L'omelia di P.Cesare (18/11/2018 XXXIII T.O. Anno B)

Siamo alle ultime domeniche dell’anno liturgico e come è tradizione la Chiesa ci fa
“guardare in alto”. Sono testi apocalittici e quindi difficili da interpretare e, per quanti hanno
voglia di tremare, c’è di che.

Dopo un cammino di domenica in domenica in cui la nostra
mente e il nostro cuore si sono aperti alla Misericordia di Dio e all’amore per i fratelli,
nell’imitazione di Cristo, volto visibile del Dio invisibile, leggere il Vangelo di oggi come se fosse una minaccia e cercare di scorgere oggi i segni di quello sconvolgimento annunziato, mi pare un po’ contraddittorio.

Innanzitutto la Lettera agli Ebrei parla, sì, del peccato e questo è sempre una grossa rottura
dell’equilibrio della creazione, della natura come dell’uomo. Il peccato esiste, purtroppo e
tutti gli sforzi dell’uomo per debellarlo sono senza efficacia. Esistono i santi, per fortuna,
che lottano contro il Male che imperversa, ma dobbiamo ben ricordare che sono solo delle
aperture perché l’infinita bellezza della grazia possa invadere la nostra vita, purificarla e far
risplendere il creato.

La lettera agli Ebrei ci ha detto: “Ogni sacerdote (si parla dell’Antico Testamento, e quindi
non dl sacerdozio dei battezzati in Cristo, e ancor meno dei preti) si presenta giorno per
giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai
eliminare i peccati. Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso
per sempre alla destra di Dio”. Vediamo il grande sforzo dell’uomo, ben necessario per
riportare a Dio la creatura: santificare, riportare a Dio tutto il popolo e tutti i cuori; ma il
semplice fatto che dovevano ricominciare ogni giorno ci dà il senso di un inevitabile scacco.

Mentre Gesù si è offerto una volta per tutte e il suo sacrificio è stato di una efficacia
infinitamente più grande degli attacchi del Male. Per questo non moltiplichiamo più i
sacrifici, ma rendiamo presente oggi l’unico sacrificio offerto dal Figlio al Padre una volta
per tutte. Il fatto che sia assiso alla destra del Padre indica sia la vittoria definitiva, sia il
fatto che la nostra natura, che nella sua immensa misericordia Egli ha voluto prendere per
essere nostro fratello, è ormai vittoriosa, anche se la battaglia continua a combattersi per le
strade del mondo. Ma non è più disperante; ha la garanzia della vittoria, perché Cristo,
distrutto dalla malizia degli uomini, è risorto dando loro la Vita.

Per questo la venuta sulle nubi del cielo è il grande segno della vittoria e radunerà gli eletti,
coloro che lo attendono e che vivono preparando la sua venuta. Parlare di eletti può dare
fastidio, ma bisogna saper intendere di chi si parla. Abbiamo tutti una predestinazione alla
salvezza, lo dice chiaramente S. Paolo, ma non tutti rispondiamo allo stesso modo, perché
rimane la libertà della risposta: infatti la via d’accesso alla salvezza è la risposta d’amore
all’Amore che si offre. E questa deve rimanere libera, non può essere altrimenti. Gli eletti
sono dunque coloro che accolgono il dono della grazia e attendono, in quanto amano, la
venuta del Signore Amato.

Gesù ne parla come se fosse una cosa imminente e così hanno compreso i primi cristiani: il
tempo invece si fa lungo, forse proprio perché ne abbiamo paura e quindi l’Amore non trova
chi lo accolga, o forse perché il Signore non si rassegna a chiudere la serie dei salvati, dei
suoi amici. C’è posto nel suo cuore!

Ad ogni modo tutto ci dice e ci ricorda che dobbiamo essere pronti, aspettare con cuore
aperto, desiderare di incontrare il Signore camminando nelle strade del mondo in modo che
la morte non sia una rottura, ma uno sguardo più intenso al sollevarsi della nebbia. Quanto
infatti, siamo bloccati da ciò che crediamo ci disturbi, mentre è solo la venuta dell’Amore?
Se rileggiamo la preghiera iniziale ritroviamo questo binomio: lieti nel servizio in questo
tempo per essere in una felicità piena e duratura.

E’ questo che dobbiamo chiedere e non farci prendere da uno sbigottimento perché sia in Daniele che nel Vangelo ci sono anche parole dure per chi non accoglie il dono della Misericordia. Siamo e vogliamo essere noi quelle stelle che brillano nel firmamento; e tutta la bellezza che ci circonda ci è data perché il nostro cuore respiri e sappia cogliere la bontà del Signore e la verità della sua promessa.

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