Omelia per la XXI domenica del Tempo Ordinario (25 agosto 2024 - Anno B)
Il vangelo di oggi conclude un episodio
iniziato più di un mese fa, in cui si vedevano le folle inseguire Gesù che
tentava di ritagliarsi un momento di riposo e amicizia con i suoi più stretti
collaboratori. Oggi assistiamo invece al processo contrario: “Da quel
momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con
lui”, ci racconta l’evangelista Giovanni.
Cos’è avvenuto di tanto sconvolgente nel frattempo, per innescare
questa inversione di tendenza e questa disaffezione nei confronti del maestro?
Gesù ha moltiplicato cinque pani e due pesci, ha sfamato quella folla che lo
seguiva, e ha fatto poi seguire un lungo discorso per spiegare il senso di quel
segno. Fino ad identificarsi in quel pane spezzato, definirlo sua carne, e
invitare a nutrirsi del suo corpo e del suo sangue per rimanere con lui e avere
la vita eterna.
È immediato allora per noi giungere a capire che Gesù sta
parlando dell’eucaristia, di quel segno che ha voluto lasciarci in memoria
della nuova alleanza, che è dono di sé, segno della sua attuale presenza in
mezzo a noi e caparra della vita eterna. Se diventa chiaro tutto ciò, rimangono
invece ancora oscure le ragioni dell’allontanamento di tanti suoi discepoli che
esclamano: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”.
Dove sta, in cosa consiste la durezza di tale parola, di
tale segno?
Ascolteremo tra poco le parole della consacrazione, che sono
state quelle dell’istituzione dell’eucaristia, pronunciate da Gesù ha
nell’ultima cena: “Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo
offerto in sacrificio per voi. … prendete e bevetene tutti: questo è il calice
del mio sangue ...”. Esse si concludono con questa espressione: “Fate
questo in memoria di me”.
Cosa intende Gesù quando dice “questo”, “fate questo”?
L’interpretazione più immediata a questo comando è quella di ripetere quel
gesto per fare memoria della sua passione, morte e risurrezione. È l’invito a
trasformare quel momento dell’ultima cena, in cui il Signore giunge a donare la
sua vita, in un rito da celebrare settimanalmente, o quotidianamente, perché
quel dono non sia dimenticato ma anzi sia ricevuto da noi oggi.
Ma c’è una seconda possibile comprensione di quel “fate
questo”. Quello spezzare il pane e condividere il calice è in realtà il segno
del dono della sua vita, rimanda al dono di sé. Chiedendo ai suoi discepoli di
fare questo, sta in realtà chiedendo anche a noi di donare la nostra vita, di
fare di noi stessi un gesto di amore, al seguito del suo esempio. Ci sta
chiedendo di orientare la nostra vita nella direzione che ha dato alla sua,
una vita donata, giocata sulla scommessa che Dio non può mancare alla sua
promessa, vale a dire il pieno compimento di una vita consegnata, messa nelle
sue mani.
Inizia allora ad apparire più chiara la reazione dei
discepoli, quell’indignazione di fronte all’esigenza di quelle parole. In fondo
il Signore sta chiedendo di amare come lui ha amato, sta chiedendo che il dono
di sé diventi la legge, la forma, la prospettiva della vita di ogni suo
discepolo.
Ma c’è forse ancora qualcos’altro dietro questa parola, che
fa aggiungere ai discepoli: “Chi può
ascoltarla? Chi può obbedirle?”.
È vero che tutto il vangelo porta nella direzione della
carità, si può sintetizzare nel comandamento dell’amore. Ma bisogna precisare
che, sebbene l’amore è espressione della dignità, dell’autenticità, del senso e
del fine della vita di ogni uomo, Gesù invita i suoi discepoli a vivere l’amore
nella forma particolare con cui l’ha vissuto lui, con cui si è donato lui.
È vero che il compimento, il frutto della vita di Gesù è il
dono di sé ai fratelli, ma la radice che sta alla base di di questo esito è il
suo aprirsi all’amore di Dio; il motore, ciò che anima la generosità, l’apertura
di sé agli altri in Gesù è il suo affidarsi, il suo obbedire al Padre. Sono
questo affidamento e questa obbedienza a Dio che danno a Gesù la certezza che
il suo amore, la sua vita donata, non sono inutili sebbene siano rifiutati; è
questo riferimento a Dio che consente a Gesù di amare i suoi fino in fondo,
fino alla fine, pur nella contraddizione dell’apparente inutilità, inefficacia
del suo amore.
L’eucaristia ci è data per formare in noi questa umanità
amante secondo la forma di Gesù Cristo; questo corpo spezzato e questo sangue
versato ci sono dati per radicare la nostra volontà di amare nella promessa di
un Dio che ci assicura che chi perde la propria vita per causa sua la troverà.
… è vero, Signore, rimangono parole dure! Ma, sulla scia di
Simon Pietro, possiamo allo stesso tempo riconoscere che sono parole di vita
eterna, che tu hai parole che ci invitano a credere che ogni gesto d’amore
non andrà perduto, rimarrà per sempre.
fr. Amedeo
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