Omelia della II domenica di Quaresima (25 febbraio 2024)

 



Abbiamo appena letto l’episodio della Trasfigurazione nella versione di Marco. Il contenuto principale di questo brano è una vera esperienza di Dio che investe totalmente i tre apostoli presenti.

   Certamente è anche il modo che Gesù sceglie per prepararli alla tremenda esperienza della sua Passione e Morte, dando una specie di anticipo della sua risurrezione gloriosa e facendo trasparire la Sua divinità nell'Umanità glorificata, e sottolinea il fatto che la nostra piena “immersione” nel mistero pasquale è l'unico mezzo che ci introduce nella Vita di Dio “convertendoci”, cioè “trasfigurandoci”,  radicalmente.

    Mosé ed Elia impersonano certamente l’uno la Legge e l’altro i Profeti (le due parti in cui tradizionalmente viene diviso il Primo Testamento): è come se Marco ci dicesse che tutta la Scrittura converge verso Cristo e gli dona la sua testimonianza, ma  sono anche collocati a fianco di Gesù per la loro singolare esperienza di Dio fatta sul monte Oreb, tra l’altro nella stessa caverna.

    Nella volta della Cappella Sistina Michelangelo rappresenta la creazione tenendo presente le pareti affrescate dai quattrocentisti fiorentini. Da una parte la vita di Gesù, sulla parete opposta la vita di Mosè. Al quarto giorno, creazione del sole e della luna, Dio viene raffigurato in tutta la sua maestà, con una mano sul sole e una sulla luna e il volto pienamente in vista. Dietro di lui c'è una figura con la stessa veste violetta che sembra fuggire: chi è? E' Dio Stesso, solo che è rivolo dalla parte della parete raffigurata con la vita di Mosè: prima dell'Incarnazione Dio può essere visto solo “di spalle”. Il volto del Creatore invece è rivolto verso la parete affrescata con la vita di Gesù: Il suo volto si può vedere nel volto di Cristo: “chi vede me vede il Padre”. E' uno stratagemma artistico che ci dice figurativamente quanto il brano della Trasfigurazione vuole dirci teologicamente.

    Per quanto riguarda Elia richiamiamo invece il brano tratto dal primo libro dei Re,19,9-18, Elia finora ha una concezione del suo Dio come di un Baal più potente di Baal, e lo ha servito con zelo, sacrificandogli addirittura dopo la disputa sul Carmelo i 450 profeti del dio inferiore, protetti dalla regina Gezabele. Però è pienamente in crisi, perché la regina cerca di ucciderlo per vendetta, ma ancor di più perché si sente l’unico profeta rimasto a difendere il puro culto del popolo di Israele. Dio lo invia a percorrere l’esodo a ritroso, e lo conduce sul mote Oreb, nella stessa caverna in cui Mosè era stato nascosto mentre la gloria di Dio passava, e aveva potuto vedere il suo Dio “di spalle” Es. 33, 18-23. Lì il suo Dio gli si manifesta “nella voce di un silenzio sottile” ed Elia capisce che Egli è totalmente altro rispetto all’idea che ne aveva, si converte, si trasfigura, capisce che ci sono altri fedeli al suo Dio e che ha bisogno anche di loro per restaurare la fede di Israele nella sua purezza originale. E’ come se marco ci dicesse che Pietro, Giacomo e Giovanni sono chiamati, a fare un’esperienza della divinità analoga a quella fatta dai due rappresentanti per eccellenza del primo testamento.

   Al centro del brano, ancora una volta c'è il Mistero Pasquale (Luca aggiunge che Mosè ed Elia “parlavano con Gesù della sua dipartita da Gerusalemme”), e, nello stesso tempo è un'esperienza anticipata di paradiso, che a Pietro fa dimenticare se stesso, ed egli desidera organizzare le cose in modo che si prolunghi il più possibile.

    Ci si può chiedere se i tre apostoli vedono qualcosa di reale con gli occhi di carne oppure se Gesù “trasfigura” i loro sensi in modo da far loro contemplare l'invisibile. Questi “sensi trasfigurati” sono quelli che ci immergono nella percezione del mistero quando celebriamo la liturgia. Essa ci trasforma immergendoci in Cristo vivo sotto quel particolare mistero celebrato, e apre uno spiraglio sull'eternità pur senza farci uscire dal tempo.

   Anche qui il Padre manifesta il Figlio e si compiace di Lui, come nell'episodio del Battesimo  di Gesù. E la Prima lettura che abbiamo ascoltato, il Sacrificio di Isacco, è la luce sotto la quale dobbiamo contemplare la Manifestazione del Padre che ci rivela il suo grande amore per il Figlio. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Suo Figlio unigenito” Ci dirà Giovanni, talmente segnato dall’esperienza del Cristo trasfigurato da presentarci con le stesse caratteristiche, il Risorto che parla alle Chiese nelle prime pagine dell’Apocalisse. Dio non è un despota che ha bisogno della vittima purissima del Verbo incarnato per soddisfare la sua giustizia offesa dai nostri peccati. E il Creatore e Padre che mostra l’abisso della sua misericordia e del suo amore verso le sue creature ribelli mettendo nelle loro mani Colui che Egli ama profondamente: “Prendi tuo figlio, il figlio che ami, e offrimelo in sacrificio sul monte che io ti indicherò”. L’amore del Padre per noi giunge fino a consegnare suo Figlio, il più amato, per la nostra salvezza. E nessun angelo ferma la mano degli uccisori di Gesù, com'è avvenuto per Abramo. Il Padre quindi, e possiamo aggiungere anche Maria Santissima, offrono un sacrificio perfetto che supera quello di Abramo e ci ottiene la salvezza e la vita nuova in Cristo, sacerdote e vittima della nuova alleanza. Questo segno ci rivela quanto sia sconfinato l'amore del padre, e quanto sia meraviglioso il suo progetto di salvezza, sia nella Creazione che nella redenzione, progetto che Egli ha contemplato nel Figlio, quando “in Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità” sia nell’opera di Salvezza attuata attraverso il mistero pasquale: “In Lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia”, come ci ricorda l’inno di Efesini 1,3-14. Possiamo allora anche comprendere e condividere quanto sia grande la fede di Maria, che ripete sotto la Croce il “si” dell'Annunciazione, coinvolgendoci tutti quanti in esso e divenendo così per noi la Madre della Misericordia. Possiamo quindi ben cantare durante la Veglia Pasquale: “O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo hai sacrificato il Tuo Figlio!”

    L'anno liturgico è sempre una nuova, progressiva, vitale immersione nel Mistero Pasquale, in esso facciamo la stessa esperienza di Pietro, Giacomo, e Giovanni: contemplare l’invisibile; contemplare la gloria di Dio che rifulge sul volto di Cristo. Questo ci trasfigura gradualmente in Lui, e trasfigura non solo i nostri sensi, ma anche tutta la nostra persona, e fa sì che possiamo guardare uomini e cose con gli stessi occhi di Gesù, amarli con il suo stesso cuore, trattarli con la sua stessa mitezza, verità e misericordia.  Questo trasfigurerà totalmente anche i nostri rapporti con gli altri e tutte le nostre comunità, sia parrocchiali, che familiari che religiose, coinvolgendo tutta la Chiesa e tutta la creazione, attuando già, anche se non ancora,  il disegno del Padre di “ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra”.


Fr Gabriele


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