Omelia in Cena Domini Pasqua 2023 (06/04/2023 - Anno A-)

 



Entriamo con oggi nella grande celebrazione del Triduo che contempla in più giorni l’unico mistero della salvezza. Dio salva amando e lo fa donandosi nel Figlio.

Un unico dono che si declinerà in modi diversi… c’è innanzitutto un pane che è donato, come donato è

l’esempio… lo stiamo contemplando in questa celebrazione. Domani contempleremo il dono di una vita che si consegna per amore. Sabato accoglieremo il dono (faticoso da comprendere) di un silenzio e di una apparente assenza di Dio… silenzio attraverso il quale questa salvezza giunge a compimento nel dono di una resurrezione che ci indica una vita oltre la morte.

Tutto dunque può essere riassunto e descritto con la categoria del “dono”.

Il pane che oggi ci è donato porta con sé la carica simbolica di una liberazione dalla schiavitù. Proprio nella prima lettura infatti ci viene narrata la consegna di un memoriale che di generazione in generazione ogni pio israelita doveva compiere per ricordare la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e della teofania sul Sinai come simbolo della liberazione di Dio da ogni forma di schiavitù nella quale l’uomo possa sentirsi o ritrovarsi imprigionato per recuperare la relazione originaria con Dio prima della sua caduta.

È la Pasqua del Signore! proclama con forza l’Esodo.

E Gesù porta a compimento il significato di questa Pasqua… di questo passaggio.

Lasciarsi liberare è entrare nella sua logica di amore, di dono. Questa liberazione avviene nel dono della vita divina che passa attraverso la consegna del pane e del vino, come suo corpo e suo sangue, e lo fa anche con la consegna di un “comandamento” nuovo, un esempio da mettere in pratica: amarsi gli uni gli altri, lavarsi reciprocamente i piedi, come Lui ha fatto. Lo abbiamo ascoltato nel Vangelo che la liturgia di oggi ci consegna.

Il Signore dunque ci invita a ricevere un dono e ci esorta ad adempiere un “comandamento”, a fare

qualcosa…

Possiamo però correre il rischio di entrare in ciò in cui ci invita il Signore come una “restituzione”, come un dovere, come un qualcosa “da fare”… in fondo come un peso.

Dov’è allora la gratuità di questo dono di Dio? Dove la libertà di una risposta se ci è comandato qualcosa?

Entreremmo così in corto circuito confondendo il dono con il dovere, il vivere da uomini liberi e salvati come precetto morale, come se l’esigenza di un amore reciproco e di un servizio fosse una cosa che si impone: sei credente, allora devi amare, devi servire, devi perdonare.

C’è certamente una verità in questo discorso: una fede senza le opere non è una fede autentica.

Ma se ci fermiamo a questo livello di interpretazione ci perdiamo tanto e rischiamo di vivere delle forme che non cambiano il cuore… ma che riproducono semplicemente una immagine… come una maschera che posizionata sul volto non trasforma il cuore, ma piuttosto lo rende impermeabile.

E questo prima o poi soffoca e toglie vita… e così o ci facciamo del male oppure non ci crediamo più rinnegando il valore autentico del Vangelo, e portandolo piuttosto a nostra misura.

Se invece accettiamo di considerare la dimensione del servizio e dell’amore reciproco come dono, piuttosto che come un dovere, allora potremmo ritrovare il gusto vero, e potremmo veramente approfittare di questo dono per entrare in una libertà sempre maggiore, per poter vivere in modo sempre più pieno la vocazione alla quale sono chiamato.


Servire e amare indistintamente tutti i fratelli è un dono che ci è stato fatto, è una grazia, è una opportunità!

Quando Paolo dice che c’è più gioia nel dare che nel ricevere credo non intenda solo riferirsi a quel senso di gratificazione che viene dall’aver compiuto una buona azione, - che ci conserverebbe sempre in quella logica di “retribuzione” che in fondo continua a mantenerci schiavi - ma piuttosto ad una gioia che nasce grazie ad una libertà di cuore ritrovata.

C’è gioia nel dare, nel servire perché posso crescere nella libertà nei confronti delle paure che mi fanno ragionare da “contabile”, nel pensare che mi sia chiesto più del dovuto. (es non voglio che se ne approfittino troppo…)

C’è gioia nel dare e nel servire perché posso crescere nella libertà anche nei confronti del mio sentire … che mi fa avvicinare verso chi mi sta più simpatico e mi blocca nei confronti di chi sento più distante o antipatico. L’amore e il servizio mi fa andare al di là. (es. prima quelli della mia casa…)

C’è gioia nel dare e nel servire perché posso crescere nella libertà di chi trova negli altri ciò che lo completa e non teme di mettere a disposizione ciò che ha e ciò che è, svincolandosi da tutti quei lacci nei quali l’invidia e la gelosia vorrebbero imbrigliare. (se lo aiuti poi l’altro ti fregherà sicuramente…)

C’è gioia nel dare e nel servire perché posso crescere nella libertà anche nei confronti di cosa ho donato,

non rivendicandolo come proprio e non facendo di ciò che dono opportunità per tenere in ostaggio l’altro, ma posso godere perché l’altro vive! (ti ho donato il mio tempo e le mie competenze… però ora voglio che tu faccia come dico io…)

Tante altre cose riceveremo in dono mettendoci alla scuola della Carità che Gesù stesso ci insegna.

Lasciamo lo Spirito suggerirlo al nostro cuore…

Intanto possiamo affermare che accogliendo allora questo invito come un dono, potremmo entrare nella pienezza della vita e potremmo imparare a leggere il versetto conclusivo del vangelo di oggi anche con un’altra prospettiva incentrata sulla vita.

Scopriremo che il “Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come ho fatto a voi…” vorrà anche dire “Vi ho dato un esempio perché anche voi viviate come io vivo”

Chiediamo al Signore l’abbondanza di questa vita… entriamo in questo Triduo desiderosi di accogliere il dono dell’imparare ad amare.

P Emanuele

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