Omelia della I domenica di Quaresima (18 febbraio 2024)
Il Vangelo di Marco non racconta le tre tentazioni di Gesù nel deserto, ma nella sua
laconicità ci dice molte cose, l’essenziale. Non è una storia del passato, è la nostra vita
cristiana, al seguito del Redentore. Abbiamo lo Spirito, che è Colui che è stato presente in
ogni passo di Gesù, fin dall’Annunciazione a Maria. È la presenza del Padre che non
abbandona il Figlio né i figli; è il segno della Trinità all’opera in un volere comune per la
salvezza, il bene dell’umanità. È Colui che oggi spinge Gesù nel deserto, in una misteriosa
preparazione alla missione che, dopo il Battesimo di Giovanni nel Giordano, si apriva
davanti al Verbo Incarnato. Possiamo stupirci che il Verbo di Dio abbia provato la necessità
di questo tempo di solitudine, di austerità e di prova; ma per noi è la grande testimonianza
della fedeltà e dell’obbedienza di Gesù a suo Padre e della sua volontà di compiere l’opera
di redenzione senza risparmiarsi; Gesù ci ha aperto un cammino attraverso il deserto, che
porta in sé il ricordo del Paradiso Terrestre, come luogo dell’intimità con Dio e come luogo
della presenza del Tentatore, il Distruttore della creazione. Se Adamo ed Eva sono stati in
parte sconfitti, noi continuiamo la loro battaglia, forti del nostro Buon Pastore che ha cura di
noi.
Le tentazioni o prove che Satana, il nemico di Dio, mette in atto, in questo Vangelo non
sono tre rapidi momenti, ma un lungo lavoro di scelta, di decisione, di rinuncia a cui la
natura umana del Verbo ha voluto essere sottoposta, per squarciare quel dominio, che
sembrava intangibile, del demonio sulla creazione. Gesù in quella lotta ci ha aperto la porta
della salvezza, passandovi senza essere vinto e impedendo che tutto si richiudesse e noi
rimanessimo definitivamente prigionieri.
Ognuno è messo alla prova e deve sostenerla per dichiarare il suo amore: chi è l’oggetto del
nostro amore? E non si può amare senza preferire e quindi rinunciando e dando.
Rinunciando alle cose e dando se stessi. Non c’è altra via. Un giorno Gesù esprimerà questa
necessità dicendo: Non si possono servire due padroni, non si può servire a Dio e a
Mammona, cioè tutta la potenza mondana che si compra e si manipola col denaro. La scelta
è fra la gratuità dell’Amore e il potere della ricchezza, qualunque essa sia: dare o prendere.
Lo Spirito, Gesù e Satana insieme nel deserto, in un luogo dove la solitudine e la povertà
fanno sì che si scatenino tutte le passioni: la bramosia di ciò che manca o la dolcezza del
silenzio avvolgente di Dio, di Dio solo. Questo deserto non deve essere cercato in zone in
cui il sole brucia la terra, ma là dove l’uomo si trova davanti a se stesso e trema perché sente
di avere in mano il suo destino. Può aver paura e buttarsi in tutte le seduzioni che lo
rassicurano, ma in modo fallace, o, se segue la vera Sapienza, può riconoscere che lo Spirito
è con lui e lo spinge verso il compimento della sua missione sulla terra.
Gesù, lo Spirito, il Seduttore. Con questi tre vi sono le bestie selvatiche e gli angeli che
servono: è la nostra condizione umana. Il compito di dominare il mondo, non di schiacciarlo
o rovinarlo, ma renderlo amico, è stato dato all’uomo fin dalla creazione, così Gesù stava
con le bestie selvatiche, in una terra che poteva sembrare ostile, ma l’Uomo, Gesù, l’ha resa
domestica Stava anche con tutta la creazione degli spiriti che hanno scelto di servire Dio e
che per suo amore ci servono.
In una terra devastata dalla guerra, dalla violenza, dall’inimicizia, il deserto di Gesù, pur
rimanendo una terra che si presenta ostile, diventa una terra amica, un luogo dove il dono di
sé è lo stile di vita, dove la presenza del Dio Padre provvedente e amante permette all’uomo
di vivere, e dove l’obbedienza piena di amore e di umiltà del Figlio restituisce la creazione
al Creatore e all’umanità. Questa è la nostra terra, che ci è data come palestra in cui la prova
può essere faticosa, ma in cui l’uomo è ricostruito. Terra dell’alleanza fra Dio e gli uomini e
fra gli uomini fra di loro e con la natura, terra lavata non tanto da un diluvio distruttore,
come al tempo di Noè, che Dio non vuole, ma dall’abbondanza della Grazia.
Come dice San Pietro: “Quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi;
non porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di
una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo”.
Si è aperta la porta della penitenza, o meglio della conversione, del cammino di ritorno al
Signore e in questo cammino, che ha le sue asprezze, Gesù è l’apripista e, con lo Spirito, il
Difensore di quanti lo seguono. La nostra Quaresima è dunque tempo di fede e di fiducia,
che ci permette di avere il coraggio di vincere quanto si oppone alla nostra vera felicità e di
giungere là dove, ricevendo le ceneri, siamo stati invitati ad arrivare: “Il tempo è compiuto e
il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”.
P. Cesare
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