Omelia della domenica XXII del T.O. (28/08/2022 _Anno C-)

 


XXII Dom. TO - C -

Il vangelo di oggi ci invita a “scegliere l’ultimo posto” e ad invitare al nostro banchetto persone che non hanno di che ricambiarci. Non sono insegnamenti da “galateo”, ma nascondono dei significati molto più profondi. Innanzitutto sono atteggiamenti che Gesù stesso ha assunto: lui per primo ha scelto “l’ultimo posto”, e non solo nei banchetti di nozze, ma in tutte le scelte della sua vita, incominciando dall’incarnazione, quando “non ritenne un tesoro prezioso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso” facendosi uomo, uno di noi, uguale a noi in tutto fuorché nel peccato, e affermando chiaramente: “Non sono venuto per essere servito, ma per servire, e dare la mia vita in riscatto per molti”. Dalla sua nascita fino alla sua morte Egli ha scelto l’umiltà, la povertà e il servizio, insegnando ai suoi a fare lo stesso. Anche quando inaugura i grandi gesti della nostra salvezza incomincia col mettersi all’ultimo posto, con la lavanda dei piedi, gesto normalmente compiuto dagli schiavi, e insegnando: “Voi mi chiamate Signore e Maestro, e dite bene perché lo sono; se dunque io, il Signore e Maestro vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri, vi ho dato infatti l’esempio perché così facciate anche voi”. E’ la perfetta coerenza di chi ha già insegnato che “chi vuol essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”.

    E questo inquadra bene quanto ci insegna il Siracide nella prima lettura di oggi: “Figlio, nella tua attività sii modesto, sarai amato dall’uomo gradito a Dio. Quanto più sei grande tanto più umiliati; così troverai grazia davanti al Signore; perché dagli umili egli è glorificato.”

   E S. Benedetto ci raccomanda lo stesso atteggiamento in comunità quando ci comanda di mettere al primo posto il bene dei fratelli e non il nostro, o di essere generosi nel compiere i servizi più umili, o di ritenerci sempre degli operai poveri e incapaci anche se facciamo cose buone, o di accogliere gli ospiti lavando loro i piedi, come il Cristo, all’amore del quale nulla dobbiamo anteporre.

    Mettersi all’ultimo posto significa riconoscere che siamo poveri e peccatori, che gli altri contano molto più di noi, e che abbiamo tutti bisogno di misericordia, che non siamo buoni giudici di noi stessi, soprattutto se ci attribuiamo un’importanza che non abbiamo, e che semmai è il Signore, che ci ha invitati alle nozze eterne, che ci darà il posto che meritiamo.

     Anche qui S. Benedetto è maestro, quando dice che il monaco è al vertice della scala dell’umiltà assumendo pienamente l’atteggiamento del pubblicano del vangelo e tenendo sempre nel cuore le sue parole: “Signore, non sono degno, io peccatore di alzare gli occhi verso il cielo”. È proprio allora che l’amore scaccia ogni timore e che si corre per la via dei comandamenti divini. Ed è con questi criteri che l’Abate, che tiene nel monastero le veci di Cristo, come colui che organizza il banchetto di nozze nel vangelo, può assegnare a seconda dei meriti e delle virtù un posto più elevato o uno più basso in un ordine comunitario che diventa flessibile a seconda degli atteggiamenti buoni o cattivi del monaco.

   Nella seconda parte del vangelo Gesù insegna poi ad invitare ai nostri banchetti coloro che non possono ricambiarci, poveri, storpi e ciechi. Anche qui non è un invito alla filantropia o a un’ostentazione di generosità verso i poveri che solletica il nostro orgoglio, ma è condividere in pienezza l’atteggiamento di Cristo, che si è donato completamente per noi, totalmente indegni del suo amore e della salvezza gratuita che ci ha donato, senza voler nulla in contraccambio. L’amore non si compra e non si vende, come ci dice il Cantico dei Cantici: “Forte come la morte è l’amore, e tenace come gli inferi è la gelosia; se uno desse tutte le sue ricchezze in cambio dell’amore non farebbe che disprezzarlo!”.

      Questo immenso amore gratuito tra il Padre Celeste e il Suo Figlio divino Dio è lo Spirito Santo, la Persona-dono per eccellenza, che viene effuso con larghezza nei nostri cuori. Si potrebbe dire che la Santissima Trinità non tiene per sé neanche l’amore che arde in essa. Questo ci spinge ad avere lo stesso atteggiamento con Dio e tra di noi, che, sentendoci amati senza misura nonostante il nostro nulla e la nostra miseria, siamo spronati a nostra volta ad amare senza misura il Padre e i fratelli. Proprio sperimentando l’abisso della sua misericordia ci rendiamo conto dell’abisso della nostra miseria e ci sforziamo di contraccambiare come possiamo, diventando sempre più piccoli e poveri, un debito che sarà sempre infinitamente superiore alla nostre possibilità. Dio ama il nulla, perché in esso può creare più liberamente, per questo i poveri e gli umili hanno i primi posti nel Regno dei cieli.

    E questo l’avevano ben capito il primi padri dell’ordine cistercense, che nei primi documenti modificano una massima della Regola di S. Benedetto. Questa dice che la madre di tutte le virtù è la discrezione, i nostri padri invece affermano che la madre di tutte le virtù è la povertà.

      Accogliamo quindi l’insegnamento della Parola di Dio e facciamoci poveri, mettiamoci all’ultimo posto, perché un giorno il Signore ci possa dire in verità: “Amico, sali più in alto!”.

 

FR Gabriele

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