Omelia per l' VIII domenica del Tempo Ordinario (2 marzo 2025 - Anno C)

 



Il Vangelo di oggi è pieno di saggi ammonimenti che riguardano la saggezza nell’uso della lingua e la capacità di realismo e di autocontrollo. Si comincia con la metafora del cieco che vuol guidare un altro cieco, e l’esito di questa pretesa è che alla fine entrambi ne ricevono danno. Anche la Regola di S. Benedetto dice che “lo stolto cammina senza direzione” anche se ci vede bene con gli occhi, riferendosi a coloro che moltiplicano le parole senza autocontrollo e poi rimarca, in positivo, che “l’uomo saggio si riconosce dalle poche e ponderate parole”.

  Da questa necessità di usare il linguaggio con saggezza deriva anche l’esortazione a non ergersi come maestri di fronte agli altri, pretendendo di togliere la pagliuzza dall’occhio di un fratello senza accorgersi della trave che è nel proprio. Veramente per la presunzione e l’ipocrisia umana non ci sono limiti, specialmente se non si esamina il proprio cuore con sincerità e umiltà, e se si è convinti di essere migliori degli altri, sputando sentenze e pretendendo di imporre i nostri falsi giudizi. Anche qui viene messo a nudo un atteggiamento tipico della mentalità farisaica: “Ti ringrazio, Signore, perché non sono come gli altri uomini … io faccio questo e quest’altro, quindi posso correggerli quando sbagliano…”. L’ipocrisia nasce sempre da un’errata valutazione di se stessi, che esagera le presunte buone qualità e chiude i propri occhi sui limiti e sui peccati, nell’illusione di essere perfetti e di poter insegnare agli altri.

    Se scorriamo i testi sapienziale del primo testamento trovimo spesso esortazioni al dominio della propria lingua e dei propri discorsi, nel Siracide, nel Qoelet, nel libro dei proverbi, e nei salmi: “ho detto, veglierò sulla mia condotta per non peccare con la mia lingua”. E nel Nuovo testamento basta leggere la lettera di S. Giacomo per convincerci che la lingua è come un piccolo timone che governa una grande nave, e che chi la sa dominare domina e controlla anche tutto il resto delle sue facoltà.

   Anche la prima lettura ci insegna a valutare gli uomini in base ai loro discorsi, anticipando quanto ci dice il vangelo con la metafore dell’albero buono che produce frutti buoni e di quello cattivo che produce frutti cattivi.

   E poi si va alla radice: Gesù ha già spiegato altrove che non c’è nulla che entri nell’uomo dall’esterno che possa contaminarlo, dichiarando puri tutti gli alimenti, e che “dal cuore dell’uomo escono tutte le malvagità e i cattivi pensieri, e le intenzioni perverse”. Tutto ciò che di peccaminoso può contaminare l’uomo esce dal suo cuore, e, quindi, bisogna lavorare incessantemente perché il cuore diventi sempre più puro, sincero, onesto con se stesso e con gli altri. La vera correzione comincia da se stessi, dalla volontà di togliere le travi che ci impediscono di veder bene i nostri limiti e così poter aiutare anche gli altri a partire dalla nostra sincera conversione, mossi dalla carità  e non dalla presunzione di “insegnare” senza prima aver appreso, soprattutto la conoscenza di noi stessi e l’onestà e obiettività delle valutazioni, sempre sotto la guida di Gesù e dello Spirito Santo.

   La bocca parla dalla pienezza del cuore, e se nel nostro cuore ascoltiamo il “maestro interiore” non faremo discorsi vani e superficiali, saremo sempre vigili su noi stessi e potremo giovare agli altri soprattutto con il buon esempio, assumendo nei loro confronti gli stessi sentimenti e atteggiamenti di Gesù. E allora il nostro albero diverrà buono e produrrà frutti buoni, soprattutto se vivremo “in Cristo” come i tralci sono uniti alla vite. “Rimanete in me, perché io possa rimanere in voi, chi rimane in me e io in lui produce molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.”

   Anche il salmo 50 prega “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo”, e solo dopo aver chiesto questo il salmista dice “insegnerò agli erranti  le tue vie, e i peccatori a te ritorneranno”

    Siamo alle porte della Quaresima, mercoledì la Chiesa ci ricorderà che siamo polvere e che dobbiamo convertirci e credere al vangelo, e le letture di oggi ci indicano una buona traccia del cammino di conversione. Purificare i nostri cuori e i nostri pensieri, avere il controllo della nostra lingua e giovare al prossimo più con l’esempio che con la parola. Fuggire l’ipocrisia e la presunzione di correggere gli altri senza prima aver corretto noi stessi. Volgerci totalmente verso Gesù, chiedendo di avere un cuore simile al suo: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi darò ristoro per le vostre anime, prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita, il mio giogo infatti è soave e il mio carico leggero”.

   Mi sembra che questo apoftegma dei padri del deserto commenti bene la Parola che abbiamo ascoltato:

 “ Alcuni fratelli stavano andando da Abba Antonio. Salendo sulla barca per recarsi da lui, trovarono un vecchio che non conoscevano e che era diretto verso lo stesso luogo. Seduti nella barca discorrevano tra loro ricordando alcune parole dei Padri e della Scrittura e parlando dei loro lavori manuali. Il vecchio taceva. Arrivati al porto, si scoprì che anch’egli andava da Abba Antonio. Quando arrivarono, quest’ultimo disse loro: “Avete trovato in questo vecchio un ottimo compagno di viaggio”. Poi disse al vecchio: “Hai trovato degli ottimi fratelli, Abba”. Il vecchio rispose: “Sono sicuramente buoni, ma la loro dimora non ha porte e chiunque può entrare quando vuole nella stalla e slegare l’asino”. Parlava così perché i fratelli dicevano tutto quello che passava loro per la testa.”

 Che il Signore produca in noi quindi frutti di sapienza e di carità.

 

                                                                                                                                          FR GABRIELE


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