Omelia della domenica XXVII del T.O. (08/10/2023 -Anno A-)

 



Con questo celebre brano, che nel Vangelo di Matteo segna l’inizio di una grande sezione di parabole, seguita poi dal discorso escatologico, prima del nucleo della passione, Gesù da il senso di ciò che gli succederà.

La parabola si inserisce in una tradizione ben conosciuta, quella della vigna di Jahwéh (Is 5,1ss, Ps 79,1ss), che ci è stata riportata nella prima lettura e nel salmo responsoriale, e pone in risalto la cura con cui Dio ha scelto e “coltivato” il suo popolo.

1) Piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, come protezione alle piante sia dagli animali selvatici che dal vento del deserto: ricordiamo che in Palestina le viti vengono coltivate “raso terra” e non su filari, come da noi; 2) scava un torchio, agevolando la pigiatura dell’uva “in loco”, senza bisogno di portarla altrove. 3) Costruisce una torre che serva sia da magazzino che da vedetta. Ai vignaioli il padrone concede tutta la sua fiducia, se ne va lontano dando loro, come si suol dire “carta bianca”. Ma essi interpretano questo come un indebito possesso, impadronendosi di ciò che non è loro, avidi di frutti e di guadagni. Già questo ci fa collegare la parabola a uno dei tratti caratteristici del Profeta Isaia, che vedeva l’elezione di Israele come un servizio per tutti i popoli della terra: il tempio era stato pensato come “casa di preghiera per tutti i popoli” , scribi e farisei ne fanno una “spelonca di ladri” non solo per il commercio legato ai sacrifici, ma anche perché escludevano dal culto gli altri popoli, quasi “impossessandosi” dell’elezione come di un privilegio e non come un “servizio”universale.

Nella versione di S. Marco della stessa parabola Mc 12,1-12, risalta il fatto che il Padrone si mostra molto fedele ai patti, al contrario dei vignaioli. Manda infatti alcuni servi a prelevare i frutti “a suo tempo”, né prima né dopo: non manda a “controllare” quello che i vignaioli fanno nel frattempo, vuole solo quanto ha convenuto con loro. Questa correttezza mette ancora più in risalto per contrasto la malvagità dei vignaioli.

Al v.3: afferrano il servo: non rispettano né la sua persona né la dignità del padrone che l’ha inviato; lo bastonano: è un crescendo di violenza, e lo rimandano a mani vuote. Non solo rubano, ma insultano, percuotono, e si fanno beffe del padrone: hanno completamente perso il senso del patto e dell’Alleanza stipulata, e ben rappresentano i farisei e i capi religiosi del tempo cui la parabola è rivolta (v.12).

Ai vv 4-5 c’è un crescendo di prepotenza: non si limitano a bastonare e a mandare a mani vuote, ma percuotono sulla testa e insultano. Accecati dall’avidità non hanno più senso di giustizia e di equilibrio.

Quando ci si vuole autoaffermare si finisce inevitabilmente per calpestare ogni altro valore.

Se da una parte la violenza dei vignaioli è inaudita, dall’altra risalta la pazienza del padrone, che non si stanca di inviare i suoi servi (i profeti e i grandi che dovrebbero ricondurre Israele alla piena fedeltà all’Alleanza). Essi rispondono con la prepotenza e la violenza: uccidono e bastonano: sentono la vigna come “propria” e i frutti come “dovuti”, e probabilmente si autoconvincono di essere “a posto”.

Al v.6 Gesù si presenta come il Figlio unigenito prediletto dal Padre: “Aveva ancora uno: il Figlio prediletto”, è un dono d’amore del Padre: l’ultima possibilità data dal Padre ai vignaioli perché si convertano: “avranno rispetto almeno di mio figlio!” . E’ una definizione molto importante, che ci fa entrare nell’intimità stessa della Ss.ma Trinità, come in tutti quei brani evangelici dove il Padre si manifesta (Battesimo, Trasfigurazione). Quanta santa unicità e tenerezza in questo rapporto! E Gesù, come Figlio, non considera un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma accetta di venire tra di noi, vignaioli ostinati e violenti, per dare la vita in riparazione delle nostre colpe e per darci la vita eterna!

Quale abisso d’amore! Bene la Chiesa interpreta questo nell’Exultet: ”Felice colpa che meritasti di avere un così grande Redentore!” . E, come il Figlio “si annienta” per salvarci, così il Padre, con altrettanta generosità e misericordia ce lo dona, anche se noi lo inchioderemo su una croce, fuori delle mura della Città Santa!

I vignaioli infatti non lo percepiscono come Figlio, ma come “erede”: un concorrente pericoloso per la loro proprietà: la loro avidità fa considerare tutto solo sotto questo aspetto, da qui la decisione di ucciderlo prima ancora di averlo ascoltato (totale chiusura di cuore!): Il rimprovero che Gesù fa altrove: “voi non siete entrati nel Regno e avete impedito agli altri di entrarvi” è in questo contesto, pienamente giustificato.

Il v. 8 descrive tre azioni:

1) lo afferrano (“Sarà consegnato nelle mani dei peccatori”),

2) lo uccidono: e con quale morte! La croce è tra i supplizi più terribili, e l’uomo può veramente diventare una belva crudele contro i suoi simili. I crocifissi dovevano stare presso le porte della città, a monito di coloro che vi entravano o uscivano, e la loro sofferenza era tremenda! Oltretutto Gesù aveva subito anche la terribile flagellazione, senza tutta la sofferenza morale dovuta al peso dei nostri peccati su di lui e dal senso mortale di abbandono da parte di tutti, Padre compreso!

3) Lo gettano fuori della vigna: Gesù fu crocifisso fuori di Gerusalemme “piantagione preferita del Signore!”

Il giudizio sui vignaioli omicidi sarà attuato attraverso la Risurrezione di Gesù, che inaugurerà una nuova alleanza: “sterminerà quei malvagi e darà la vigna ad altri” il latino usa “perdet” disperderà, vanificherà quei malvagi: veramente la chiesa primitiva vivrà con la consapevolezza che la caduta di Israele (Specialmente dopo la presa di Gerusalemme nel 70 dC), sia un “giudizio di Dio che affida il suo Regno ai cristiani: nuovo Israele di Dio, vera vigna radicata in Cristo-vite.

Una religione “perfezionista”, fatta di osservanze esteriori, lontana dallo “spirito” della legge, non solo è destinata ad inaridirsi e a perire, perdendo ogni senso, ma impedisce anche agli uomini di incontrare il Dio vivente e di salvarsi. Quindi è necessario e provvidenziale che cada, soprattutto se ha calpestato i richiami di coloro che Dio, nella sua infinita misericordia, ha man mano inviato per richiamare a una vera religione del cuore e non solo delle labbra. Il pericolo c’è anche per noi. Se la nostra religiosità è simile a quella degli scribi e dei farisei non potremo essere testimoni del Risorto e non saremo quindi in grado di dare speranza al mondo.

Invece, radicati in Cristo, vera vite e pietra angolare (vv. 10-11), potremo mostrarlo al mondo: come i nostri santi hanno fatto.

In questa parabola si affaccia anche il tema della necessità della Croce, che sarà poi sviluppato dagli evangelisti in modo più compiuto nei racconti delle apparizioni del Risorto, in modo speciale nel brano dei discepoli di Emmaus. E la Croce è anche la via per ciascuno di noi per entrare nella vera vigna del Signore: la Santa Gerusalemme, risorgendo con Cristo a vita nuova perché siamo uniti a Lui, come i tralci alla vite, e condividiamo la sua vita e il suo destino.

Fr Gabriele

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