Omelia della domenica XIX del T.O. (19/08/2023 -Anno A-)
La preghiera con cui il popolo riunito per lodare il Signore in questa Domenica, in cui come
ogni Domenica si ricorda la Risurrezione del Signore, si prepara a ricevere il dono della
Parola di Dio, ci ha provocati a una riflessione. “Tu che ci dai il privilegio di chiamarti
Padre”: questo nome lo possiamo pronunciare per Grazia, ma soprattutto lo riceviamo per
illuminare la nostra intelligenza nella ricerca della conoscenza di Dio. Poter chiamare per
nome introduce a una conoscenza sempre più intima, infatti la stessa preghiera ci fa
chiedere: “fa' crescere in noi lo spirito di figli adottivi”. Non è solo questione di sapere
intellettualmente, ma di crescere (una crescita che non è mai terminata, e mai terminerà,
perché Dio è infinito) nello spirito di figli e quindi in una giusta relazione con Colui che ci
ha creati, amati, salvati e ci attende per darci l’eredità promessa.
L’esperienza dell’incontro del grande profeta Elia con Dio, di cui abbiamo sentito il
racconto, comincia con una purificazione del nostro pensiero su Dio. Il vento che spacca le
rocce, il terremoto che scuote la terra e il fuoco che divora tutto ciò che incontra non sono
una vera parola su Dio: il Signore non era nel vento, né nel terremoto, né nel fuoco. Forza,
violenza, terrore, morte non sono il volto di Dio. Solo una volta Dio si è mostrato nel fuoco,
a Mosè nel roveto ardente, ma in un fuoco che non consumava. Eppure sta scritto: Dio è un
fuoco divorante. È qualcosa che c’è nel cuore dell’uomo: l’immagine di un Dio che fa
paura. Elia ha capito che prima di ricevere la sua missione definitiva doveva purificare il
suo sguardo su Dio: sussurro di brezza leggera o voce di sottile silenzio; qualcosa che
ricorda una dolce carezza materna o paterna.
Nel Vangelo vediamo Gesù, il nostro Dio Onnipotente, presentarsi nel cuore della tempesta,
nel momento dell’estrema fatica e del timore di non farcela, con una parola che rassicura:
“Coraggio, sono io, non abbiate paura!” Se è lui il cuore può restare in pace. Chi può
dominare la tempesta e addirittura camminare sul mare infuriato, se non Colui che è più
potente del mare, e che ci dona la forza di vincere anche noi con Lui tutte le tempeste della
vita?
La storia della Chiesa ha come filo rosso questa vittoria del credente, anche se il contesto,
fuori o dentro la Chiesa stessa, sembra essere come un rintocco dell’ultima ora. La
persecuzione, nelle sue innumerevoli forme, è sempre un mare che si scaglia contro il
credente. Pietro, come sempre, è il primo: come ha saputo essere il primo nella professione
di fede: “Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente”, è anche il più impetuoso nel volersi
gettare nel Signore. Ma è anche il primo a gridare per la paura: “Signore, salvami!”. Il primo
a ricevere il rimprovero: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” Dal Papa al più piccolo
battezzato che prende coscienza della sua fede, tutti possiamo sentire questa frase, come
rivolta a noi. Quanti inciampi nel nostro cammino di fede, in cui si intrecciano la fede e il
dubbio, la fiducia e la paura, lo slancio e la timidezza. Gesù prega per noi, veglia nella notte
e la sua preghiera domina le tempeste, ma quando siamo all’estremo della nostra lotta, del
voler essere fedeli e al colmo dell’esperienza del non potercela fare, Lui si mostra e ci
chiede di andare a Lui sopra le onde della tempesta. Qui, come nella desolazione del
sepolcro, il suo presentarsi non ci pare reale, lo crediamo un fantasma che aumenta la nostra
paura. Gesù Vivo nella nostra vita è forse inconsistente come un fantasma, è forse
un’illusione? Gli apostoli nel Cenacolo l’hanno pensato, come l’avevano pensato sulla
barca. Ma Gesù non fa lunghi discorsi, solo brevi frasi: Sono io o Pace a voi. Queste due
frasi di saluto e presentazione hanno lo stesso significato, perché Lui è la nostra pace e si dà
a noi e la sua presenza è per noi tutto ciò che può tranquillizzare il nostro cuore e dargli la
forza per traversare il difficile mare di una vita che vuole essere la Sua, ancora e sempre
presente nel mondo.
Paolo oggi ci fa intravvedere una delle tempeste possibili, quella che ci abita tutti se amiamo
il Signore: il dolore di vedere la sua gente, il suo popolo che non accetta il Signore e sembra
tenersi fuori del dono della salvezza. Ma questo tormento è pieno di speranza, perché non
sono le dinamiche umane che portano la salvezza, ma il Dio benedetto nei secoli, che non
abbandona nessuno ed è fedele alla sua chiamata e alle sue promesse.
Questa speranza deve abitarci, non solo per noi, ma per tutti coloro che incontriamo, che
amiamo, di cui ci sentiamo responsabili. Il Signore nella notte, nascosto nella divina gloria
Trinitaria, prega per tutti e la nostra preghiera fa coro con la sua, affinché tutti siano salvi e
nessuno si perda.
P Cesare
Commenti
Posta un commento