Omelia della domenica XXXII del T.O. (07/11/2021 -Anno B-)

 


Quando Samuele dovette scegliere un re per Israele e si trovò davanti tutti i figli di Iesse, venne colpito da uno di loro per l’imponenza della sua statura e chiese a Dio se fosse lui il re predestinato, ma il Signore gli rispose: “non guardare al suo aspetto né all’imponenza della sua statura, io non guardo ciò che guarda l’uomo: L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore!”.

  È una frase che può commentare benissimo il vangelo di oggi. Dopo aver ammonito la folla a guardarsi dagli atteggiamenti orgogliosi degli scribi Gesù si siede di fronte al tesoro del tempio, quasi per scrutare i comportamenti, ma soprattutto le intenzioni, di chi getta monete nella cassa delle offerte. Molti ricchi ne gettano parecchie, ostentando una generosità che è più un tributo alla loro immagine che un atto di religiosità. Gettano del loro superfluo e vogliono fare bella figura. Ma arriva una povera vedova, che, quasi vergognandosi dell’esiguità della sua offerta vi getta quasi di nascosto, due spiccioli, che però sono tutto ciò che ha per vivere.

    Senza dubbio è evidente il richiamo alla prima lettura, nella quale la vedova di Sarepta viene richiesta dal profeta Elia di fare la stessa cosa: donargli tutto ciò che lei e suo figlio hanno per vivere, un pugno di farina e un goccio di olio nell’orcio. La vedova si fida del Profeta e dona tutto, ricevendo poi una ricompensa inaspettata e sovrabbondante. La vedova del Vangelo riceve come ricompensa la lode di Gesù che ha notato il suo sacrificio e la purezza delle sue intenzioni: dare tutto a Dio senza riserve, per amore e per devozione, e non “per essere vista dagli uomini”.

    Evidentemente il vangelo di oggi ci rimanda a quello di domenica scorsa, dove ci venivano presentati i due comandamenti più grandi della legge, l’amore di Dio con tutto il cuore, l’anima e le forze, e l’amore del prossimo come se stessi. E di sicuro il modello perfetto di obbedienza a questi due comandamenti è Gesù Cristo, che non dona solo “tutto quanto ha per vivere”, ma la sua stessa vita in obbedienza al Padre e per la salvezza di tutti. È proprio il sacrificio perfetto, completo e totale di Cristo che da valore anche al piccolo gesto della vedova, la quale, a suo modo, si mette proprio, benché inconsciamente, alla sua sequela.

     La carità fa sì che la persona che ne è infiammata doni e si doni senza riserve, tenendo davanti agli occhi Cristo Gesù, che non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.

     L’amore non ha limiti, spreca, da tutto senza rimpianti: beni, affetti e ricchezze, e perfino la propria vita.

     Per questo la seconda lettura ci dice che Cristo “nella pienezza dei tempi è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso” e altrove, sempre la lettera agli Ebrei ci ricorda che vi entrò non con il sangue di vitelli e di tori, ma con il proprio sangue, come sacrificio di espiazione per tutti i peccati. Ha donato tutto, ha versato il proprio sangue fino all’ultima goccia, e questo ci ha dimostrato l’infinito amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo per l’umanità peccatrice: “O immensità del tuo amore per noi, per riscattare lo schiavo hai sacrificato il Figlio” cantiamo durante la Vegli Pasquale.

    Tutto questo ci invita a compiere ogni gesto, anche il più piccolo e insignificante spinti dall’amore e dalla carità e non per farne un motivo di orgoglioso autocompiacimento. Ci invita anche a un purificazione continua del nostro cuore e della nostre intenzioni, perché spesso anche in noi abita un fariseo clandestino che mette al centro il proprio io e trasforma in peccati anche le azioni più sacre, quando sono compiute per la propria gloria e non per la gloria di Dio e per amore dei fratelli.

      Quando quindi facciamo qualcosa di buono, non necessariamente solo il gettare monete nel tesoro del tempio, ma allargando tutto l’orizzonte alle nostre azioni e alle nostre intenzioni, pensiamo sempre che Gesù è seduto davanti a noi e scruta i nostri cuori senza lasciarsi ingannare dalle cifre, dalle apparenze e dai fronzoli, ma individuando esattamente, e subito, la verità o la falsità sottostante a ciò che pensiamo o compiamo.

     Allora tutto, spesso, si ribalta, gli atti più generosi, grandiosi o anche eroici, compiuti senza carità diventano vani, mentre le azioni più insignificanti e nascoste, fatte con amore e per amore acquistano un valore infinito agli occhi di Dio e diventano luce e salvezza per tutti.

      Anche S. Giovanni della Croce diceva che “Un puro atto d’amore verso Dio vale più di tante opere esteriori per la salvezza del mondo”, e forse questo insegnamento è alla base della “piccola via” della sua figlia spirituale, Teresa di Lisieux, che lo Spirito Santo ha messo in Cattedra per l’uomo del nostro tempo. Una santa che ci insegna che anche una vita nascosta fatta di azioni apparentemente monotone e insignificanti può diventare grazia per tutta la Chiesa e infondere amore, forza e vitalità in tutte le membra del Corpo Mistico proprio perché si pone, ardendo d’amore, nel cuore della Chiesa. Lei che desiderava essere contemporaneamente monaca, missionaria, Dottore della Chiesa e martire ha realizzato tutto questo proprio sentendosi posta lì da Dio e, imitando il suo Sposo Gesù Cristo, donando tutta se stessa come vittima di olocausto all’Amore misericordioso. “Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore, così sarò tutto e i miei desideri saranno appagati”. Ed è proprio diventata patrona delle missioni, Dottore della Chiesa e martire d’amore per insegnare a tutti gli uomini ad agire come la vedova del vangelo, quella di Sarepta di Sidone, ma soprattutto come Cristo stesso.

Fr Gabriele

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