Omelia festa della Santa Famiglia 29/12/2019

Quest’anno la liturgia, proponendoci il vangelo secondo Matteo, ci ha fatto guardare alle feste natalizie dal punto di vista di Giuseppe.
Domenica scorsa, pochi giorni prima del Natale, abbiamo ascoltato come Giuseppe -tra il dubbio iniziale e l’invito dell’angelo a non temere- ha accolto l’annuncio del concepimento di Maria per opera dello Spirito santo; e oggi Matteo ci racconta gli spostamenti, i viaggi compiuti della santa famiglia dopo la nascita di Gesù.
Tutto quello che i Vangeli ci hanno trasmesso di Giuseppe sta in questi due passi, senza tra l’altro riportare alcuna sua parola. Giuseppe è un uomo che non pronuncia parola, ma che prende la Parola di Dio e la realizza. Ma è bello osservare, in questi pochi versetti a lui dedicati, che anche per lui si compie una vera e propria conversione nel suo modo di porsi dinnanzi alla Parola di Dio. Anche lui è chiamato a raffinare il suo rapporto con le Scritture.
Ad un certo punto capisce che voler prendere alla lettera la Legge lo condurrebbe a tradire, anziché realizzare il progetto di Dio. Essere un uomo giusto, vale a dire compiere le prescrizioni della legge contenute nella Torah, significava ripudiare, rimandare Maria, non essendo lui il padre del nascituro. Serviranno le parole di un angelo che gli appare in sogno: “Non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”; gli servirà questa intuizione notturna per capire che il compimento della volontà di Dio deve passare per questo atto di fiducia più che per l’adempimento di una legge.
Anche nel vangelo di oggi, a due riprese, si dice che dopo dei nuovi sogni, Giuseppe si alza, nella notte, ed esegue quanto Dio gli ha indicato. Ormai Giuseppe è entrato nell’idea, ha accettato la modalità misteriosa di manifestarsi di Dio, non nell’evidenza della luce del giorno e del nero su bianco della scrittura, ma nella notte, nel chiaro-scuro del cuore, dei desideri, delle intuizioni che richiedono un ancor più esigente e obbediente atto di fiducia, di abbandono.
Le citazioni bibliche che Matteo riporta per indicare che era già stato profetizzato, prima ancora che avvenisse, che Gesù doveva ritornare dall’Egitto, e che sarebbe stato chiamato “il nazareno”, non sono più per Giuseppe delle indicazioni di cosa dovrà fare, ma delle conferme che quanto ha fatto è stato buono, secondo la volontà di Dio che già così aveva predetto nelle Scritture.
Forse questo ci dice che anche per noi la Parola di Dio, più che essere un testo che ci dice ciò che dobbiamo fare, è innanzitutto la Parola che ci permette di rileggere la nostra vita e cogliere come Dio ha agito attraverso gli avvenimenti vissuti. Ma potremo riconoscere questi passaggi di Dio nella nostra vita solo dopo averla vissuta, solo volgendo lo sguardo all’indietro e constatando che quelle scelte per il bene, quegli atti di fiducia che abbiamo posto erano già stati benedetti da Dio prima che ancora fossero.
C’è un secondo aspetto che colgo da questi brani su Giuseppe: è la drammatica normalità della santa famiglia, la somiglianza di tante situazioni vissute dalla santa famiglia con quelle di tante ordinarie famiglie di ogni epoca. Maria e Giuseppe hanno dovuto espatriare, andare in Egitto per ragioni di sicurezza, perché in quel momento la vita del loro figlio e la loro era in pericolo. Ma tutta la storia dell’umanità è percorsa da questa periodica necessità di lasciare la propria terra, per ragioni di crisi economiche, di povertà, calamità naturali, di carestie, persecuzioni o guerre.
E anche nell’ordinario vivere di ogni giorno, quando vanno a stabilirsi a Nazaret, in Galilea, in periferia, lontano dal cuore della nazione e della religione che è Gerusalemme, -può forse venire qualcosa di buono da Nazaret?- dirà Natanaele la prima volta che sentirà parlare di Gesù; anche in questo vivere ai margini, in questo vivere lontani -per una ragione o per l’altra- dalle condizioni ideali, la santa famiglia assume la normalità della vita dei più.
Ma penso anche a quel dubbio iniziale di Giuseppe, se prendere con sé Maria, come possa assomigliare, al di là delle motivazioni, al dubbio di ciascuno di noi dinnanzi a una scelta che ci impegna per tutta la vita, dinnanzi a un “per sempre” che ci lega a una persona, una comunità, una professione.
Abbiamo tutti bisogno di un angelo che ci dica: “non temere, va’ avanti, compi il passo che oggi ti è chiesto, senza pretendere di vedere già tutto il cammino compiuto. Senza pretendere di sapere come si compirà il tuo cammino, quali periferie e terre straniere dovrai attraversare o abitare prima di giungere alla meta”.
Come Giuseppe, come la santa famiglia, nell’accogliere la vita, in maniera piena, ma nello stesso tempo anche così come è data, possiamo fare nostra una preghiera di papa Giovanni XXIII, di cui leggo solo alcuni passaggi:
Solo per oggi cercherò di vivere alla giornata senza voler risolvere i problemi della mia vita tutti in una volta. …
Solo per oggi mi adatterò alle circostanze, senza pretendere che le circostanze si adattino ai miei desideri.
Solo per oggi dedicherò dieci minuti del mio tempo a sedere in silenzio ascoltando Dio …
Solo per oggi saprò dal profondo del cuore, nonostante le apparenze, che l'esistenza si prende cura di me come nessun altro al mondo.
Solo per oggi non avrò timori. In modo particolare non avrò paura di godere di ciò che è bello e di credere nell'Amore.
Posso ben fare per dodici ore ciò che mi sgomenterebbe se pensassi di doverlo fare tutta la vita.
fr Amedeo

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