Omelia per la XX domenica del Tempo Ordinario (18 agosto 2024)

 



Nella liturgia di oggi tutto ci conduce a fermarci, soprattutto a fermare la nostra mente e il nostro cuore, distogliendoli dalle distrazioni che ci conducono a dare giudizi affrettati e a non vedere la bellezza dei doni di Dio. Nella preghiera iniziale abbiamo riconosciuto che il Signore prepara per noi dei beni invisibili e che per poterli gustare abbiamo bisogno di amarlo. L’amore apre il nostro cuore al desiderio di unione con l’amato e di accoglierlo così come Lui vuole darsi a noi, accettando che fra noi e lui permanga un mistero, e una doppia libertà: la sua di darsi e la nostra di accoglierlo. Non possiamo amare analizzando e giudicando secondo le nostre misure e categorie. Ce lo dice già il libro dei Proverbi: “Chi è inesperto venga qui!”. A chi è privo di senno ella dice: “Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato”; è infatti la Sapienza che parla e noi possiamo riconoscere la voce di Dio, quel Padre che ci accoglie con sollecitudine e ci educa a vivere nel mondo cercando il Bene, che è lui stesso. Anche San Paolo ci esorta ad essere attenti all’insegnamento di Dio e a non essere sconsiderati. Con questa disposizione interiore possiamo ascoltare la parola di Gesù, il seguito del discorso sul Pane di vita, sul suo Corpo e sul suo Sangue, senza esserne scandalizzati, come quelli che l’avevano seguito attirati dalla sua Parola, ma soprattutto molto interessati dalla moltiplicazione dei pani. Bloccati dai loro interessi, non sono stati capaci di seguire l’annuncio di Gesù che li preparava alla comprensione del grande mistero della fede con cui, dopo la sua morte, risurrezione e ascensione al cielo, avrebbero potuto vivere e gustare la sua presenza salvatrice. Dio non abbandona il mondo, ma si dà, non più nell’Incarnazione che comportava una fine del visibile, ma nel Mistero che si dà a chi accoglie nella fede il suo insegnamento. Rimane, secondo la promessa fatta in Isaia, il Dio con noi e ha scelto come modo di presenza più grande fra tutti quello dell’Eucaristia, del suo Corpo: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita”. Leletta, di cui oggi ricordiamo la partenza per il cielo, commentando il nome di questo monastero: Dominus Tecum, scrive: “Quale fiaccola di fede in tempi oscuri esso – il monastero – ci presenta il mistero dell’Emmanuele, il Dio-con-noi. L’Evangelista Matteo ci riferisce questo nome di Gesù, nome già annunziato dai profeti e nei salmi, che significa amicizia, comunicazione con l’Altissimo, partecipazione sua alla nostra vita umana, partecipazione nostra alla sua Vita Divina”. Molti, cercando di comprendere questo mistero si fermano a mezza strada, cercando la presenza nella Natura, nel servizio, nell’amicizia umana. Cose verissime, ma con Gesù dobbiamo andare più a fondo. “Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.” Questo vero cibo e vera bevanda ci mette nell’estrema povertà di chi non può capire; come un bambino che si fida di ciò che dice la Mamma. E la Madre Chiesa ci riporta le parole di Gesù stesso. Se non saremo come bambini non entreremo nel Regno dei cieli. Occorre proprio avere la grande umiltà di fidarsi di una parola detta dal Signore, che crediamo essere il nostro Salvatore, che ha dato se stesso sulla Croce per noi. Bisogna ben dire che ogni volta che alziamo gli occhi verso il nostro Redentore proviamo la vertigine di chi si sente obbligato ad aver fiducia in una parola, se no non si avanza e tutto perde senso. Gesù l’ha detto e, se vogliamo inquadrare tutto nelle nostre categorie, ci troviamo come davanti una montagna di menzogna e perdiamo il cammino. Ma questa fede ci conduce ed è suscitata dall’amore che il Signore mette nel nostro cuore dandoci lo Spirito santo. Allora con le mani vuote e il cervello che si arresta davanti all’ostacolo, comprendiamo cos’è la speranza, la luce della vita, che ci permette di avanzare, lieti, sulla via oscura, portati con energia da una mano forte che ci trasmette un infinito bene. Domenica prossima vedremo che quasi tutti gli ascoltatori di Gesù davanti a questa apparente follia si sono ritirati e non seguivano più il Maestro. Li capiamo bene: è anche la nostra prima reazione, quasi un “si salvi chi può”. Ma ci raggiunge la dolcezza e la forza dello sguardo del Crocifisso e la sua Parola ci dice: “Se ti fidi stasera sarai con me in Paradiso”. E la sera della vita, che può essere vicina o lontana, è una sera di dolcezza se accettiamo di essere presi per mano da Colui che per noi ha perso tutto. Non c’è parola d’amore più grande di quella che ci dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.” Questo rimanere, per noi che siamo polvere fragile in preda ad ogni vento, è la promessa più grande che possiamo desiderare. Colui che promette non mente, perché è venuto a liberarci da Colui che è mentitore fin dall’origine. Ci libera dalla nostra fragilità, ci libera dalle nostre doppiezze e dai sogni sballati che ci perseguitano e che ci lasciano con la bocca amare. Quella promessa di Gesù è puro amore. Ancora Leletta ci dice: “Gesù, Dio-Uomo è l’alleanza fra il Creatore e la creatura ed è con noi fino alla fine dei secoli”. 

                                                    P. Cesare 

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