Omelia per la festa della Trasfigurazione (6 agosto 2024)

 





Potremmo dire che la festa che celebriamo oggi, la Trasfigurazione, sia la festa che meglio di tutte parla della nostra condizione di credenti, quella di una vita vissuta nel già e non ancora.

Gesù sale sulla montagna con tre dei suoi discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni.

Sale sul monte e appare loro trasfigurato. Un già di rivelazione, che mostra la realtà della divinità e la realtà futura, ma non ancora… non è ancora il momento, non ci si può fermare, non si possono fare tre tende… bisogna continuare a camminare. Quella vissuta dai discepoli è piuttosto una esperienza che dice una promessa, fa intravvedere il futuro… ma la comprensione e il compimento di questo già di cui hanno pregustato la gioia, verrà donato più avanti… dopo la risurrezione di Gesù dai morti. In questa vita Dio lo si può intuire, non lo si può conoscere totalmente… bisogna avere il coraggio di attendere.

Ma questo già e non ancora non riguarda solo la consapevolezza dei discepoli su Dio e sulla realtà futura. Concerne anche la realtà e la consapevolezza del proprio cammino.

C’è un già e non ancora anche per i discepoli di Gesù, c’è un già e non ancora anche per noi.

Forse ci diciamo già in cammino, ma non viviamo in pienezza la verità di quello che siamo chiamati ad essere.  Anche la verità di noi, dobbiamo ancora conoscerla.

È interessante notare che Gesù coinvolge in questo momento tre dei suoi discepoli: Pietro Giacomo e Giovanni. Ci verrebbe da dire: “i preferiti”, i “perfetti”.

E invece, se leggiamo i vangeli nella loro interezza, questi tre discepoli ci vengono descritti con tutti i loro pregi e difetti. Pietro, il primo, capace di grandi professioni di fede e al tempo stesso testardo nel rimproverare Gesù che annuncia la sua passione, o codardo nel rinnegare il maestro dopo tre anni di sequela. Giacomo e Giovanni amati ma anche impetuosi – loro i “figli del tuono”- coloro che non hanno scrupoli ad avanzare richieste “arriviste”. Vogliono assicurarsi i buoni posti.

E con questi tre discepoli Gesù sale sul monte e appare loro trasfigurato. Partecipi di questa esperienza i discepoli vengono in qualche modo confermati nel loro cammino, ma la trasfigurazione della vita, per somigliare alla Vita del Maestro, alla vita di Dio, trova la sua autenticità solamente dopo aver attraversato il crogiolo della Pasqua, il crogiolo di una purificazione che ci fa andare all’essenziale delle cose, che ci fa comprendere cosa è eterno e cosa passa, che ci fa sperimentare la consolazione di un Dio che accompagna il nostro cammino.

Si può narrare allora un cammino solo dopo la Pasqua… solo dopo la risurrezione dai morti… perché solo allora comprenderemo in pienezza cosa significa entrare nella Pasqua del Signore, solo allora avremo abbandonato totalmente la pretesa di salvarci da soli, gusteremo la gioia di vivere abbandonati all’opera di amore e di salvezza di Dio.

La trasfigurazione ci dona una piccola consapevolezza di quello che è il bel cammino che ci attende…

Con fiducia continuiamo a muovere i nostri passi.

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