Omelia della solennità di San Bernardo (20/08/2023 -Anno A-)

 



Può apparire strano che mentre la Chiesa tutta si ritrova oggi, come ogni domenica, a celebrare la Pasqua del Signore, nei monasteri cistercensi si celebri la festa di san Bernardo, con delle letture bibliche e delle parti proprie della messa dedicate appositamente al santo più conosciuto del nostro ordine.

Ma se da un lato questo sembrerebbe confermare la caratteristica del monachesimo di prendere una certa distanza dal mondo e dalla stessa Chiesa, per concentrare la propria attenzione e il proprio impegno in un lavoro interiore su di sé, a spese dello slancio missionario e caritativo a cui Gesù invita tutti i suoi discepoli, il vangelo che è stato scelto per la festa di san Bernardo e la vita stessa di questo santo mostrano come al contrario anche la vita monastica conserva una missione universale, a servizio della chiesa e del mondo.

Nel corso dell’ultima cena Gesù chiede al Padre che i suoi discepoli, quelli contemporanei a lui e quelli che di ogni altra epoca, arrivino a formare una cosa sola, una comunità unita dove regni la carità: “Padre santo, prego … perché tutti siano una sola cosa … perché siano perfetti nell’unità … perché l’amore sia in essi”.

L’esperienza di comunione che Gesù sulla terra ha fatto con il Padre, nei momenti di intimità con Lui che si prendeva ritirandosi in disparte a pregare, nei momenti di amicizia che coltivava con i suoi discepoli e gli amici di Betania, nei momenti di compassione vissuti accanto ai sofferenti che incontrava, questa sua intensa esperienza di comunione Gesù vuole che diventi l’anima, il motore delle comunità che si costituiranno intorno a lui: “Come tu, Padre, sei in me, e io in te, siano anch’essi in noi … siano anch’essi una sola cosa come noi siamo una sola cosa … ho fatto loro conoscere il tuo nome perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi”.

Il desiderio che Gesù ha per noi è che sperimentiamo e viviamo la bellezza della comunione con Dio, che si traduce e concretizza nell’unità e nella comunione tra noi. La comunità monastica, così come la famiglia e ogni altra forma di aggregazione dei discepoli del Signore, Egli stesso le vuole animate da questo spirito di comunione che nasce dalla relazione con Lui.

In questo senso anche il monastero trova la sua ragione di essere, favorendo, nello spazio di intimità personale con Dio e nella costituzione di una comunità di fratelli, questa duplice comunione con Dio e con gli altri.

Eppure questo non è ancora il desiderio ultimo di Gesù, e addirittura una tale comunità, una tale famiglia, rischiano di mancare alla loro missione ultima, se si limitassero a costituire un’isola felice richiudendosi su se stesse. A due riprese nel breve vangelo di oggi Gesù chiede al Padre che questi luoghi di comunione, siano essi la famiglia o la comunità, divengano la testimonianza viva per il mondo che Lui è stato mandato dal Padre; in altre parole, che l’amore che traspare dalle relazioni tra i suoi discepoli testimoni la divinità del Maestro, che Gesù è veramente il Figlio di Dio e che ogni uomo possa credere che Dio ha visitato il suo popolo, che Gesù è l’Emmanuele, il Dio con noi: “siano una sola cosa affinché il mondo creda che tu mi hai mandato … siano perfetti nell’unità perché il mondo conosca che tu mi hai mandato”.

L’invio del Figlio nel mondo è per l’evangelista Giovanni il segno più evidente dell’amore di Dio per gli uomini: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto ma abbia la vita eterna (Gv 3,16)”.

È quindi un annuncio “per contagio”, che avviene cioè attraverso la semplice emanazione dell’esperienza che Gesù prima, e i suoi discepoli poi, hanno fatto dell’amore del Padre, come una città posta sopra un monte, che non può rimanere nascosta.

Nella seconda lettura san Paolo sembra aggiungere l’anello iniziale di questa catena. Assunto un atteggiamento orante simile a quello di Gesù, “piego le ginocchia davanti al Padre”, la sua preghiera è che Egli “ci conceda di essere rafforzati nell’uomo interiore mediante il suo Spirito”. La testimonianza dell’amore di Dio che la Chiesa nel suo insieme può dare al mondo trova il suo nucleo nel cuore purificato di ogni suo membro, in quel lavoro interiore di unificazione e di inabitazione di Dio in ciascuno di noi: “Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così siate in grado di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio (Ef 3,17-19)”.

Una inabitazione, secondo tanti santi tra cui Bernardo, che è il frutto più un abbassamento che di un’elevazione, perché Dio, incarnandosi, ha voluto abbassarsi, spogliarsi, farsi trovare nella nostra umana povertà. “Abbassati, fatti piccolo -scrive san Bernardo- e allora lo avrai conquistato … poiché chi ambisce cose elevate deve prima sentire la propria debolezza”. E affinché l’uomo non soccomba dinnanzi a questo abbassamento “occorre, -continua Bernardo- che l’uomo si aggrappi a questo Dio che lo abbassa, e che non nasconda l’umiliazione ai propri occhi, ma collabori con Dio che lo sta abbassando, con tutta la tenerezza del proprio amore filiale”.

È da questo incontro personale con Dio che può scaturire quell’amore verso l’altro che genera luoghi di comunione che a loro volta diventano silenzioso annuncio del desiderio di Dio di comunione con tutta l’umanità e tutto il creato.

San Bernardo con la sua vita ha mostrato questo processo e questa progressione dal particolare all’universale, rivelandosi amante tanto di una intimità personale con Dio, quanto di una comunione con i suoi fratelli di cui è stato guida, per giungere a prendersi a cuore le vicende della Chiesa e del mondo del suo tempo.

Fr Amedeo

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