Omelia per la XXII domenica del Tempo Ordinario (31 agosto 2025 - Anno C) FESTA DEGLI AMICI
È commovente quando si fa esperienza e si tocca con
mano quando il Signore ti raggiunge con la Sua Parola, per nutrire, per
esortare, per far vedere la realtà da una prospettiva diversa. E questo allarga
il cuore, perché si fa esperienza di un dialogo che “accade” tra Dio e l’uomo,
tra il Signore della storia e la comunità dei suoi figli! Dio non è distante!
Dio non è indifferente e dialoga con noi!
E credo che la celebrazione dell’Eucaristia sia uno dei
“luoghi” privilegiati dove questa Parola possa raggiungerci. Così oggi ci
troviamo qui, tutti insieme, a dialogare con il Signore attorno una mensa
imbandita di ricchi doni: una Parola, un pane e un vino, il dono dell’amicizia
che passa tra noi riuniti nel celebrare l’amore del Signore.
E questo dialogo, nel consueto appuntamento annuale della festa degli amici, quest’anno si colora per la memoria grata per la fedeltà dell’amore di Dio nel corso di questi 30 anni di presenza monastica qui nella valle dell’Infernotto, qui a Pra ‘d Mill. E mi sembra proprio che il Signore voglia aiutarci a rileggere il cammino fatto e voglia gettare una luce sullo stile che dovremmo continuare a conservare, sia nella vita personale che comunitaria.
Gesù ci parla di una festa, di un banchetto di nozze. E a queste nozze ci sono degli invitati. La scena può apparire buffa. Proviamo ad immaginare! Forse c’è una certa agitazione e goffaggine degli invitati che, spintonandosi, si affrettano a scegliere i posti migliori, quelli più vicini ai festeggiati. Ci si potrebbe domandare il perché di un tale atteggiamento in un semplice momento di festa. Non è un luogo dove si esercita un “potere”, un momento in cui si devono prendere decisioni importanti, per cui ci si potrebbe immaginare il desiderio di partecipare alla scelta o di influirne l’esito.
È invece un momento di festa!
Forse si potrebbe immaginare che questa agitazione esprima il
desiderio di vicinanza con gli sposi, oppure il bisogno di sapersi in una
relazione di amicizia con i festeggiati, quasi che l’intimità con essi sia
proporzionale alla distanza che c’è tra il tavolo dei festeggiati e quello degli
invitati. C’è forse semplicemente il bisogno di dire “c’ero” in un luogo di
prossimità dove nessun dettaglio della festa possa sfuggire.
Potremmo continuare ad ipotizzare tante altre possibili
letture, ma in fondo credo che una che può racchiuderle tutte sia quella di un bisogno
che abita nel cuore di ogni uomo: il desiderio di essere riconosciuto.
C’è una paura radicata e che agisce in noi, consapevolmente
o inconsapevolmente: quella di non essere riconosciuti, di non essere visti e
dunque di non esistere, di non sentirsi amati o importanti per qualcuno… in
fondo la paura che la nostra vita non abbia valore, non abbia senso. Forse non
abbiamo il coraggio o la consapevolezza per dirlo in questi termini. Ma è
questa una paura reale, che rischia di bloccare il cammino e di condizionare la
nostra vita, in ogni scelta.
Il nostro agire rischia di essere condizionato dal desiderio di avere un “contraccambio”, o funzionale ad ottenere un riconoscimento. Può essere un agire che cerca di “strappare” alla vita i primi posti, o un agire che cerca di comprarsi i favori di amici, parenti, gente influente per essere visti, riconosciuti.
Ma tutto questo rende schiavi e la vita, vissuta sotto
questa luce, diventa drammaticamente soffocante, sempre inquieta e senza mai
trovare riposo.
Con la Parola di questo Vangelo il Signore ci raggiunge come dicendoci: “dove è che riposa la tua vita? perché ti agiti per strappare vita alla vita, quando la Vita è lì a disposizione, in abbondanza e si offre gratuitamente?
Dove si trova il tuo
“tesoro”?”
C’è una beatitudine, ci dice Gesù nel Vangelo, che riposa
nel non avere il contraccambio da coloro verso i quali il tuo agire è rivolto, nello scegliere gli ultimi posti.
C’è una beatitudine che viene da un agire gratuito. E questa beatitudine non
riposa solo nella promessa di una ricompensa alla fine dei tempi, ma riposa nel
sapere che già ora, quel riconoscimento di cui abbiamo bisogno per rimanere in
vita, viene da un Dio che si prende cura di noi. Non abbiamo bisogno di andare
ad elemosinare le briciole di un riconoscimento dai “potenti di questo mondo”. Ciò
di cui abbiamo bisogno ci è elargito con gratuità ogni giorno. È questa la via
dell’abbandono fiducioso in Dio, la via dell’umiltà. Bisogna fermarsi per
riconoscerlo!
Se osiamo muovere i passi verso questo stile di vita, allora sperimenteremo la gioia di sapersi amati, raggiunti, molto più di tanti percorsi che cercano di “guadagnarsi” la vita, strappando i primi posti, in una logica tremendamente competitiva, o mostrando le nostre virtù per acquisire dei meriti.
Se osiamo mollare la presa su questa logica “retributiva/contabile”
sperimenteremo quell’abbraccio che ben è rappresentato nella statua di questa
nostra chiesa. In Maria, umile e povera, ci sono le braccia dell’umanità in
attesa… consapevoli di non poterci dare la vita. Nel bambino Gesù c’è il
desiderio di raggiungere questa umanità ferita. Sembra quasi voler scoperchiare
i tetti, come per dire che al Signore niente è impossibile e che quell’abbraccio
si compie, non perché siamo bravi noi, ma perché Lui lo vuole, Lui lo desidera.
Beati noi, allora, se viviamo nella gratuità, perché sperimenteremo l’abbraccio del gratuito amore di Dio che sempre ci precede e ci viene offerto al di la dei nostri meriti.
In questo giorno nel quale desideriamo fare memoria dei trent’anni di presenza qui a Pra ‘d Mill il Signore dialoga con noi con questa pagina di Vangelo. È forse una parola che ci aiuta ad entrare in questa azione di grazie con i giusti sentimenti.
Non siamo infatti qui per celebrare l’impresa di una comunità
o di un gruppo che si è lanciato in una avventura… per quanto il cammino di
questi trent’anni sia stato anche una avventura!
Non siamo qui per chiedere un riconoscimento per il bene
fatto in questi trent’anni o per essere riconosciuti nella bontà della nostra
vocazione o per sentirci dire se siamo stati bravi. No! La nostra gioia si deve
radicare altrove. Siamo qui per lodare
con voi il Signore che sempre ci precede e che ci ama gratuitamente. Dobbiamo e
vogliamo riconoscerlo. Noi con le nostre poche forze non possiamo fare nulla.
Siamo una piccola comunità, anche ferita e ammaccata lungo il corso di questi
trent’anni… ma desideriamo rimanere alla presenza di Colui che è a noi
presente, riconoscendo che il Signore è il “Dio con noi”.
Trent’anni di grazia! Trent’anni di stupore nel contemplare che quanto accaduto in questa valle è IL SEGNO di un Dio che DESIDERA essere con NOI.
La Sua Grazia ci ha preceduto! Non possiamo negarlo! Piccoli
e grandi prodigi sono avvenuti ed ogni piccola cosa qui ci parla dell’agire di
Dio. Ogni pietra posata, ogni losa messa, ogni evento che è stato vissuto –
ordinario o straordinario - è segno e testimonianza di un Dio che ci precede.
Senza di Lui tutto questo che oggi vediamo non sarebbe stato possibile.
Non possiamo allora rimanere in questo luogo, senza stupirci di cosa l’Amore di Dio è disposto a fare, trasformando una valle semi abbandonata, in una oasi di incontro con Lui. E non possiamo vivere più questo luogo senza coltivare lo stupore e la grandezza di quanto descritto nella lettera agli Ebrei. Ogni volta che entriamo in chiesa, o che dimoriamo tra le mura di questo monastero, o ci incamminiamo nei boschi qui intorno, dobbiamo renderci conto delle grazie e del miracolo che continua ad accadere: non abitiamo oscurità, tenebra e tempesta, ma ci è dato di accostarci alla Città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste… a Gesù. Anche questo luogo e queste mura ci parlano di Dio presente, che agisce, e che nel Suo amore ci riconosce come figli.
Viviamo
allora questa giornata rendendo grazie, ma anche coltivando continuamente lo
stupore di un Dio vicino. Radicati in questa consapevolezza potremmo dirci
beati!
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