Omelia del giorno di Natale 25 Dicembre 2019

Non possiamo vivere senza sguardi. Li cerchiamo a volte in modo maldestro e malato. Li pretendiamo a volte.
Sguardi attesi e negati, sguardi aggressivi e irrispettosi lasciano nelle persone ferite che tutta una vita non riesce a guarire. Ma ci sono modi belli per costruire le occasioni per scambiarsi degli sguardi generatori di vita. Il pranzo di Natale è uno di questi.
Non tutti gli sguardi sono uguali. C’è da sperare che almeno una volta in vita ci siamo sentito addosso uno sguardo che ci ha saputo anticipare, che ha letto il nostro dolore, che ha capito i nostri desideri che ha individuato e sciolto le nostre paure. Sguardi così, sono sguardi luminosi.
Di una sguardo di questo tipo ha lasciato traccia Giovanni quando scrive nel cantico che apre il suo Vangelo: Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Se seguiamo le impronte lasciate dagli sguardi di Gesù, scopriamo che Giovanni ricorda in modo indelebile il momento quando il suo primo maestro, Giovanni Battista, lo ha indirizzato al Rabbi che passava e questo lo aveva osservato chiedendogli “cosa cerchi ?”, ma era come se lo sapesse già. Giovanni ricorda ancora il momento esatto quando il suo sguardo si incrociato con quello di Gesù che aveva saputo dire le parole che gli mancavano.
Poi, quante volte Giovanni ha assistito agli sguardi di Gesù. Quello verso la Samaritana di cui il maestro aveva saputo leggere il desiderio profondo “Dov’è l’uomo che cerchi ? Non lo hai ancora incontrato”. Oppure il modo con cui Gesù ha capito la stanchezza della folla per cui ha moltiplicato il pane. O ancora quando ha dissolto lo sguardo della gente sul cieco nato. Tutti si chiedevano quale colpa lo sovrastava e lui ha visto altro e gli aperto la vista.
Oppure ancora nel Vangelo di Luca quando Gesù ha stanato Zaccheo nascosto in mezzo alle foglie del sicomoro, come Adamo dietro ai cespugli. O anche quando si è identificato nel samaritano tanto indaffarato, ma che non saputo proseguire oltre alla vista di un uomo ferito e mezzo morto sul bordo della strada.
Lo sguardo di Gesù non è curioso, indagatore, manipolatore. É lo sguardo ammirato di chi dice con gli occhi “tu non sai quanto vali !”. Solo chi ha negli occhi lo sguardo di Dio stesso, può guardare così. Gesù è lo sguardo luminoso di Dio che accompagna e ammira ogni uomo e ogni donna. Uno sguardo carico di rispetto e privo di schermi che vogliano addomesticare il modo di mostrarsi e di farsi vedere.
Il gioco degli sguardi ci riporta alla sorgente della vita. In principio c’è il Verbo, la Parola che sta di fronte. Altrove è scritto che Dio disse, Non è bene che l’uomo sia solo. Farò qualcuno che gli stia di fronte. Si riparte sempre dall’incontrarsi senza schermi e oltre gli schermi con ci siamo dati l’appuntamento per stare gli uni di fronte agli altri così come siamo. Questo un pranzo e in particolare il pranzo di Natale, dove sono presenti tutte le persone importanti per noi, dove le assenze pesano di più perché qualcuno non c’è più, perché con qualcuno si è litigato e forse non basterà questa vita per incollare i piatti che si sono rotti. Ma organizzare un pranzo è ritornare alla sorgente dello stare gli uni di fronte agli altri e venire a messa è sapere che Dio custodisce per noi una speranza che ci supera. Per questo ci scambiamo la pace, che non un gesto di cortesia, ma un gesto di fede. La speranza di poter stare tutti gli uni di fronte agli altri è custodita presso Dio e la liturgia anticipa nel rito la pienezza che ci aspetta.
Il cantico di Giovanni ci dice che lo sguardo di Gesù arriva dove non possiamo arrivare. In Gesù Dio assume uno sguardo debole che implora. Il Verbo di fa carne, viene ad abitare nella nostra fragilità, prende il nostro posto, dove non riusciamo a stare. All’altro capo del racconto il Vangelo di Giovanni descrive il momento in cui, dopo il suo rinnegamento Pietro viene guardato da Gesù, ormai condannato a morte. Con quello sguardo Gesù prende il posto di Pietro e va anche per lui, fino on fondo, la dove Pietro non riesce ad arrivare. Gesù prende il nostro posto nella paura e nella debolezza. Prendendo il nostro posto realizza quello che ha annunciato il profeta Isaia nella prima lettura: Regna il tuo Dio.
Gesù ci racconta un Dio debole che si affida alla nostra custodia e cura. Il presepio ci dice della custodia affidabile di Maria e Giuseppe. Ci racconta anche dello sguardo ammirato dei pastori e degli oranti, ma allo stesso tempo chiede di moltiplicare gli sguardi e i gesti ci cura e di rispetto. Come il vento porta lontani i semi degli alberi e dei fiori, così possiamo ripetere su quelli che incontriamo lo sguardo luminoso di Gesù su di noi e lo sguardo con lui stesso prende il nostro posto e si affida a noi. In questo clima Natale è il mondo che vogliamo, il mondo che aspettiamo, il mondo che di certo verrà perché in Gesù Dio stesso ce lo ha promesso.
fr Zeno

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