Omelia per la XIX Domenica del Tempo Ordinario (11 agosto 2024 - Anno B)


 

Il Vangelo di oggi è la continuazione di quello di Domenica scorsa: è il discorso di Gesù sul Pane di vita e sul dono del suo Corpo e del suo Sangue. Il discorso diventa sempre più difficile da capire, ma Gesù vuole che i suoi discepoli siano pronti a vivere il tempo in cui Lui non sarà più fisicamente visibile, rimanendo certi della sua presenza. Più si avanza verso la Passione più le parole di Gesù diventano chiare, ma suscitano un istintivo rifiuto. I suoi discepoli non possono pensare di perderlo e la folla di non avere più un guaritore che risolve tutti i problemi, così come loro credono debba essere il Messia. Il discorso su un altro Pane, diverso da quello che avevano mangiato la sera prima, non passa e le splendide parole di Gesù trovano orecchie disattente. Il mormorare è la reazione più naturale di fronte a una disillusione e il mormorare contro Dio, che può diventare bestemmia gridata, è la via d’uscita dall’imbarazzo più istintiva e semplice. Gli antichi padri avevano mormorato nel deserto e talvolta questo mormorare li aveva condotti alla rivolta. Con Gesù la folla non si rivolta, ma piano piano si dissocia dalla sua predicazione e finirà con abbandonarlo. Può sembrare strano, ma più la gente mormora, più Gesù si sente libero di rivelare il suo segreto, praticamente impossibile da capire e in fondo anche di essere accettato. Il suo segreto è il dono di se stesso alla Chiesa dei suoi discepoli, di coloro che credono, che si fidano della sua Parola, che accettano di far lottare nel loro cuore e nella loro mente il dubbio, dovuto all’impossibilità di capire il mistero con la ragione, e la fede, che sgorga dalla fiducia nella persona di Gesù, in una adesione che è accettazione del dono dello Spirito santo che scrive nel nostro cuore le parole di Gesù, che salvano e illuminano i credenti. Anche se uno di questi può essere la persona più intelligente e brillante che si possa trovare, la fede gli chiede il passaggio attraverso la povertà di chi non gestisce il proprio credere, ma lo riceve con umiltà e gratitudine, per poi mettersi in cammino con tutti i doni della natura per cogliere sempre meglio e in modo giusto ciò che ha ricevuto. Le parole di Gesù sono forti e chiare e sanno condurci, attraverso la valle dell’umiltà, all’altezza della conoscenza. “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: "E tutti saranno istruiti da Dio". Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me”. Tutti saranno istruiti da Dio. Non ci sono privilegi. Noi vediamo in modo miope le differenze e pensiamo a un più o a un meno. Queste misure per Gesù non esistono: ognuno riceve quello che gli occorre per vivere una vita di fede: ognuno può accogliere un grande tesoro, anche se ogni tesoro ha le sue proprietà: oro, perle preziose, un conto in banca, o altro. Il Donatore ama in modo uguale tutti, ma non tutti accolgono il dono in modo uguale. Colui che guarda il Donatore si rallegra, colui che guarda con invidia il dono fatto all’altro si rattrista, colui che non accetta la gratuità del Donatore, ma vuole qualcosa che non gli è donato, mormora. Davanti al dono dell’Eucarestia, del Corpo e del Sangue di Cristo tutti possiamo avere una reazione nostra, diversa da quella degli altri: Dio vuole renderci tutti felici di essere con lui, sorgente di ogni bene, e non è colpa sua se non ci sentiamo appagati. C’è un cammino da fare. L’esperienza del profeta Elia può illuminarci: il Signore sapeva cosa stava per chiedergli, proprio mentre scoraggiato il profeta voleva piantare tutto: l’angelo ha insistito che mangiasse quel pane che gli portava: “Mangia perché è troppo lungo per te il cammino. Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio”. Il nostro cammino di fede è lungo, più di quaranta giorni, e il Signore nella sua bontà misericordiosa ci dona ciò che ci serve. Si può esitare davanti al grande mistero della fede; esitare ad abbracciarlo, ma se crediamo ai Vangeli, la Parola di Gesù è chiara: ha lasciato alla sua Chiesa il suo Corpo e il suo Sangue, perché possiamo avere la vita eterna, che non è una vita senza fine, un prolungarsi della vita terrena; ma una vita nuova, in cui scopriremo cosa vuol dire essere amati e quindi sarà per noi normale amare, dare tutto noi stessi per essere una cosa sola con i nostri fratelli e sorelle, pur rimanendo noi, noi trasfigurati, resi perfetti della perfezione del Padre. Ciò che Gesù ha detto ha una forza incredibile: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Questo ha detto Gesù. E anche : “Chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita”. Non parla di cose simboliche, di una vaga memoria di una cena in cui ha manifestato il suo amore per noi fino alla perfezione. Parla di oggi, perché ci ama oggi, ci ama tutti insieme e ciascuno individualmente, e sa accogliere il nostro povero amore per renderlo col suo al Padre. E San Paolo osa dirci: “Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore”. Afferrati dall’amore di Cristo siamo portati attraverso un banchetto terreno ad un banchetto celeste, che per ora sorpassa ogni nostra possibilità di capire e sarà uno degli oggetti di meraviglia che illumineranno la nostra vita in Dio. Eppure nel momento in cui comunichiamo al Corpo e al Sangue di Cristo già siamo cittadini delle due città: quella degli uomini, che camminano faticosamente sulla terra, e quella di Dio in cui amare e godere dell’amore sarà il tessuto della vita.


                                    p. Cesare 

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