Omelia Giovedì Santo (01/04/2021 Anno B)


 

Capite quello che ho fatto per voi?

Questa domanda ci introduce nella celebrazione di quest’oggi, ma anche nel mistero che celebreremo nei prossimi giorni.

Capite quello che ho fatto per voi?

È come se Gesù esplicitasse questa domanda per risvegliare l’attenzione dei discepoli - e di noi con loro - a non lasciar correre con leggerezza quanto ha fatto, detto e compiuto.

Gesù è ben consapevole che i cuori dei suoi sono incapaci di cogliere la grandezza di quello che sta avvenendo. A Pietro dice chiaramente che i gesti che sta compiendo non li capirà subito, e lo ripeterà anche nel lungo discorso che successivamente rivolgerà ai suoi discepoli.

Anche nei prossimi giorni, contemplando la passione di Gesù, assisteremo alla non comprensione dei discepoli: ciò che Gesù fa, ciò che Egli dice, ciò che gli sta accadendo li sconvolge e li spiazza. Ne rimangono confusi e spaventati e lo lasciano da solo.

 

Stasera facciamo memoria del dono della vita divina che in Gesù passa attraverso del pane e del vino, di un amore che si manifesta nel servire e lavare i piedi ai fratelli. Una vita donata che passa dunque attraverso qualcosa di molto ordinario, nulla di eclatante, alla portata di tutti. Ma proprio perché passa attraverso questi semplici segni, grande è il rischio di ridurre il mistero dell’amore di Dio al nostro angusto e stretto orizzonte.

Capite quello che ho fatto per voi? è dunque una provocazione, un campanello di allarme… come se Gesù volesse dirci: “fate attenzione… qualcosa di grande sta passando qui”. Il gesto ha la grandezza di un piccolo seme, ma come il seme contiene un grande potenziale di vita, così ogni piccolo gesto di Gesù porta in se la vita divina!

In questi giorni, nelle celebrazioni di questa settimana santa ci viene consegnato qualcosa di grande, che ci supera e che ci invita ad oltrepassare il nostro orizzonte e siamo quindi invitati a porci davanti a quanto contempleremo con lo stupore di un bambino che cerca di cogliere la novità nascosta in ciò che vede.

 

Ogni nostra comprensione del mistero di Dio, del mistero della sua vita donata per noi è, infatti limitata e ciò che per grazia ci è dato di capire è sicuramente destinato ad essere superato. Siamo chiamati a lasciarci continuamente rinnovare, nella mente e nello spirito, per comprendere la grandezza del mistero della vita donata da Dio e per giungere a rivestire l’uomo nuovo, ossia per fare delle nostre vite, vite trasfigurate e vite donate ad immagine del nostro maestro.

 

Ma come inoltrarci in questo cammino, come lasciarci rinnovare profondamente e autenticamente?

La liturgia della parola di oggi ci consegna dei riti, che di generazione in generazione sono stati trasmessi.

Nella prima lettura ci è data la narrazione della cena pasquale che il popolo di Israele annualmente doveva ripetere come memoriale della liberazione di Dio del suo popolo dalla terra di Egitto.

Nella seconda lettura Paolo consegna il memoriale della cena di Gesù alla comunità di Corinto, un memoriale che di generazione in generazione è giunto fino a noi oggi.

Nel vangelo Gesù ci consegna il rito della lavanda dei piedi, come invito ad un servizio reciproco, e alla cura e alla carità fraterna.

 

La Parola di oggi dunque ci invita a proseguire il cammino attraverso un “fare”, un ripetere dei gesti e delle parole che ci sono stati consegnati: lo spezzare il pane, il bere da uno stesso calice, il lavarci i piedi gli uni gli altri… e ben altro: Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi, ci dice Gesù.

 

Vi è una comprensione allora che passa non attraverso una elaborazione intellettuale, ma attraverso l’imitazione. Nell’atto di ripetere i gesti di Gesù e di fare come Egli ha fatto, ci sarà dato di comprendere la profondità di quanto il Signore ci ha trasmesso, di ciò che Egli ha vissuto. Ci sarà dato di vivere della Sua stessa Vita. Con lo sguardo fisso su Gesù, desiderando comprendere l’orizzonte di Dio, la ripetizione, l’imitazione dei gesti e della vita di Gesù  trasformerà i nostri cuori. Forse come Pietro non lo capiremo ora… ma lo capiremo in seguito.

Anche San Paolo esorta gli efesini a farsi “imitatori di Dio” e a camminare “nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.”

Farci imitatori di Dio, di Cristo. Come Lui, lavare i piedi, condividere il pane, donare la propria vita e le proprie morti, perdonare… rimettersi totalmente nelle mani del Padre. Imitarlo non nelle imprese eroiche ma tentando di vivere la vita che ci è data con il Suo stile.

 

Trovo bella l’espressione di Christian de Chergé che nell’omelia del suo ultimo giovedì santo ricordava ai suoi monaci che nel giorno della loro professione avevano consegnato la loro vita per amore a Dio… senza condizioni, consegnando totalmente a Dio l’uso di questo dono… giorno dopo giorno fino all’ultimo.  

Rimettere nelle mani di Dio la realizzazione concreta delle loro vite e vivere in pienezza la testimonianza dell’amore nei piccoli gesti della vita quotidiana, imitando lo stile di Gesù, ripetendo i gesti di Gesù.

Una testimonianza di amore che si lascia consumare dai gesti di tutti i giorni, dalle relazioni ordinarie in comunità, con chi passa, negli imprevisti e nella condivisione delle gioie e delle fatiche.

E constatando che il Signore chiedeva loro, piccola comunità monastica, di imitarlo donando le loro esistenze nei piccoli dettagli della vita, Christian concludeva:

 

sappiamo per esperienza che i piccoli gesti spesso costano molto, soprattutto quando dobbiamo ripeterli tutti i giorni…. nel nostro donarci al Signore abbiamo dato il nostro cuore “all’ingrosso” a Dio e ci costa molto che Lui ce lo prenda al dettaglio. Mettersi un grembiule come Gesù, può essere altrettanto grave e solenne del dono della vita… e viceversa, dare la vita può essere semplice come mettersi un grembiule.

 

Entrando in questo triduo, fissiamo allora lo sguardo su Gesù, lasciandoci raggiungere dal suo esempio, dal suo stile e rinnovando, in Lui, il dono delle nostre vite a Dio e ai fratelli, nei piccoli atti del nostro vivere quotidiano. E chiediamo intensamente di poter essere degni di poter vivere quanto Papa Francesco scrive nella Gaudete et exsultate:

 

la comunità che custodisce i piccoli particolari dell’amore, dove i membri si prendono cura gli uni degli altri e costituiscono uno spazio aperto ed evangelizzatore, è il luogo della presenza del Risorto che la va santificando secondo il progetto del Padre.

 

P. Emanuele

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