Omelia di Natale di P. Cesare

In tutti questi mesi, quasi tutto l’anno, abbiamo sentito parlare di confinamento, distanziamento, mascherine, rimanere in casa, oltre alla serie quotidiana di numeri che ci angosciavano, accendevano speranze e il giorno dopo le deludevano. E tutti i giorni il numero delle vittime. 

Ci siamo scervellati per trovare dei gesti che rimpiazzassero un abbraccio, ma il vuoto non poteva essere colmato. Forse abbiamo imparato a sorridere con gli occhi invece che con la bocca - il che in verità è più vero! - Un anno molto particolare. 

Cosa ci dice il Natale di Gesù, del Verbo di Dio, oggi? Perché la Parola di Dio è sempre insieme universale e particolare: parla oggi, a me e a tutti. Quelle parole che ho nominato parlano di distanza, quasi di sospetto, di timore dell’altro; quindi allontanano e non fanno vedere il volto della persona. 

Oggi il Verbo si è fatto carne per essere il Dio con noi, il Dio vicino, che abbraccia, che non ha distanza, ma è più intimo a noi di noi stessi. Si è incarnato per mostrare il volto di Dio e solo i carnefici hanno buttato un velo su quel volto dell’Amore, dell’amicizia, su quello sguardo che salva. Non volevano vederlo, perché era aldi sopra della loro sopportazione: non si può far del male quando l’Innocente ti guarda. 

Oggi festeggiamo la risposta di Dio ai tanti perché ci siamo posti quest’anno, alle tante sfide lanciate verso il cielo, alle lacrime e alla paura. Oggi è nata la vita e se a Pasqua canteremo con San Paolo: Morte dov’è la tua vittoria? già oggi possiamo lanciare questa sfida a quella che è nemica dell’uomo, un nemico vinto definitivamente. 

Questa notte abbiamo contemplato la Vita nascosta in una mangiatoia e adorata da semplici pastori, che potevano dare solamente la loro meraviglia per qualcosa che non potevano capire; non la capiranno neanche i sapienti: i Rabbì, i maestri che conoscevano le Scritture. Lo Spirito santo farà capire a chi sarà dato e a chi lo accoglierà, che questo mistero di piccolezza è la risposta di Dio alla morte, al dolore, alla malattia, alle lacrime umane. 

Ecome i pastori, anche noi siamo chiamati a partire, tornare alle nostre case, ai greggi, alle veglie notturne e alle fatiche del giorno, dicendo che abbiamo visto e udito cose stupende. “pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro” ha detto il Vangelo dell’Aurora e ancora “Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori”. La prima nostra risposta è dunque lo stupore, che indica insieme la grandezza della bontà di Dio e la nostra piccolezza che non può accogliere la pienezza della Grazia, perché il Signore nella sua misericordia sorpassa infinitamente la nostra piccolezza e anche il nostro peccato. Ma questo stupore è la porta della gioia. Il secondo atteggiamento da avere, sempre dal Vangelo dell’Aurora è quello di Maria, che “da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.” Custodire non è giudicare, discutere o voler capire: è accogliere e lasciare il seme fecondo della Parola fare il suo cammino nella nostra intelligenza e nel nostro cuore. Allora anche le parole di San Giovanni, così alte e profonde, ma in fondo assai difficili, illumineranno i nostri occhi: Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”. 

 E’ ciò che festeggiamo in questo giorno e nessuna pandemia può toglierci la gioia e il senso profondo di ciò che viviamo e la grandezza i essere figli di Dio. Possiamo subire limiti che ci dispiacciono, ma facciamo attenzione a non essere di coloro che non lo accolgono perché lo aspettano altrimenti, secondo le abitudini, le tradizioni, la voglia di godere. Quest’anno siamo diretti verso la Grotta per un cammino diverso: non è più oscuro della notte dei pastori; un angelo ci guida, una stella ci indicherà il cammino e ci indicherà il luogo dove il Bambino sarà sulle ginocchia della Madre: e la Madre che ce lo presenta ancora è la Chiesa. 

Lo avvolge con le povere fasce che ha, ma non per questo non è il Re della gloria. Per San Paolo lo sarà anche sulla croce. “Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente”, abbiamo letto nella Lettera agli Ebrei. 

Ciò che abbiamo vissuto e che ancora stiamo vivendo, con legittimo dispiacere e timore, con la tristezza che ha colorato tanti mesi e i limiti che sopportiamo con fatica, non è che lo sfondo oscuro che fa risaltare la Luce, “perché il Signore ha consolato il suo popolo”, ci ha detto il profeta Isaia. Natale è la risposta del Dio-Amore al grido angosciato che si alza da tutti i confini della terra, che, come dice sempre Isaia: “vedranno la salvezza del nostro Dio.”

 

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