Omelia per la VI domenica di Pasqua (4 maggio 2024)

 


Nel vangelo di oggi c’è qualcosa che apparentemente stride con la nostra mentalità riguardo all’amore. Nel nostro tempo sembra che “amore” e “comandamento” si oppongano a vicenda. La parola “comandamento” evoca subito una certa costrizione e mancanza di libertà, mentre abbiamo dell’amore un’idea che rimanda a gioia, esaltazione, libertà di espressione, e, purtroppo, anche instabilità e fragilità. Sembra proprio che il comandamento o la legge sia la tomba dell’amore. Quindi la richiesta di Gesù apparentemente ci sembra contraddittoria, se non un po’ assurda “se mi amate, osservate i miei comandamenti” “se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore”. Ma è uno stridore solo apparente. Se riflettiamo bene, anche dal punto di vista semplicemente umano “l’amore ha i suoi comandamenti”.

   Nella tragedia di Romeo e Giulietta di Shakespeare c’è la famosissima scena del balcone. Dopo la festa in cui i due figli delle famiglie rivali si sono perdutamente innamorati, Romeo, a rischio della sua vita, ha scavalcato il muro di cinta del giardino dei Capuleti per poter rivedere l’oggetto del suo amore, e Giulietta sospira, affacciata al balcone che sovrasta quel giardino: “Romeo, Romeo, perché sei Romeo? Rinnega il tuo nome, o, se non vuoi, giurami eterno amore e io smetterò di essere una Capuleti”. Romeo sente queste parole, e quando Giulietta avverte la sua presenza nel giardino e gli chiede: “Chi sei?”, Romeo risponde: “Non posso dirti chi sono, perché il mio nome ti è odioso, se l’avessi tra le mie mani lo strapperei in mille pezzi … chiamami amore e io sarò ribattezzato!” il desiderio di Giulietta è divenuto comandamento per Romeo, al punto che è disposto a rinunciare alla sua famiglia e addirittura alla sua identità, e a questo comandamento egli obbedisce più che volentieri.

Anche per l’amore semplicemente umano, quindi, ci sono comandamenti non scritti che nascono  tra un uomo e una donna quando il loro amore è profondo e vero, soprattutto se consacrato nel Matrimonio, leggi che dicono reciprocità: “Se mi ami davvero non mi tradirai” “Cercherai di rendermi felice” “non mi nasconderai nulla” “Mi darai il meglio di te stesso, il tuo tempo, la tua attenzione, e provvederai a me e ai figli che verranno”, “rispetterai la mia persona e il mio parere, e cercheremo insieme la decisione migliore nelle piccole e grandi cose”. E quando si ama sul serio a questi comandamenti si obbedisce volentieri, quando invece diventano un peso o opprimono, vuol dire che l’amore si è indebolito o sta per finire.

    Se questo vale per l’amore umano a maggior ragione vale per l’amore di cui ci parla Gesù nel Vangelo. Tanto più se teniamo presente il contesto in cui queste parole sono pronunciate: l’Ultima cena, nella quale Gesù ha amato i suoi lavando loro i piedi e donandosi a loro nell’Eucaristia, portando così all’estremo limite - fino alla fine”-  la sua kenosi, la sua umiliazione e abbassamento. Se Romeo era disposto a rinunciare alla sua identità familiare, il Figlio di Dio non ha ritenuto un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio. Si è fatto nostro fratello nell’incarnazione, e qui si abbassa ancora di più: si fa “schiavo” dei suoi amici lavando loro i piedi, e proseguendo nel dono totale di sé, si fa anche loro cibo, anticipando la sua immolazione totale sulla croce, e istituendo in questo contesto, il memoriale perenne del suo sacrificio redentore di morte e di risurrezione.

   Il discorso immediatamente precedente, che abbiamo letto domenica scorsa, è perfettamente in linea con tutto questo: Gesù è la vite e i suoi discepoli sono i tralci. L’amore che li unisce è come la linfa che li alimenta perché portino molto frutto. Allora le espressioni di Gesù diventano chiare e coerenti. Lui per primo ama come comanda di essere amato e come insegna ad amare i fratelli: dando la vita per loro: “non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. E’ questo che trasforma il timore servile in amore reciproco: “non vi chiamo più servi, ma amici”, e allora amore e obbedienza diventano la stessa cosa, come nel rapporto di Gesù con il Padre. E tutto questo porta gioia, non oppressione. La gioia di essere stati scelti da lui per amare e obbedirci reciprocamente come Lui ama il Padre ed è da lui amato. “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”, la gioia che deriva dall’umiltà prodotta dalla constatazione che siamo indegni di tanto amore e tuttavia siamo chiamati a rispondervi imitandolo.

   Anche S. Benedetto ci ricorda che al vertice della scala dell’umiltà l’amore vince il timore e il monaco “corre per la via dei comandamenti divini, quasi naturalmente, non più spinto dal timore dell’inferno ma dall’amore di Cristo”. Tutto questo implica però un serio cammino di conversione, un passaggio vitale attraverso il mistero pasquale.

    E questo mette bene in risalto  quanto S. Giovanni ci ha detto nella seconda lettura “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per Lui”. Il comandamento nuovo datoci da Gesù: “Amatevi come io vi ho amato”, diventa la tessera di riconoscimento per eccellenza dei suoi discepoli: “Da questo vi riconosceranno, se avrete amore gli uni verso gli altri”. 

   E’ anche significativo ricordare qui un passaggio della lettera agli Efesini, ( Ef. 3,17-19) “Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. I due verbi radicati e fondati esprimono bene tutto questo: “radicati” come i tralci nella vite, come le membra di un solo corpo di cui Cristo è il capo; “fondati” come le pietre vive dell’edificio spirituale di cui ci parla la prima lettera di Pietro, cioè cementati nel vero tempio che è il Corpo di Cristo, nel quale si adora il Padre in Spirito e verità.

    In un mondo dove l’egocentrismo, il narcisismo e l’autonomia ad oltranza sembrano così diffusi, siamo tutti invitati a portare questa testimonianza rivoluzionaria, amandoci “gli uni gli altri perché l’amore è da Dio, e chi ama ha conosciuto Dio, perché Dio è amore!” e ricordando agli uomini del nostro tempo con la nostra vita e vivendo intensamente la nostra comunione fraterna in Cristo, ciò che ci insegna S. Bernardo: “La misura dell’amare Dio è amare Dio senza misura!”

                     

                                                                                                                          Fr Gabriele


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