una vita assolutamente nuova che parte della fonte stessa della vita:
il Padre.
E’ il Creatore che effonde la vita eterna attraverso Cristo Morto e
Risorto e l’azione dello Spirito Santo. Chi vive in Cristo partecipa di questo
flusso vitale eterno ed è simile agli angeli di Dio perché, come dice S.
Tommaso, l’essenza dell’angelo è di essere un puro atto d’amore verso Dio, per
cui i figli della risurrezione amano come Cristo ha amato ed ama e vivono come
lui e in Lui “spogliando se stessi” per essere puro dono d’amore per Dio e per
gli altri. S. Gregorio Magno ci dice che l’angelo ama talmente Dio che
“sparisce” anche come persona diventando un tutt’uno per amore con la missione
ricevuta da Dio, proprio come Cristo, che “annientò se stesso e divenne simile
agli uomini...facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce”.
I figli della risurrezione hanno dunque una
vita qualitativamente diversa da quella di prima, e quindi non ne assumono i
criteri, come pensavano i sadducei.
Poi Gesù si rifà all’Esodo, e in
particolare all’episodio del roveto ardente, nel quale Dio si presenta a Mosè
come il “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”: parla dei Patriarchi come di
persone vive in Lui, che ora vivono nell’eternità in pienezza l’alleanza
stabilita con Lui e in Lui. Li presenta come viventi a garanzia della fedeltà
di Dio alle sue promesse ( un po’ come nel dogma di Maria Assunta in cielo: icona della Chiesa
futura e garanzia della fedeltà di Dio alle sue promesse). Qui Dio si presenta
a Mosè per inviarlo a liberare il Suo popolo in nome della sua alleanza con i
Patriarchi, lo manda a far “risorgere” i suoi figli dalla schiavitù
dell’Egitto, perché Egli è il Dio dei vivi e non dei morti. E nella Veglia
Pasquale la liturgia ci fa rivivere tutto questo quando ci fa ripercorrere la
Creazione, l’Esodo e la Risurrezione di Cristo, che porta a compimento la
Storia della Salvezza e mostra l’alleanza col Dio fedele in tutta la sua
pienezza ed efficacia.
Questo collegamento tra Creazione, Esodo e
Mistero Pasquale mette in evidenza la perfetta coerenza del disegno del Padre,
fonte della Vita, Dio dei vivi e non dei morti, che ha creato tutto e tutti
perché viviamo in Lui per l’eternità, nella comunione senza fine anche con i
nostri fratelli che ci hanno preceduto (Abramo, Isacco e Giacobbe) e che ci
seguiranno.
Che
senso avrebbero infatti la creazione e la nostra stessa vita se fossimo
condannati a dissolverci di nuovo nel nulla da cui siamo stati tratti? Se Dio
ha creato è perché questa vita rimanga, è perché tutto si trasformi e si
rinnovi in Lui, che sarà “tutto in tutti” quando raggiungeremo la nostra patria
nella Gerusalemme celeste.
Fr Gabriele
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