Omelia della domenica XXII del T. O. (29 Agosto 2021 - Anno B -) Prima messa di Fr Amedeo
Un anno fa ho trovato
per caso in biblioteca un libretto dal titolo “Eucaristia e fraternità” che
sottolineava il forte legame, la comunione, che già nel rito pasquale ebraico
si instaura tra chi offre il banchetto per rendere lode a Dio e i commensali
che si uniscono alla lode. Quel pane e quel vino che diventeranno il corpo e il
sangue del Signore, rappresentano già il dono della vita che Dio fa all’uomo,
dono accolto nella benedizione e nella lode, e condiviso per cementare la fraternità
tra i partecipanti. Sulla copertina del libro c’era l’immagine di due frati che
accoglievano due pellegrini, uno lavando loro i piedi, l’altro sopraggiungendo
con del pane e una brocca di vino.
Quando sono riuscito a
risalire all’immagine originale, sono comparsi altri due personaggi: un cavallo
e un terzo frate nell’intento di scaricare il fardello dalla sua schiena. La
chiesa e il campanile che comparivano sullo sfondo facevano intuire che questa
scena si svolgeva sotto il portico della foresteria del convento, e che i tre
frati implicati erano gli addetti all’accoglienza.
Con un po’ di fantasia
si potrebbe però anche immaginare che questi tre servizi raffigurati, -l’alleggerimento
del cavallo, il ristoro della lavanda dei piedi e l’offerta di un pasto-, siano svolti successivamente dalla stessa
persona: siano in fondo le tre attività affidate ad ogni battezzato. C’è una
parola latina difficile da tradurre per indicarle. I tre munera dicono
infatti allo stesso tempo i doni, le capacità, ma insieme anche i compiti che
ogni cristiano ha ricevuto e assunto: con il battesimo diventiamo profeti, re e
sacerdoti, riceviamo il dono e il compito di insegnare, di governare e di
santificare.
Innanzitutto insegnare,
annunciare la Parola di Dio. La prima lettura ci diceva che lo scopo
dell’ascolto e della messa in pratica di questa Parola è la vita: “ascoltate
le norme e leggi affinché viviate ed entriate in possesso della terra che il
Signore sta per darvi”. Ancora oggi spesso fatichiamo ad accoglierla come
una Parola che libera e dà vita; rischiamo piuttosto, come ai tempi di Gesù, di
considerarla e di renderla un pesante fardello imposto sulle spalle della
gente. Ma Gesù, che inizia la sua predicazione facendo sue le parole del
profeta Isaia, dichiara che si tratta proprio di una buona notizia: “Lo
Spirito del Signore … mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a
proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista; a rimettere in
libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc
4,18-19). Non nasconde e non nega che si tratta di una parola esigente, che
richiede una conversione continua del cuore per conformarsi sempre più a questa
Parola, a Lui stesso. E per questo propone se stesso come esempio, affinché
questa parola sia un giogo dolce, un carico leggero: a differenza degli scribi
e farisei che la impongono agli altri senza voler sollevarla nemmeno con un
dito, la sua mitezza e la sua umiltà di cuore consentono di aderire con fiducia
a questa Parola, senza d’altra parte separarsi da quanti ancora non l’hanno
accolta come Parola che guarisce e che
libera.
Che bello sarebbe se,
come battezzati, scoprissimo la capacità di riconciliazione che questa Parola
possiede; se imparassimo ad avere parole che alleggeriscono il carico, il peso
della vita, a farci carico dei pesi gli uni degli altri, per alleviarne almeno
un po’ la fatica del cammino. San Paolo la definisce proprio parola di
riconciliazione: Cristo ci ha riconciliati con Dio e ha affidato a noi il
ministero, il servizio della riconciliazione (cfr 2 Cor 5,19).
E il ministero
introduce il secondo dei tre munera, quello del potere, del governo. In quanto
battezzati, cioè immersi in Cristo, ne assumiamo anche la sua regalità.
Nell’antichità il re era il garante della giustizia, del diritto, il difensore
del popolo, in particolare dei piccoli e dei poveri. Gesù spinge ancora più in
là l’idea del potere: chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro
servitore, e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il
Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la
propria vita in riscatto per molti (Mt 20,26-28). L’esercizio del potere,
per il cristiano, è un servizio che si svolge per il bene di quanti gli sono
affidati. Gesù non nega la sua signoria, ma mostra come va vissuta mettendosi
ai piedi dei suoi discepoli: “Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite
bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi
a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un
esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv
13,13-15).
E infine, il terzo dono
e compito che riceviamo con il battesimo è quello sacerdotale. Anche qui Gesù
porta a compimento, svela il significato più vero e profondo del sacrificio,
che fin dall’antichità l’uomo ha avvertito di dover offrire a Dio. Ma già nei
salmi compare l’intuizione che più che un qualcosa di esterno a noi, -l’offerta
dell’animale, o delle primizie del raccolto-, il sacrificio che è gradito a Dio
è un cuore sincero, la purezza del cuore: “Uno spirito contrito è sacrificio
a Dio, un cuore affranto e umiliato tu o Dio non disprezzi” preghiamo nel
Salmo 50. Gesù nel vangelo di oggi ci invita proprio a unificare l’intenzione
con l’agire, a conformare il cuore alle parole della preghiera, al culto
celebrato, affinché Dio non debba più dire: “Questo popolo mi onora con le
labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto”.
Man mano cresce questa
unificazione, questa purezza del cuore, così anche tutta la nostra vita, le
nostre attività, le nostre relazioni diventano preghiera, un atto di
santificazione: “Vi esorto fratelli, scrive san Paolo, a offrire i
vostri corpi -vale a dire la vostra intera vita- come sacrificio
vivente, santo e gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale. ...
lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter
discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rom
12,1-2).
Ma, ancor più
fondamentale, lo scopo del culto e della preghiera è quello di ristabilire e
rinsaldare la comunione con Dio e tra di noi: offriamo a Dio del pane e del
vino, simboli della vita che riconosciamo di aver ricevuto dalla sua bontà, per
riaverli come suo Corpo e suo Sangue, ed entrare così in comunione con Lui e
crescere nella comunione tra di noi. L’eucaristia è il nutrimento che ci dà la
forza, ci abilita, ci rende capaci di questa comunione e riconciliazione che da
una parte desideriamo ma allo stesso tempo sperimentiamo di non esserne capaci
con le sole nostre forze.
Per concludere, ecco
allora tre segni per indicare i tre doni e i tre compiti derivanti dal nostro
battesimo, dall’essere discepoli di Gesù:
- la groppa di un
cavallo per ricordarci che ciò di cui siamo stati caricati e una buona notizia,
ciò di cui siamo stati incaricati è l’annuncio di una parola che libera e
guarisce;
- un catino d’acqua,
come segno che ogni potere che ci è affidato è un servizio, un esporre la
nostra vita per la vita degli altri;
- del pane e del vino,
simboli di quel Nutrimento che ci rende capaci di una comunione sempre più
grande con Dio e tra di noi.
Preghiamo allora gli
uni per gli altri per poter essere profeti, re e sacerdoti al modo con cui Gesù
ce l’ha insegnato.
Fr Amedeo
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