Omelia della domenica III del T.O. (22/01/2023 -Anno A-)


 Giovanni Battista, dopo la bella testimonianza, ascoltata domenica scorsa, viene arrestato ed esce dalla scena. Gli occhi si pongono su Gesù, e l’evangelista Matteo recupera la simbologia della nuova creazione mettendo in parallelo l’inizio della missione di Gesù alla venuta della luce che rischiara le tenebre, come ai primordi della creazione nel quale Dio inizia la sua opera creando la luce e diradando le tenebre.

L’inizio della missione di Gesù è certo una nuova creazione, l’inizio di un mondo nuovo, come quella che c’è ogni volta che il Signore passa nella vita di un uomo, di un popolo e con la sua sola presenza Egli crea, salva, libera.

Come agli inizi del mondo, come ai tempi dei madianiti, come in ogni epoca della storia e nella vita di ogni uomo la luce divina entra nella vita e fuga ogni timore. Perché avere paura? Da chi sentirsi minacciati? Ci ricorda il Salmo. È proprio l’uscita da questa paura, il luogo più profondo e più vero della conversione alla quale il Vangelo ci chiama. La paura di essere privati della vita, la paura di non essere all’altezza, la paura di non essere riconosciuti!

“Convertitevi!” dice il Signore! Ma cosa significa questa conversione? È forse un cambiare radicalmente l’orientamento della nostra vita? forse sì. Ci sono momenti in cui si percepisce e si rende necessario un cambiamento radicale perché il Signore ci dona la grazia di renderci conto che ciò che facciamo, ciò di cui viviamo non ci apre alla vita vera, ma anzi ce ne priva. E dunque una inversione di rotta si rende necessaria.

Ma forse sperimentiamo in modo più ordinario che convertirsi può voler dire anche semplicemente riorientarsi ed adoperare quei piccoli aggiustamenti perché ciò che già facciamo, ciò che siamo ritrovi la sua giusta finalità, e possa fiorire in tutto il suo splendore.

E a questo proposito mi colpisce molto l’incontro di Gesù con i primi discepoli.

Passando lungo il mare di Galilea Gesù osserva le persone che sono presenti e tra la gente che incontra vede dei fratelli, descritti nell’atto di gettare le reti o di ripararle. Persone che sono abili e capaci in un mestiere, intenti a mettere a frutto le loro capacità per poter guadagnarsi da vivere. Nel riportarci questi dettagli l’evangelista Matteo sembra quasi che voglia comunicare lo stupore di Gesù nel contemplare questi uomini nel mettere le loro capacità a servizio di un mestiere. La paziente arte del radunare, del ricucire.

E colpito da questa arte, Gesù avanza la provocazione di una sequela, come per dire: “volete accogliere la sfida mettere a servizio la vostra arte per radunare le genti nella casa del Padre, la sfida di tessere e ricucire la relazione dell’uomo con Dio con l’arte della predicazione del vangelo della misericordia? Vi farò pescatori di uomini!”

Il Signore cammina in mezzo alla gente, e volgendo lo sguardo su questi uomini, sa cogliere gli elementi di una vita buona che già posseggono. Elementi che non devono essere cambiati, ma trasformati, perché possano fiorire nel massimo del loro splendore e perché possano essere messi a disposizione del Regno.

E così il Signore agisce con noi, venendo a camminare lungo i lidi ove la nostra vita si svolge! E camminando in mezzo a noi ci provoca, ci esorta e ci rigenera ad una vita nuova attraverso uno sguardo ed una parola. È questo che ci consegna il Vangelo di oggi!

Innanzitutto uno sguardo! Da sempre l’iniziativa di Dio comincia da uno sguardo di amore, che sa leggere oltre. All’origine Dio crea l’uomo a sua immagine e lo guarda compiaciuto perché l’opera della sua creazione era “cosa molto buona”.

Ed il Signore è capace solo di porre questo sguardo contemplando solamente la bontà della propria creatura. Ai suoi occhi la vita di ciascuno di noi è buona, è preziosa e come uno sposo geloso non vuole che questa bontà sia minacciata da alcunchè! E, anche attraverso gli eventi della vita, in alcuni casi ci esorta, in altri ci restituisce uno sguardo che mette in valore la bontà della nostra vita, in altri ancora ci corregge strappandoci dalle nostre illusioni di una vita buona cercata lì dove c’è solo aridità o deserto.

Sicuramente Dio ci lascia liberi di aderire al suo invito, ma non rinuncia a passare nelle nostre vite ponendo lo sguardo su ciò verso cui anche noi siamo invitati a porre lo sguardo per dare alla vita che ci è stata donata la sua piena dignità… perché sia vita vera, vita piena, vita degna di essere vissuta.

E poi il Vangelo ci ricorda che Egli ci rigenera attraverso una parola, una semplice parola: “Seguitemi! Venite dietro a me!”

Gesù invita i pescatori, e con loro gli uomini di tutte le generazioni fino a noi oggi, a prendere seriamente in considerazione la proposta di una sequela che, vissuta seriamente, ci restituisce la dignità di essere suoi figli. Cosa significherà e in cosa consisterà questo essere figli, il Signore ce lo mostrerà con tutta la sua vita e ce lo annuncerà con il discorso delle beatitudini, che ascolteremo domenica prossima. Ma oggi desidero solamente soffermarmi su una conseguenza immediata di questo invito, che come abbiamo ascoltato dal Vangelo, si declina al plurale: “venite dietro a me! Seguitemi!”. Nella misura in cui mi considero veramente figlio di Dio, scopro che la dimensione della fraternità con tutti gli uomini è una esigenza del mio cammino di sequela di Dio. Non esiste sequela che non crei legami con altre persone che riconosco necessariamente essere miei fratelli. Siamo tutti di Cristo, ci ricorda Paolo, e il Cristo ci insegna a rivolgerci a Dio, tutti con il nome di Padre. Questa consapevolezza, quali conseguenze deve avere per la mia vita? raggiunto dallo sguardo di Dio, ristabilito nella mia dignità di figlio amato, sono capace di guardare i miei fratelli come Dio li guarda?

L’invito alla sequela allora coinvolge la nostra vita, e ci invita ad una conversione di sguardo e alla creazione di legami.

Mettendoci sotto quello sguardo, rispondendo alla parola di esortazione che ci è rivolta, riprendiamo anche noi con gioia oggi il cammino di sequela, inoltrandoci in un cammino di conversione nel quale siamo chiamati a trasfigurare le nostre vite, a portarle a compimento, a purificare il nostro sguardo e a curare la bontà dei legami con i fratelli e le sorelle che il Signore ha posto sul nostro cammino.

P Emanuele

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