Omelia Solennità di Tutti i Santi (1 Novembre 2021)


 

“Questi che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?”

Per dire chi sono i santi e qual è stato il loro cammino di santità, la liturgia oggi ci propone il vangelo delle beatitudini. I poveri in spirito, gli afflitti, i miti, gli affamati e assetati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia, i perseguitati per la loro fede ... Nove caratteristiche che indicano, senza esaurirle, la varietà di percorsi possibili che confluiscono in quella moltitudine immensa, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua, di cui ci parla la prima lettura, e che viene descritta in un clima gioioso e festoso dinnanzi a Dio.

Non si tratta quindi di un unico modello, di una omologazione dello stile di vita cristiano, ma di una grande diversità di carismi che tuttavia non producono divisione ma unità nel popolo di Dio. Se immaginiamo così la comunione dei santi, a immagine di Dio, Lui stesso uno e trino, fin da ora dovremmo imparare a valorizzare la diversità, a essere grati di quella varietà di doni e di virtù che osserviamo e persino a volte un po’ invidiamo negli altri: perché seppur in quegli ambiti rimaniamo come spettatori, non avendo l’attitudine o l’inclinazione per quella dimensione di santità, ne beneficiamo comunque in quanto membra di questo corpo che è la Chiesa. Un aspetto che possiamo riscoprire con questa festa è proprio la complementarietà, il fatto che la diversità delle membra che compongono la Chiesa, le comunità, le famiglie, le arricchisce e le completa. 

 

Le beatitudini ci dicono però anche la fatica e l’esigenza della via della santità. Ogni beatitudine, se la leggiamo al rovescio, prende in considerazione un aspetto drammatico della vita presente: situazioni di povertà, di afflizione, di arroganza, di ingiustizia, di oppressione, di inganno, di violenza, di persecuzione, con cui dobbiamo fare i conti e decidere come rapportarci. Sicuramente non è piacevole stare in queste situazioni di disagio; e tuttavia possono essere il segno che siamo sulla buona strada. Finché infatti c’è una connivenza con il male, finché non ci opponiamo ad esso, possiamo vivere in uno stato di relativa pace. È invece quando iniziamo a fare resistenza al male che entriamo in uno stato di tensione e di lotta. Sono tanti i generi di male che possiamo incontrare: quelli che sono dentro di noi e quelli esterni a noi. Quelli di cui siamo responsabili, e quelli che subiamo, indipendentemente da noi. Resistere al male significa allora prendere consapevolezza della sua presenza ed entrare nella lotta per non aderirvi, o non lasciarlo agire e dilagare attorno a noi.

La beatitudine non sta nel soffrire o nel subire passivamente il male, come forse a volte abbiamo rischiato di intendere la santità, ma nell’aver accolto la tensione derivante dal rifiuto e dallo scontro contro il male, dall’essersi opposti apertamente, anche a caro prezzo, per iniziare a far spazio al bene. Paradossalmente c’è più da preoccuparsi quando tutto sembra andare bene, senza conflitti interiori o esteriori, se questa calma apparente è il frutto di una insensibilità e un asservimento al male, un assopimento della coscienza.

San Benedetto inizia la sua regola invitando colui che intraprende qualcosa di buono, a chiedere al Signore con intensa, insistente preghiera, che sia Lui, il Signore, a condurlo a compimento. Il nostro cammino di santità, vista la sproporzione tra la nostra oscillante buona volontà e l’ampiezza del male che la ostacola, non può che essere nutrito da questa speranza. Una speranza, ci diceva san Giovanni nella seconda lettura, che si radica nella certezza di essere fin da ora figli di Dio, e in quanto tali amati e chiamati a diventare simili a Lui, a vederlo e a entrare a far parte dell’umanità che oggi festeggiamo, umanità beata perché già vive il compimento delle beatitudini.  

Fr Amedeo

 

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