Omelia della domenica XXV del T. O. (119/09/2021 - Anno B- )
«Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti»
Queste parole di Gesù sembrerebbero poche adatte ai nostri giorni, un
mondo dove i primi sono sempre più primi e gli ultimi sempre più ultimi,
dove aumenta sempre più il divario sociale. E non posso nemmeno
pensarla solo in un’ottica di ricompensa, perché vivere un disagio oggi in
vista di un premio non ha senso. Sia a causa del fatto che agi e disagi
fanno semplicemente parte della vita, sia perché Gesù ci vuole felici già
oggi. Spesso capita di fare una rinuncia, di privarsi di qualcosa, ma se
faccio una cosiddetta penitenza, non è per versare un anticipo, come una
caparra, ma piuttosto perché questa cosa mi rende migliore come persona è
funzionale sulla qualità della vita.
Queste parole possono significare invece che desideri aspirazioni e
progetti non possono realizzarsi a discapito di qualcun altro, perché, a
differenza dell’appagamento, la vera felicità non è un bene individuale ma
collettivo e soprattutto non lascia cadaveri sul suo cammino. Se un solo
membro soffre tutto il corpo ne risente. In una famiglia se uno sta male chi
non soffre con lui. Queste parole di Gesù ci dicono che il miglior risultato
per me non è quantificato da una prevaricazione, ma qualificato da: come
gestiamo i conflitti, dalla capacità di collaborare l’uno al bene dell’altro. Il
primeggiare di di cui parla Gesù non si inserisce in un’ottica di classifica,
perché non è una prevaricazione. Allora mettersi al servizio, essere gli
ultimi non significa sminuirsi, ma è prendere consapevolezza che: in virtù
del fatto che siamo tutti interconnessi, il male dell’altro non può essere mai
un bene per me, e che il disagio altrui non può essere un mio agio.
Queste parole ci dicono che non possiamo vivere in un’ottica di diritto e di
dovere ma di collaborazione e condivisione. Che la nostra vita non può
essere compartimentale perché le azioni di ognuno non sono un valore solo
per chi le compie ma concorrono al bene comune, a prescindere dalla
quotazione che gli diamo.
Queste parole ci dicono infine che la nostra felicita non consiste in un
target da raggiungere a tutti i costi, ma nella qualità della vita nel mentre;
che non dipende dalla vastità o dall’importanza che l’azione assume ma
dall’apertura d’animo in corso d’opera.
Fr Abramo
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