Omelia per la XII domenica del Tempo Ordinario - B (23 giugno 2024)


 

È quasi nell’ordine delle cose che quando una relazione diviene familiare pensiamo di conoscere l’altra persona come le nostre tasche. Ci viene quasi spontaneo descriverla con espressioni affermative – è così! ha questo carattere ecc - piuttosto che utilizzare modi di esprimere ipotetici e/o interrogativi che lasciano aperta la possibilità di una novità, di un qualcosa non considerato.

L’altro con il quale ho una relazione di familiarità, sia esso una persona amata o odiata, stimata o invisa, è per me una persona “conosciuta” a tal punto da arrivare ad affermare che per me non ci sono misteri o sorprese. Ce ne facciamo una immagine con i contorni ben definiti, che lo fissano “per sempre” e questi confini netti che delineano una fisionomia per certi versi ci rassicura. Almeno sappiamo chi è e come è!

E così può essere anche nella nostra relazione con Dio, con il quale il rischio – a mio avviso - può essere molto più alto perché Dio è un interlocutore che rimane spesso silenzioso.

In Gesù celebriamo un Dio fatto uomo, un Dio che è “alla nostra portata”, che si fa vicino, si fa prossimo. Ma molto spesso incorriamo nel pericolo di immaginarci invece un Dio “alla nostra misura”, che è così come noi lo pensiamo, che può essere addomesticato e al quale possiamo far dire quello che vogliamo, stravolgendo completamente il significato della prossimità che Dio ha voluto con l’uomo. Se Dio in Gesù si fa vicino a noi, non è perché noi lo addomesticassimo o lo relegassimo o riducessimo in dei confini ben definiti. Ma Dio si è rivelato a noi perché, fidandoci di Lui, potessimo lasciarci condurre lì dove Lui vuole portarci, perchè fossimo chiamati a diventare una “nuova creatura” come ci ricordava san Paolo.

C’è un’altra riva verso dove il Signore ci invita, c’è una nuova umanità che il Signore vuole farci scoprire… le cose vecchie sono passate… ne stanno nascendo delle nuove!

E la pagina del Vangelo che oggi la liturgia ci consegna è molto chiara.

Sarebbe interessante leggere le pagine che precedono il brano di vangelo che abbiamo ascoltato. Gesù passa tra le strade di Galilea operando miracoli, predicando alle folle. C’è tanto fermento ma altrettanto turbamento. Gli scribi e i farisei rimangono perplessi per quanto egli opera e quanto egli dice perché oltrepassa i limiti imposti dalla legge religiosa. I familiari di Gesù si mostrano preoccupati perché non lo riconoscono più… è fuori di sé dicono parlando di Gesù.

E forse questa stessa domanda comincia ad affacciarsi nel cuore dei discepoli. Perché abbandonare le rive affollate di gente assetata della Parola per andare sulle rive di popoli pagani, forse non interessati all’insegnamento del Maestro?

In tutte le prime pagine del Vangelo di Marco, ma anche in tutto l’insegnamento di Gesù c’è uno sbilanciamento al quale Egli invita il proprio discepolo, e questo sbilanciamento ha la “cifra” dell’andare “fuori di sé”, dell’osare un passo oltre, al di là della propria comprensione e della propria conoscenza… un invito a sbilanciarsi fidandosi, ad uscire dalla zona di confort o ad abbandonare le proprie convinzioni e/o certezze. Passiamo all’altra riva!

Non è un invito che il Signore rivolge ai discepoli come quello di un maestro che non si implica. È Lui stesso che vive tutta la sua vita sbilanciata e chiede, a chi vuole seguirlo, di fare altrettanto. Non dice infatti: “passate all’altra riva!” ma invita i suoi a sposare il suo stesso movimento di abbandono: Lui che non è venuto a fare la Sua volontà ma quella del Padre.

Ed è interessante vedere con quale abbandono Egli vive la sua traversata del mare… dormendo in mezzo ad una tempesta… tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre.

Essere nelle mani del Padre, abbandonarsi a Lui, fare la Sua Volontà… questo solo basta, in questo solo il riposo.

Gesù allora invitando i suoi a passare all’altra riva, chiede di essere accolto così com’è, di essere accettato come maestro “sbilanciato”, come maestro “fuori di sé”. Ma nell’essere accolto così com’è, chiede ai suoi di diventare anch’essi così come è Lui: uomini e donne sbilanciati… per certi versi discepoli folli.

La reazione dei discepoli però non tarda a venire: in mezzo alla tempesta, verso lidi sconosciuti, senza alcun tipo di sicurezza e garanzia, la paura li attanaglia.  Siamo perduti!! Dicono a ragione svegliando Gesù. Ed è vero! Quando ci si inoltra per sentieri sconosciuti non può essere diversamente. Ci si sente perduti! Ma questo non turba affatto il maestro. Si è perduti perché si fa l’esperienza di non essere noi i padroni della vita, i condottieri del nostro cammino: c’è un altro che conduce verso la meta. È il Cristo il “traghettatore/passeur”: noi dobbiamo semplicemente mollare la presa e la pretesa di sapere il dove, il quando e il come. Una sola cosa è necessaria per noi: accogliere Gesù nella nostra barca, guardare a Lui. E se, nell’essere con Gesù, la paura ci attanaglia un po', forse è buon segno… forse per una volta veramente stiamo mollando la presa, stiamo imparando a lasciarci condurre. Passata la tempesta, attraversata la Pasqua, gioiremo del gusto dolce e leggero di una libertà e di una vita piena… su altre rive.

Chiediamo al Signore che il rumore della tempesta non ci faccia perdere la speranza di un viaggio sicuro, accompagnato dal Signore che abbiamo accolto nella nostra vita, accompagnato dal Cristo che dobbiamo accogliere così come è e non così come vogliamo farlo essere.


fr. Emanuele

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