Omelia della II Dom di Natale (02/01/2022 -Anno C-)

 


Viviamo ancora nella gioia e nella meraviglia delle feste per la nascita nella nostra carne del Figlio di Dio, nostro Fratello e Salvatore; e la Chiesa ci dona ancora una volta da meditare il Prologo del Vangelo di San Giovanni; una pagina di grande profondità e ricchezza, sorgente di preghiera e di vita autentica cristiana. 

Alcune frasi possiamo impararle a memoria, sia per comprenderle sempre meglio, perché sono una finestra aperta sul mistero e quindi non possiamo mai dire di averle completamente capite, sia per suscitare nel nostro cuore una preghiera, risposta e lode per il dono che abbiamo ricevuto. Ma quello che abbiamo ascoltato è il Vangelo dell’Incarnazione e, facendolo entrare nel nostro cuore e nelle nostre vene, impariamo ad essere veri testimoni di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. 

Per questo voglio partire da una frase del Papa Francesco, nella sua prima esortazione apostolica, l’Evangelii Gaudium (88), che ci dice: “Il Figlio di Dio nella sua Incarnazione ci ha invitati alla rivoluzione della tenerezza”. Una parola molto forte: pensare a Natale, a un Bambino che nasce, come a una rivoluzione sembra strano, ma cos’è la conversione che ci chiede se non una vera rivoluzione che parte da dentro di noi e si manifesta negli atti? Certo non deve essere una rivoluzione violenta, con teste tagliate e persone fucilate, ma non deve neanche mancarle una certa energia, una grinta che testimonia dell’Amore assoluto. 

La rivoluzione della tenerezza la troviamo già in Dio: alcuni salmi ne parlano esplicitamente: volgiti a me nella tua grande tenerezza, dice l’uomo sommerso dal dolore e dall’angoscia, come da un mare, ma troviamo anche una definizione di Dio come pietà e tenerezza, buono verso tutti e la cui tenerezza si espande su tutte le creature. 

Per esprimere la grandezza del suo cuore in Geremia il Signore dice: “Non è forse Efraim un figlio caro per me, un mio fanciullo prediletto? Infatti dopo averlo minacciato, me ne ricordo sempre più vivamente. Per questo le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui profonda tenerezza”. E’ il Signore stesso, dunque, che rivoluziona la figura di Dio, del Dio Onnipotente e talvolta terribile, in quella di una tenerezza paterna. 

E l’Incarnazione è il grande segno di questa tenerezza, una tenerezza che il Vangelo di oggi fa scendere dalla Trinità stessa. In principio il Padre e il Figlio si guardavano con tenerezza e da questo sguardo è venuta la volontà della creazione ed infine quella della Redenzione, perché la tenerezza è amore e l’amore si espande. Facendosi uomo, Dio ha manifestato per prima cosa la sua tenerezza per noi e solo in seguito, strettamente legato alla tenerezza, l’esempio di una vita che risponde con gioia alla tenerezza ricevuta. Tanto che Paolo nella lettera ai Filippesi può dire: “Se dunque v'è qualche consolazione in Cristo, se vi è qualche conforto d'amore, se vi è qualche comunione di Spirito, se vi è qualche tenerezza di affetto e qualche compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire”; la rivoluzione che l’Incarnazione ci ha portato è dunque quella di avere una comunione d’affetto fra di noi quale è già in Dio Trinità. Nella lettera agli Efesini, che abbiamo ascoltato, anche se non c’è la parola tenerezza, c’è la scelta di essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d'amore della sua volontà. 

Nella contemplazione che riempie il suo cuore, contemplazione che sgorga dal suo ricordo dell’intimità di discepolo e di amico del Signore, San Giovanni dice chiaramente: “A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”. Come il Figlio diletto del Padre porta in sé tutta la tenerezza che riceve eternamente e incarnandosi l’ha tradotta in un affetto e una compassione umana, così la nostra vita ormai rivoluzionata dall’aver accolto in noi il Verbo è e deve essere segnata dalla tenerezza, sia verso il Signore che ci ha salvati col suo Sangue, sia verso tutti i nostri fratelli per i quali lo stesso Sangue è stato versato. 

La tenerezza è una cosa bella; tutti ne abbiamo bisogno, ma anche paura, perché temiamo di rimanere indifesi, vulnerabili. Effettivamente chi è stato più vulnerabile di Gesù Cristo? Non è stato solamente ferito dalla lancia del soldato, ma ha volontariamente ricevuto insulti, beffe e tradimento. Non era impassibile, era vulnerabile e dalle sue ferite è sgorgata per noi la salvezza, un amore che lava e rende sane tutte le malattie umane, soprattutto le malattie che toccano il cuore. La tenerezza di Cristo ci guarisce e rende la nostra vita bella nonostante tutto. Con la sua Incarnazione Dio ha dato il via alla rivoluzione della tenerezza e questa rivoluzione ha toccato molti cuori, ma non ha ancora vinto il mondo nella sua crudeltà. 

Natale, giorno d’inizio di una rivoluzione che ci invita ad associarci a lei e a cambiare il mondo. Questo è il grande significato e difronte al Bambino indifeso siamo tutti almeno sfiorati dalla tenerezza di Dio. Lasciamola entrare!

P. Cesare

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