Omelia della domenica I di Avvento (03/12/2023 -Anno A-)

 


C’era una pratica nei monasteri dell’antichità che prevedeva che chi si presentava per diventare monaco veniva tenuto alla porta per dieci giorni. Si trovano tracce di questa usanza anche nella regola di san Benedetto, che però aveva già ridotto la durata di questa attesa a soli quattro-cinque giorni. E così, mentre pellegrini e ospiti entravano e uscivano dall’unica porta di cui era dotato il monastero, gli aspiranti assistevano a questo via vai, mettendo alla prova la loro pazienza e umiltà. A prima vista sembrerebbe l’ennesima prova delle esagerazioni e rudezze che nell’immaginario collettivo facilmente si attribuiscono a questi ambienti, e tuttavia sono questi stessi monaci a spiegare la ragione ben più profonda di questa prassi: senza nascondere il dispiacere di sottoporre gli aspiranti a questa prova, si legge infatti che l’intenzione della prolungata attesa alla porta è quella di aiutarli a riconoscere in sé il reale desiderio che li ha portati fin lì, a chiedere di entrare in monastero.

Non potrebbe essere che anche nel vangelo di oggi, dietro questo apparente tono minaccioso di vegliare per non essere presi alla sprovvista, non si nasconda invece l’invito a chiederci verso cosa è orientato il nostro desiderio, cosa realmente stiamo aspettando?

La prima lettura ci mostra come, soprattutto nei momenti di bisogno e di smarrimento, diventi più evidente il desiderio ultimo dell’uomo. L’intensità con cui lo esprime il profeta Isaia è di una forza sorprendente: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi! ... Ritorna, per amore dei tuoi servi, per amore della tua eredità!”. L’incontro con Dio può e deve diventare un desiderio alimentato sempre più dall’amore, e non certo un’attesa all’insegna della paura. Il ritorno del Signore è sinonimo del ripristino delle relazioni, della pace, della giustizia, della verità, per la cui instaurazione ci è chiesto un atteggiamento di veglia, di vigilanza: non sono in nostro potere, lo constatiamo quotidianamente, a livello domestico e internazionale, non possono essere che doni, ma doni che dobbiamo desiderare e sui quali vegliare.

E allora ecco che l’assopirsi è immagine, sempre secondo le parole di Isaia, del vagare lontano dalle vie del Signore, del lasciare indurire il cuore, cioè del diventare insensibili alle aspirazioni di pace, giustizia, verità, nostre e di chi ci sta attorno; il sonnecchiare è rinunciare ai nostri desideri profondi, soffocare l’anelito di gioia del nostro prossimo. E ancora, l’addormentarsi è sinonimo del dimenticarsi di Dio: “Nessuno invoca più il tuo nome, nessuno si risveglia per stringersi a te”; è sinonimo del ribellarsi a Lui e non nutrire più quel timore filiale che riconosce in Lui la sorgente di ogni bene.

Ma Isaia ci rivela un altro aspetto importante di questo ritorno e incontro con il Signore: esso non sta solo alla fine della storia, personale o universale che sia, al momento della nostra morte o della fine del mondo. “Quando tu compivi cose terribili che non attendavamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti”. Già il Signore si è manifestato in passato, con segni grandi e prodigi, e ad ogni istante egli è presente e ci fa esistere: “Tu, Signore, sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani”.

L’Avvento è il tempo per eccellenza in cui facciamo memoria della triplice venuta di Dio nel mondo: la sua piena manifestazione nella storia, venti secoli fa, con la nascita di Gesù Cristo, Dio fatto uomo; il suo ritorno alla fine dei tempi, compimento della storia e dell’umanità. E la sua venuta quotidiana, tutti i giorni, se poco a poco impariamo a riconoscere la sua voce in quelli che ci circondano, ad accoglierlo negli eventi che ci accadono, a dialogare con Lui nella preghiera personale e nella liturgia che celebriamo.

Riprendendo l’immagine della porta dei monasteri antichi, potremmo vivere questi giorni di Avvento vegliando, scrutando le persone che ci stanno attorno, anche quelle a prima vista più insignificanti, per cogliere e nutrirci del desiderio buono che sta dietro alle loro scelte, che le tengono ferme al loro posto, fedeli alla loro situazione, al loro lavoro, perseveranti nelle prove e nelle sofferenze; e, magari inconsciamente, anche con la nostra fedeltà al vivere quotidiano, riattizzare il desiderio di vita e di Dio in chi ci sta attorno.

Fr Amedeo

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