L'omelia di P.Cesare (4/11/2018 XXXI T.O. Anno B)


 << Il Vangelo di oggi

ci mette di fronte non solo al grande comandamento dell’amore, unico con due finestre: amore di Dio, a cui nulla deve essere preferito, e amore del prossimo che è prova della
verità del nostro amore per Dio, ma anche all’importanza che l’uomo sappia cogliere nelle parole di
Gesù una logica di vita. Infatti l’Amore, che trova la sua sorgente sempre in Dio, perché come dice
San Giovanni: Dio è Amore, non può essere frazionato o messo in

caselle, non può far preferenze di persone, non può selezionare fra i figli di Dio, i figli che il Padre ama in modo infinito.

L’Amore è. Ognuno ha la sua fatica nel viverlo, le sue cadute, i suoi entusiasmi, le sue generosità e
debolezze, ma o si ama o non si ama. L’amore non è un fare, ma un essere, perché è gratuito e non
dipende da chi è amato, ma da chi ama. Dio ci ha amati per primo, prima che noi potessimo fare
alcunché per meritare il suo amore. Il voler amare precede il nostro vivere.

Così pure alcuni: riconoscono quella sorgente del loro amare e vogliono conformarsi in un ascolto
del Vangelo sempre più intenso, altri amano non conoscendo il Vangelo o non riconoscendone il suo
essere sorgente. Alla fine il Signore riconoscerà chi ha amato, e anche chi non sapeva di amarlo
attraverso l’amore del prossimo: è il significato della famosa parabola del giudizio finale in cui si
parla dello stupore di alcuni eletti, che non avevano riconosciuto il Re servendolo nei più miserabili.

Lo scriba che ha interrogato Gesù cercava veramente: finalmente uno che non interroga per mettere
in imbarazzo e schiacciare, ma per crescere! E la sua replica non è pappagallesca, è una giusta
deduzione dalla provocazione di Gesù. “ Vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”: anche se molto
soft, è una vera rivoluzione.

L’uomo tende a partire alla conquista di Dio e della felicità con tutte le sue forze spiegate, come se tutto dipendesse dal suo moltiplicare le imprese, le elargizioni, “spendere e spendersi”. Ma se non c’è la base, il perché, tutto il resto serve a poco. E la base è vivere per amare. Allora tutta la nostra attività ha senso, diventa bella come è bella tutta l’opera di Dio, che ha agito in tutto solo per amore, dalla creazione alla redenzione.

Lo scriba ha capito: amare Dio e amare il prossimo non è un comandamento fra altri comandamenti, un fare fra tante altre belle opere: è l’anima del fare, dell’operare, del pregare, del servire; e senza anima tutto è morto.

Già per il popolo ebreo l’amore di Dio era qualcosa che doveva rimanere costantemente nella
memoria. “Ascolta Israele” e il comandamento dell’amore assoluto di Dio erano alla base di tutta la
pietà del pio Israelita, e la cosa più preziosa che doveva trasmettere ai suoi figli.

Con la sua Incarnazione, il Signore ci ha mostrato che non si può amare Dio senza essergli simili, visto che lui ha voluto essere simile a noi, ed essergli simili è dare la vita per coloro che lui ama, per i suoi amici, per coloro per cui ha dato tutto se stesso fino all’ultima goccia di sangue.

Per questo non possiamo scegliere chi amare.

Questo è il nostro cammino cristiano: come i sacerdoti del Primo Testamento, anche noi, resi
sacerdoti dal Battesimo, viviamo in modo molto imperfetto il nostro servizio per la salvezza del
mondo. Ma lo viviamo in unione a Cristo che ha presentato un sacrificio perfetto, non perché ha
sofferto più degli altri (troppi uomini soffrono torture simili alle sue), ma perché in quanto Dio ha
amato in modo perfetto, totalmente gratuito, e, senza tener conto della sua infinità maestà, si è fatto
schiavo di tutti per salvarci tutti.

Nella lettera agli Ebrei, l’autore ci insegna che il sacerdote è chiamato per intercedere per tutti gli uomini: “ Egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore”, questo ci apre la via per conoscere in cosa consiste il nostro sacerdozio battesimale, ed anche ministeriale, per chi l’ha ricevuto. Non per guidare e comandare, ma per intercedere al modo di Cristo in favore degli uomini.

Tutta la vita del Signore Gesù è stata intercessione per noi e questa intercessione ha comportato il dono della sua vita, non solo perché è passato fra noi facendo del bene, ma perché, per non tradirci, ha accettato di andare fino alla morte, di essere perseguitato pur di non annacquare la verità del Padre misericordioso, di farsi simile ai peccatori i più disprezzati, morendo nell’ignominia della Croce, di cui la Legge dice: “Maledetto colui che pende dal Legno”.

Se guardassimo quanto Gesù ha fatto per noi senza tener conto che era tutto diretta conseguenza di
un amore senza limiti, anche noi saremmo schiacciati dal dover moltiplicare sacrifici e olocausti;
ma se guardiamo la Fonte da cui tutto è scaturito, il cuore del Padre, allora, condotti dallo stesso
Spirito del Figlio, obbediente per amore, daremo una unità alla nostra vita, cercando di farla
crescere in un amore sempre più evangelico e, nonostante le nostre poche forze, la debolezza e le
cadute, unificheremo tutta la nostra vita verso quel detto di San Paolo:

“Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me”.>>

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