Omelia per la XVI domenica del Tempo ordinario B (21 luglio 2024)

 




Abbiamo lasciato domenica scorsa Gesù che inviava i discepoli a due a due, con una radicalità che un po’ spiazzava, ma che era ben compensata dalla determinazione del mandante e dal successo degli inviati, nella loro missione di annunciare, guarire, liberare.

Il vangelo ce li ripresenta oggi di ritorno dal loro viaggio, con il desiderio di raccontare a Gesù quanto è avvenuto e ciò che hanno insegnato. Ma se leggessimo l’intero capitolo sesto del vangelo di Marco scopriremmo che questo desiderio di ricongiungersi a Gesù può scaturire anche da un’inquietudine profonda che li ha assaliti: Marco tra i due brani dell’invio e del ritorno degli apostoli ha inserito il macabro racconto della decapitazione di Giovanni Battista, durante la festa di compleanno di Erode. Inizia ad apparire evidente ai discepoli che la sequela, la storia al seguito del Maestro si sta facendo seria; iniziano a prendere concretezza le parole che, fintanto che restavano parole, avevano anche il loro fasciano: lasciare tutto per il vangelo, perdere la propria vita a causa sua, dare la propria vita per i propri amici. Ma al momento del loro realizzarsi ... assumono un altro sapore.

In un modo o in un altro credo sia un’esperienza abbastanza comune, quella dell’entusiasmo iniziale nel fare una scelta, di lanciarsi in un’avventura che ha tutte le caratteristiche per riconoscerla umanamente buona, spiritualmente “secondo la volontà di Dio”: la scelta di sposarsi e fare dei figli, o quella di dar vita a un monastero, o quella di entrarvi, o quella di condividere la propria estate e la propria ricerca con quelle di altre persone ancora sconosciute… e chissà quante altre situazioni nelle quali la consapevolezza della bontà della cosa e la passione per realizzarla si trovano però ad un certo momento anche a fare i conti con il prezzo che comporta, con il rischio da assumere, con le conseguenti rinunce da accettare …

Ci aspetteremmo allora che il seguito del vangelo desse qualche indicazione per sostenere questa fatica, per portare il peso delle nostre scelte di vita, soprattutto quando ci appaiono chiaramente  “secondo Dio” e che di conseguenza meriterebbero uno sconto sul prezzo.

Pare invece che oggi Gesù non si voglia troppo immergere in questioni profonde, e che la questione spiccia si quella di mangiare, di soddisfare la fame sua e di quella dei suoi discepoli, visto che c’è un tale via vai di gente che non riescono più neppure a riservarsi il tempo di un pasto come si deve. Mangiare d’altra parte è una funzione vitale, è questione di vita o di morte, la fame in fondo esprime il desiderio di vita, la volontà di vivere.

Gesù allora organizza un ritiro con suoi discepoli, per dar loro uno spazio di attenzione e ascolto, per dar loro un tempo di riposo e di ristoro. Sarà un tempo per rifocillarsi, ma anche per dare un nome alla propria fame, per riconoscere di cosa si stanno nutrendo, qual è il loro cibo, il loro desiderio …

Ma le cose prendono un’altra piega, perché al luogo di approdo c’è di nuovo una grande folla che li attende; e Gesù, contrariamente al proposito iniziale di prendere un tempo di distanza da essa, si ferma a parlare e a intrattenersi con la gente.

Qual è allora in realtà la vera fame di cui Gesù è affamato? Il verbo greco che esprime la reazione di Gesù alla vista della folla dice un contorcimento intestinale, in sintonia con le viscere di misericordia che spesso i profeti hanno attribuito a Dio, capace di un amore viscerale, paragonato alla commozione di una madre per il figlio delle sue viscere (cfr Is 49,15). Gesù si commuove, prova compassione, il suo cuore si spalanca di fronte alla fame della gente, al desiderio di vita che l’ha spinta in quei luoghi deserti, nei quali di lì a poco i discepoli inizieranno davvero a preoccuparsi affinché possa avere un pezzo di pane.

Il vangelo non ci riporta gli insegnamenti che Gesù ha dato alla folla, né la meditazione che si era preparato per il mancato ritiro dei suoi apostoli. Ma è il suo atteggiamento, il suo stile accogliente e compassionevole che parla di lui e del suo insegnamento. In fondo sta dicendo che  ciò che lo sazia e che può offrire per tentare di colmare la fame degli altri è semplicemente la sua propria fame: che si può rispondere al desiderio di vita proprio e di chi ci sta accanto condividendo il nostro desiderio di vita, la nostra fame.

Il racconto prosegue, e lo vedremo nelle prossime domeniche, mostrando la fatica dei discepoli, che è la nostra fatica, a riconoscere quale sia il cibo che veramente sfama. Loro stimeranno necessari duecento denari per sfamare quella folla, Gesù mostrerà la sovrabbondanza che può scaturire dalla condivisione, dallo spezzare cinque pani e due pesci; mostrerà che è lo spezzare il proprio corpo, spalancare il proprio cuore che possono saziare il desiderio proprio e altrui, quando sono fatti in quello stile benedicente e compassionevole che accomuna alle viscere di misericordia di Dio.

fr. Amedeo


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