Omelia per la XIX domenica del Tempo Ordinario (10 agosto 2025 - Anno C)
Non temere piccolo
gregge perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno...
è bella questa espressione con la quale Gesù inizia il suo
discorso ed è la nota con la quale dobbiamo entrare nell'ascolto della Parola
che in questa domenica ci è donata.
Se saltassimo infatti questo primo versetto potremmo certo
ritenere una parte del messaggio che il Signore ci rivolge ma rischieremmo di
accoglierlo più come un precetto morale che come una buona notizia.
Attesa, vigilanza, perseveranza... sono i temi che ricorrono. Stile di vita che i tanti padri e madri nella fede hanno vissuto e che ci sono stati trasmessi.
La prima lettura ci restituisce l’esperienza di vita di
tutto un popolo, il popolo dei giusti. Tanti volti “senza un nome” ma che hanno
giocato la loro vita su una speranza, su una promessa: l’uscita dall’Egitto,
dalla terra di schiavitù per entrare nella terra promessa. Questa prospettiva
di vita che li attendeva era stata preannunziata: la loro fede aveva posto le
sue radici in queste promesse e non aveva vacillato. Il loro cammino ne era
stato sostenuto sebbene fosse stato un cammino che si inoltrava per quarant’anni
in un deserto.
Nella seconda lettura invece i volti dei testimoni assumono connotati personali: Abramo, Isacco, Giacobbe, Sara. Le vicende di questi patriarchi sono note a tutti noi. I loro cammini non sono stati sempre lineari, le loro testimonianze non poi così troppo coerenti… ma restano comunque ai nostri occhi dei grandi nella fede. Coraggiosi hanno saputo affrontare prove grandi, dimorando nella pace di una fede salda. Una terra li attendeva, una città che Dio aveva preparato sarebbe stata la loro dimora, una discendenza avrebbe riempito la terra. E così simbolicamente anche per noi… c’è una vita a nostra disposizione, a portata di mano.
Ma come entrare in questa terra, come dimorare in questa
città, come ottenere una discendenza?
Sottile è la tentazione che rischierebbe di farci credere che la terra è il traguardo di una vita impegnata, che il tesoro è il premio di una competizione che si vince grazie alla forza di volontà, ad atti di virtù.
Il Vangelo, certo, ci invita ad una serie di azioni lodevoli:
non accumulare ma dare in elemosina, vigilare non lasciandosi assopire nel
sonno delle preoccupazioni e delle tristezze. Ci parla di un servizio
reciproco, di uno zelo per un “fare”, ci invita ad una attesa che non deve
cedere alla tentazione di colmare la “mancanza” con cibi e bevande che non
saziano ma che semplicemente “anestetizzano” la paura di un apparente “non
compimento”.
Non credo che la buona notizia che il Signore ci vuole dare sia quella di un agire per accumulare “meriti” al fine di guadagnare il premio, di intensificare sforzi per trovare un tesoro. Non si tratta di tenersi pronti come per passare un esame o per affrontare una interrogazione all’improvviso. No! Questa non è la buona notizia! Può essere una buona notizia qualcosa che invece di donarci pace e serenità ci provoca a vivere con ansia l’esito finale della nostra vita, qualcosa che alimenta la paura?
L’agire, l’attesa, la vigilanza alla quale la Parola ci
invita questa domenica non è per ottenere qualcosa che ancora non possediamo,
non è per “guadagnare” o “strappare” qualcosa alla vita.
Il Signore ci provoca per renderci conto che c’è un tesoro
che già abbiamo tra le mani, che c’è un qualcosa che già ci è stato donato e
che ci da vita e che non dobbiamo farci rubare. Siamo già stati salvati, siamo
già profondamente amati da Dio.
Allora l’attesa e la vigilanza piuttosto che essere uno
stile per guadagnare qualcosa, è la cura da esercitare verso quanto ci è stato
già donato, è il frutto dello stupore e risposta di amore che nasce dall’aver
pregustato quanto è buono il Signore. La sua premura e il suo amore ci precede,
anche se non sempre ce ne rendiamo conto.
C’è qualcosa che già ci è stato dato:
non temere piccolo
gregge perché al Padre vostro è piaciuto dare
a voi il regno!
Non è una promessa, è già un compimento. Già viviamo dell’Amore del Padre, già possediamo quel Regno che il Padre ci ha promesso. Lo possediamo e il cammino di questa vita prepara il nostro cuore a rendercene conto e a far sì che questo dono porti il suo frutto… la pedagogia divina ci accompagna in tutte le fasi della nostra vita… Perché allora temere?
Il nostro agire allora può conformarsi a questa realtà:
avendo già la pienezza di vita, perché trattenere per noi e non dare in
elemosina? Sapendo che l’amore provvidente di Dio è riversato su di noi (anche
se non sempre lo percepiamo in modo sensibile) perché cedere alla paura, o alla
sonnolenza di una vita che è ripiegata su di sé e vive come se questa realtà di
grazia non esistesse?
Mi verrebbe da dire che “abbiamo le spalle coperte dall’amore di Dio”… perché allora temere come se questo amore che ci tiene in vita non ci sia? Perché lasciarci rubare la speranza dal nemico che vuole insinuarci la menzogna che la grazia di Dio non ci è stata donata? Osiamo passi di fiducia, di abbandono!
Che questo tempo di estate sia un tempo per fermarsi, per accendere le nostre lampade per prendere o recuperare la consapevolezza di questa vita divina che ci precede e che ci è donata in abbondanza. Allora il nostro cuore si dilaterà e il Signore sarà veramente il nostro tesoro, Colui che cerchiamo nel profondo del nostro essere.
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