Omelia per la XXI domenica del Tempo Ordinario (24 agosto 2025 - Anno C)

                   


Nelle letture di oggi ci sono due aspetti apparentemente contraddittori: nella prima lettura, tratta dal profeta Isaia, si prospetta una salvezza universale destinata a tutti i popoli, nel Vangelo Gesù sembra invitare a sforzarsi di entrare per una porta stretta, quindi a riferirsi a pochi salvati, anche se la fine del brano evangelico riprende la prospettiva universalistica di Isaia. Nella mentalità esclusivista dei farisei del tempo di Gesù è comprensibile la domanda rivoltagli da quel tale all’inizio del vangelo: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. E’ una tentazione che può prendere anche noi: il desiderio di sapere quanti si salvano, e possibilmente anche se noi siamo in quel numero.  Fariseo significa “separato”, era una categoria molto attenta alle distinzioni e alle discriminazioni in base all’osservanza della legge e dei precetti della tradizione, amavano distinguere tra “noi” e “gli altri” e giudicare chi era degno o indegno di essere salvato. Gesù, come al solito, non risponde alla domanda, ma cambia radicalmente la prospettiva: non è importante sapere chi si salva e chi no, ma sforzarsi di entrare nel regno di Dio, il che prevede un cammino arduo e difficile, un cambiamento di cuore e di mentalità, una conversione continua, e non solo un sentirsi “a posto” perché si osservano tutte le prescrizioni della Legge. E oltretutto si tratta di abbandonare un prospettiva di salvezza esclusivamente personale mettendo al primo posto la salvezza di tutti, per la quale dobbiamo soprattutto operare. Questo cozza irrimediabilmente contro l’individualismo e la mentalità odierna, sempre pronta ad assolutizzare il proprio benessere e il proprio comodo senza curarsi degli altri, come se non esistessero, o strumentalizzandoli alla nostra ascesa sociale e al nostro benessere individuale, o al limite familiare. Quello che conta invece è “passare per la porta stretta” . Un’altra sentenza di Gesù, in Luca 16,16 dice: “La Legge e i Profeti fino a Giovanni; da allora in poi viene annunciato il regno di Dio e ognuno si sforza per entrarvi”. Teniamo soprattutto presente che quest’insegnamento viene dato mentre Gesù cammina verso Gerusalemme, dove anch’Egli entrerà nella sua gloria passando per la “porta stretta” della sua passione e morte. Chi entra nel regno di Dio deve passare attraverso il mistero pasquale e morire e risorgere ogni giorno, condividendo la vita e il destino di Gesù, accogliendo tutte le esigenze radicali della sequela: non basta osservare dei precetti, e nemmeno la familiarità con Gesù ( “… abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai predicato nelle nostre piazze”), bisogna essere sobri e vigilanti, lasciare tutto per seguirlo, non avere dove posare il capo, passare dalla prospettiva dell’osservanza a quella dell’amore, che non ha limiti nel dono di sé … altrimenti busseremo invano alla sua porta, come le vergini stolte, impreparate ad accoglierlo, e ci sentiremo dire: “non ti conosco!”. Se la ricompensa dell’appartenere al regno di Dio è la vita eterna, comprendiamo anche molto bene quella parabola così “antisindacale” degli operai mandati nella vigna del Signore a ore diverse, con quel detto che la collega al brano di oggi: “Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi, e alcuni tra i primi che saranno ultimi”. In questa sentenza quasi certamente Luca sintetizza la storia della salvezza velando nei “primi” gli appartenenti all’antica alleanza, e negli ultimi i pagani che accolgono la persona e il messaggio di Cristo convertendosi a lui. E’ la prospettiva tipicamente paolina che si riflette nel suo collaboratore stretto, appunto l’evangelista Luca: “Era necessario che per primi predicassimo la Parola a voi (israeliti) ma poiché la respingete noi ci rivolgiamo ai pagani”. E in questo si concilia la chiamata universale alla salvezza per tutti i popoli con l’esigenza di entrare per la porta stretta. Non è tanto importante sapere chi si salva o no, o quanti sono gli eletti: ciò che conta è impiegare tutte le proprie energie per seguire e imitare Cristo, sforzandoci di entrare nel regno di Dio e anteponendo la salvezza di tutti alla propria salvezza personale, che ne è solo una conseguenza, preoccupati non tanto di sentirci a posto o di essere sicuramente nel numero degli eletti, ma lavorando prima di tutto perché “tutti si salvino e giungano alla conoscenza della verità”

; perché Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. E questo comporta entrare per la porta stretta del mistero pasquale, assumere lo stesso atteggiamento di umiltà ed obbedienza del Figlio, che dona il suo Corpo e versa il suo Sangue per noi e per tutti per la remissione dei peccati. In questa prospettiva comprendiamo anche le “correzioni di Dio” di cui ci parla la seconda lettura. L’atteggiamento di conversione continua per lasciare il nostro protagonismo, egocentrismo e autonomia comporta dei distacchi molto dolorosi da quella che S. Benedetto definisce la “volontà propria”, che alimenta uno zelo che conduce alla morte, e in molti casi Dio, come buon vignaiolo, deve potare le nostre cattive abitudini per farci portare più frutto. Ebbene queste “punizioni” non sono altro che il segno del suo amore di Padre per ciascuno di noi: “qual’è il figlio che non è corretto dal Padre?” E, man mano maturiamo nella vita cristiana, le riconosciamo provvidenziali come i colpi di martello e di scalpello che scolpiscono in noi l’immagine di Cristo, togliendo ciò che è duro o deforme per assimilarci a Lui nella donazione totale di noi stessi per la salvezza di tutti e per la diffusione del regno di Dio in tutti i cuori. L’elezione di Israele, nella prospettiva del profeta Isaia, era funzionale alla salvezza di tutti i popoli, essi dovevano servire da tramite perché tutti giungessero alla città santa per adorare Dio insieme a Israele, e partecipassero con loro al banchetto della salvezza, ma il popolo della prima alleanza ne aveva fatto un tesoro geloso ed esclusivo (Vedi la parabola dei vignaioli omicidi) preoccupandosi di distinguere bene tra i salvati e i respinti ...  era quindi necessario necessario che Dio stesso, nella persona del Figlio, passasse per primo dalla “porta stretta” del dono totale di sé (atteggiamento esattamente contrario a quello di chi si era “impossessato” della salvezza legandola alla sola appartenenza al popolo eletto e all'osservanza scrupolosa della Legge) e per questo si incarnasse, morisse e risorgesse per dare origine a un nuovo Israele aperto a tutti tutti i popoli per ricondurli alle sorgenti della salvezza. Sforzarsi di entrare nel regno di Dio è seguire Cristo in questo totale atteggiamento di dono di sé, di “auto-espropriazione” per la salvezza di tutti, il che ha come conseguenza lo spendersi interamente per il bene degli altri mettendolo sempre al di sopra del nostro bene personale, come ben ci ricorda la Regola di S. Benedetto. Questa è, in fondo, la risposta che Gesù e i suoi discepoli danno alla domanda di quel tale all’inizio del vangelo di oggi: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”.  Preghiamo perché sia anche la nostra risposta e quella di tutta la Chiesa.

fr. Gabriele 

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