Omelia per la Solennità del Corpus Domini (2 giugno 2024)



Prima di vivere la sua Passione e la sua Pasqua di morte e Risurrezione Gesù ha lasciato alla sua Chiesa l’ammirabile Mistero, che essa vive costantemente e che è il Pane del cammino di ogni credente. Quello che Mosè ha detto al popolo, e che abbiamo ascoltato pochi giorni fa nella prima lettura, rimane per sempre un oggetto di stupore, commozione e gratitudine: “Quale nazione ha un Dio così vicino, come il nostro Dio si è fatto vicino a noi?” Lo chiamiamo Emmanuele, Dio con noi; effettivamente non esiste presenza e vicinanza più grande di quella di cui Mosè, pur dicendo una cosa che viveva, era profeta ma ancora ignaro, ma che per noi, per i quali la Rivelazione che il grande patriarca ha ricevuto come primizia e seme da coltivare in terra, è giunta alla sua pienezza. In attesa di vederLo così com’è e con l’umiltà di chi non comprende, ma riconosce di essere come Maria pieno di grazia, consideriamo il Sacramento dell’altare come il centro della nostra vita e la pienezza di tutto ciò che possiamo desiderare di ricevere dal Signore. Non esiste cosa più grande. Il Padre di ogni bontà, per opera dello Spirito santo, ci dona suo Figlio, perché sia con noi e continui la sua opera di redenzione, già totalmente compiuta, ma che ora deve invadere il tempo in cui il mondo vive e si sviluppa ancora, fino al ritorno in gloria del Salvatore, quando Dio sarà tutto in tutti. Giorno che attendiamo e già viviamo sacramentalmente nell’Eucarestia e lo viviamo in comunione nel grande Mistero della Chiesa. E, come dice la parola stessa, portata dal greco alle lingue moderne, riceviamo e viviamo questo mistero centrale nella nostra vita, innanzitutto con un grande senso di ringraziamento: Eucaristia. Il Signore nella sua bontà e misericordia, non poteva pensare a un modo più grande e più intimo per esserci vicino, Lui che per questo già ha da millenni cominciato a darci la sua Parola, che nella pienezza dei tempi è diventata “carne” prendendo la nostra natura senza perdere la sua, anzi dandola anche a noi, e continua a darsi in un gesto di bontà unico che traversa i tempi nel Grande Sacramento. Noi lo riceviamo senza comprenderlo, ma in un atteggiamento di riconoscenza, di adorazione in spirito e verità, e di fiducia, dandogli quel poco che abbiamo, la nostra vita, in cambio della sua, dono infinito. Infatti, come dice la Lettera agli Ebrei: “Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.” Il suo Sangue egli stesso ha voluto chiamarlo Sangue dell’Alleanza nuova ed eterna, di cui quello di capri e di vitelli versato da Mosè sulle dodici pietre era solo una figura; Sangue versato come Alleanza in favore della moltitudine che ha voluto salvare e non più di un solo popolo. Ha abolito così quel muro di separazione e continua ad abbattere tutti i muri, che purtroppo l’umanità continua a drizzare, di cui quello significato dalla circoncisione era un segno. Nell’Eucaristia si compie il desiderio del Signore, espresso nell’ultima Cena con tanta forza: “Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola,”. In un tempo in cui si parla di guerra, di distruzione, di cose feroci, in cui la vita umana sembra non aver più valore, l’Eucaristia ci salva e ci ridà la dignità che il Creatore ha voluto per noi: se il Battesimo ci rende Figli, l’Eucaristia fa di noi dei Figli che stanno seduti alla tavola del Padre e conversano con lui, animati dallo Spirito e sono una sola cosa col Figlio Unigenito, eterno col Padre, e nella pienezza di vita che lui ci ha portato. “Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti” Sono gesti che conosciamo bene, ma forse non ci fermiamo abbastanza per avvicinarci alla comprensione, al gustare la gioia che ci viene data, la forza per vivere, la possibilità di amare in un mondo che non conosce l’amore e che l’ha crocifisso quando è venuto a stare con noi per condurci al Padre. Gustiamo al Risorto, all’unità con Lui, alla Vita in pienezza, al Pane che ce la dà e al Vino dell’alleanza che ci rende amici dell’Amicizia, che è Dio stesso, e fra di noi. E non c’è nulla di più grande e di più bello di questo. “Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore” abbiamo cantato col Salmo fra le due letture e anche “A te offrirò un sacrificio di ringraziamento e invocherò il nome del Signore”. Gesù stesso si è fatto sacrificio di ringraziamento e non dobbiamo vederci innanzitutto la parte dolorosa, ma piuttosto il fatto di passare la nostra vita da uno stato di lotta per se stessi a un dono della nostra vita con quella di Gesù per essere uniti a Dio e passare dalla Tavola dell’altare al banchetto eterno nella gioia di tutti gli amici Dio.


                                                                            p. Cesare

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