L'omelia di P.Cesare (11/11/2018 XXXII T.O. Anno B)

Anche se ciò che leggiamo nella Parola di Dio di oggi sembra mostrarci quadretti di vita commoventi e carini, ma senza portata teologica, non dobbiamo illuderci: la Parola di Dio è sempre una spada affilata che taglia e mette in luce aspetti molto capitali; e oggi il Signore ci chiede una grande conversione.

Un primo spunto ce lo dà Gesù in un altro passo del Vangelo in cita Elia a Sarepta, territorio pagano, come unico intervento di quel profeta in favore dei poveri, durante una carestia che colpiva anche Israele. I doni di Dio sono gratuiti e non possiamo accampare diritti
presumendo un qualunque diritto derivante da tutti i doni già ricevuti. 

Essi sono ben grandi: Battesimo, fede, speranza, Parola di Dio, la Chiesa e tutti i Sacramenti, ecc. Ma Dio non fa preferenze di persone. Gesù lo dice chiaramente. Ciò che ottiene la Grazia è la vera povertà del cuore. Anche ridotta agli estremi, con lo strazio di vedere suo figlio morire di fame, la donna non nega un pezzo di pane, l’ultimo che aveva, al viandante straniero. Non l’ha negato al profeta e questo ha voluto dire che non l’ha negato a Dio.

La ricompensa ricevuta, grazie al fatto che ha rischiato tutto ciò che aveva, è l’esperienza che la Provvidenza di Dio non viene meno. Anche se la povera vedova non conosceva il Dio d’Israele, per il semplice fatto che ha dato da mangiare all’affamato è stata largamente ricompensata.

Anche la povera vedova nel tempio è oggetto della misericordia di Gesù: innanzitutto facciamo attenzione allo sguardo di Gesù, che è sempre attento a ogni nostro passo, a ogni battito del nostro cuore; perché Gesù è amore e l’amore non si distrae. Il Signore vede le
cose più nascoste, vede il cuore; mentre gli altri si meravigliano della quantità delle offerte perché guardano ciò che appare, lui guarda ciò che muove ogni nostro gesto: il cuore. E Gesù ci dà la parola chiave del cuore povero: “tutto”. E’ davvero la misura della carità cristiana. 

Paolo, è vero, ai Corinzi dice che non è necessario cadere nella miseria per aiutare gli altri, ma sottolinea che “Dio ama chi dà con gioia”. E anche questa gioia è segno di una generosità libera. Il Papa in tutti i suoi documenti parla della gioia e mette quella parola nel loro titolo, per sottolineare che il cristianesimo non è la religione dello sforzo e della conquista fatta con grandi imprese, ma di un amore che è gioia, che dà con gioia. 

Ora l’amore non è gioia se non è totale: in qualunque campo. L’amore che dà senza stendere il braccio ed aprire la mano, ma che fa scivolare il dono fra due dita, trattenendo il massimo, non è un amore che dà gioia, anzi non è neanche amore.

Quando fai l’elemosina, dice il Signore, non suonare la tromba e quando digiuni non scomporti il volto. Se vogliamo sapere se siamo generosi, se viviamo una vera obbedienza ai comandamenti, non dobbiamo guardare la materialità della legge e della nostra
osservanza, ma la qualità della gioia che abbiamo nel cuore. Non è facile, perché la gioia tante volte crea in noi diffidenza: sembra strano, ma talvolta abbiamo paura di avere gioia nel cuore. 

Effettivamente è una cosa fragile e preziosa e abbiamo paura che ci inganni, che ci tradisca, che sia solo un velo che copre la drammaticità della vita. Ma la gioia vera non è un velo, una facciata, anzi: è qualcosa che tiene saldo il cuore nelle tempeste, che permette di guardare il futuro come luogo abitato dal Dio che ama.

La lettera agli Ebrei oggi ci dice che Gesù sta difronte al Padre “in nostro favore”: lì troviamo la sorgente e la roccia solida su cui può posarsi la nostra gioia. Quanto appare e sembra illuminare la nostra vita è cosa davvero fragile e se crediamo nella gioia che ci fa
intravedere siamo presto delusi. Cristo con la sua Risurrezione e nel suo stare con la nostra umanità ferita e glorificata davanti al Padre è la garanzia della gioia.

“Come per gli uomini è stabilito che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l'aspettano per la loro salvezza”, dice ancora la lettera agli Ebrei. Guardiamo a questa verità profonda della nostra fede senza temere, mettendo piuttosto la nostra fiducia nell’amore di chi è morto e risorto per noi: allora, come la povera vedova, metteremo quei quattro spiccioli, che sarà stata la nostra vita, con grande semplicità, sapendo e accettando che la nostra vita non sarà stata di più, ma che gli occhi del Signore vi hanno visto un grandissimo dono.


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