Omelia della domenica XXIII del T.O. (04/09/2022 -Anno C-)
Sono parole esigenti quelle che il Signore ci rivolge oggi. Di
cui possiamo cercare di approfondire il senso, di cui possiamo cercare
l’interpretazione più corretta, ma che in ogni caso ci pongono di fronte alla
domanda e al dubbio se mai potremo essere dei veri discepoli del Signore,
capaci di un amore preferenziale e incondizionato per Lui, così come oggi ci
chiede.
È interessante innanzitutto osservare l’interpretazione che la
Chiesa fa di queste parole, nell’attuale traduzione che leggiamo: l’espressione
“se uno non mi ama più di quanto ami suo padre” traduce quello che nella
lingua originaria è il verbo odiare. Tradotto alla lettera il testo dice “Se
uno viene a me e non odia suo padre, sua madre … e anche la propria vita, non
può essere mio discepolo”. Ma questa apparente durezza è spiegata con
l’impossibilità della lingua di Gesù di rendere le gradazioni e le sfumature,
le comparazioni: per dichiarare di amare una cosa bisognava dire di odiare le
altre.
In realtà tutta la Parola di Dio è attraversata
dall’insegnamento dell’amore, tanto da farne l’essenza di Dio e il senso della
vita dell’uomo: Dio è amore, scrive l’evangelista Giovanni, e il più
grande dei comandamenti, dice Gesù, è l’amore di Dio sopra ogni cosa e l’amore
del prossimo come se stessi. Già le tavole della legge ricevute da Mosè prescrivevano di onorare il
padre e la madre, ed è ancora dell’antico Testamento l’insegnamento dell’amore
del prossimo come se stessi (Lev 19,18). E
Gesù arriva a dare pieno compimento al comandamento dell’amore nel discorso che
accompagna l’ultima cena e che quasi sembra contraddire le parole del vangelo
di oggi: “Vi do un comandamento nuovo:
che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi
gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete
amore gli uni per gli altri” (Gv13,34-35); e ancora: “Nessuno ha un
amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv
15,13).
Va quindi nella giusta direzione la traduzione che comprende
quell’odiare come un “non amare più di”: non ci è chiesto di non amare, -e
tanto meno di odiare nessuno-; ogni forma di amore è già nella direzione della
volontà di Dio e dell’autenticità dell’uomo, amare è già mettersi al suo
seguito, in armonia e sintonia con quanto Dio ha pensato e desiderato per la
piena realizzazione di ogni uomo. Quello che però il Signore ci chiede per
essere fino in fondo suoi discepoli è un amore preferenziale per Lui, che ogni
altro nostro amore tragga origine dall’amore per Lui, sia ordinato dall’amore
assoluto di Lui, non sia di ostacolo all’amore per Lui.
Amare di più è una richiesta che, questa volta anche nella
lingua originaria, Gesù risorto rivolge a Pietro sulla riva del lago di
Tiberiade, dopo la pesca miracolosa con alcuni discepoli. “Simone di Giovanni
-dice Gesù a Pietro-, mi ami tu più di costoro?” La risposta concisa di Pietro
lascia trasparire quello che può essere stata la percezione del suo amore per
Gesù dopo quei tre anni vissuti con Lui. “Si, Signore, tu sai che ti amo”.
Pietro confessa il suo amore “Si Signore, ti amo”, ma rimettendosi anche alla
conoscenza che Gesù ha del suo cuore “Tu sai”; e senza rispondere alla
comparazione con gli altri, senza più pretenderne una superiorità, presumere un
primato. È una confessione umiliata dal ricordo di quelle zelanti dichiarazioni
di essere disposto a dare la vita per il Signore, di essere pronto ad andare
anche in prigione e alla morte con Lui; dichiarazioni poco dopo smentite, al
momento dell’arresto di Gesù, dalla triplice negazione di conoscerlo, dinnanzi
a quanti lo indicavano come un suo discepolo.
Al termine di questa dolorosa confessione di amore di Pietro per
Gesù, spogliato ormai di ogni presunzione e volontarismo, Gesù gli rinnova
l’invito fattogli tre anni prima, al momento del primo incontro: “Seguimi”,
senza più precisare però che è per diventare pescatori di uomini. La relazione
tra i due si è ridotta all’essenziale: Pietro umiliato ama come può, senza più
neppure voler misurare, senza più voler comparare il suo amore per Gesù con
quello per se stesso e per gli altri. E Gesù gli rinnova la fiducia, la
richiesta di farsi suo discepolo, spogliata di qualsiasi altro fine:
semplicemente “Seguimi”.
È questa esperienza di amore e di misericordia senza limiti del
suo Signore, esperienza di un Dio che lo ama più di chiunque altro, che renderà
finalmente Pietro capace di amare Dio al di sopra di tutto, al di sopra della
sua stessa vita, a prendere la propria croce per amore del Signore.
È Dio che ci fa il dono di essere figli, di essere discepoli, di
essere amati in modo incondizionato. Per accogliere questi doni, per diventare
suoi discepoli dobbiamo rinunciare a tutti i nostri averi, vale a dire a tutti
i nostri presunti meriti, guadagni, conquiste. I veri doni non si guadagnano e
non si pagano, sono il frutto dell’amore dell’Amante, ci fanno vivere
nell’amore e ci generano figli e discepoli capaci a nostra volta di amare.
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