Omelia per la solennità di Pentecoste (19 maggio 2024)

 


È sempre difficile parlare di Dio, poter dire qualcosa sui misteri divini che celebriamo, perché quanto possiamo dire è sempre e semplicemente un balbettare qualche piccola consapevolezza di una realtà che sicuramente è più grande di noi, che ci supera e la cui verità non la comprendiamo ancora. Ma piano piano il Signore ci guida e ci accompagna in questa comprensione e proviamo allora a coglierne alcuni aspetti mettendoci in ascolto della Parola di Dio che oggi ci è donata. 

 Gli Atti degli Apostoli ci narrano l’episodio della Pentecoste, questa irruzione dello Spirito Santo sulla vita dei discepoli cinquanta giorni dopo la Pasqua. Un evento che non è distinto dall’evento della Pasqua di Gesù, ma è in continuità, perché è il segno che quella vita divina che il Signore Gesù è venuto a donare agli uomini trova oramai dimora nel cuore di tutti i discepoli. Pentecoste allora è il frutto della Pasqua nella vita dei discepoli.

 Ma il rischio in cui possiamo incorrere ascoltando la narrazione degli Atti è quello di soffermarci sugli elementi un po' scenografici – le lingue di fuoco, la predicazione in lingue – pensando erroneamente che il dono dello Spirito Santo destinato anche a noi si debba manifestare con segni eclatanti, attraverso esperienze forti, coinvolgenti… il che potrebbe essere, ma forse questo dono potrebbe avvenire anche in modo più ordinario e non meno sconvolgente, ma che non meno trasforma le nostre vite.

 Ora dalla Parola di Dio di oggi colgo quattro spunti di riflessione che possono forse aiutare ad entrare nella contemplazione del mistero della Pentecoste.  

 Innanzitutto il desiderio di Dio! Pentecoste ancor prima che dono per i discepoli è espressione del desiderio di Dio: quello di abitare con gli uomini, di restare in relazione con noi, perché ogni uomo, ogni figlio di Dio dimori in Lui. È bello questo! Dio desidera, ha bisogno che noi partecipiamo a questa vita divina, siamo parte di questa vita divina. E come sempre, è Dio che fa il primo passo! Si dona, fa irruzione nella vita degli uomini!

Nella preghiera che Gesù rivolge al Padre la sera dell’ultima cena – riportata al capitolo 17 del vangelo di Giovanni - esprime con forza questo suo desiderio: che siano anch’essi in noi una cosa sola!

È il desiderio di Dio! Che tutti noi siamo uniti a Lui, e in Lui in comunione tra di noi! Ed è bello sapere che la nostra vita è custodita dal desiderio di Dio!

Pentecoste dunque è innanzitutto il compimento di questo desiderio di Dio: noi siamo in Lui e Lui trova dimora in noi.

 Un secondo spunto di riflessione che colgo dalla solennità di oggi viene dal fatto che l’unica cosa che è chiesta ai discepoli è di perseverare nella preghiera e dimorare nell’attesa. Per cinquanta giorni attendono lo Spirito promesso!

Ci verrebbe infatti da chiedere cosa bisogna fare per ricevere il dono dello Spirito Santo? Il rischio sarebbe quello di agitarsi volendo fare qualcosa come se dovessimo “guadagnare” o “meritare” il dono di Dio. Invece il Signore si dona ad una comunità di discepoli che esprime il suo desiderio di Dio rimanendo in una attesa orante. Una lunga attesa che ci ricorda che la vita divina non è a nostra disposizione, ma che la vita divina di cui abbiamo bisogno richiede solo disponibilità piena, come una terra preparata per la semina, come una vela spiegata che attende il soffio del vento. Agitarsi non serve a nulla, soffiare noi contro la vela non ci porta lontano, ma sicuramente adoperarci perché la vela sia tesa, che il campo sia arato è il modo che ci è dato per prepararci a ricevere il dono di Dio. Allora potremmo chiederci come alimentiamo nella nostra vita il desiderio di Dio? Cosa può significare nel concreto per noi lo “spiegare le vele” o il preparare la terra?

 Gli ultimi due spunti di riflessione che colgo dalla Parola di Dio di oggi mi sembra siano le conseguenze che il dono dello Spirito ha nella vita del discepolo, conseguenze che però al tempo stesso indicano l’orizzonte verso il quale poter cominciare ad incamminarsi, per provare a collaborare con la grazia e per prepararci a ricevere il Dono dello Spirito Santo.

 Un primo spunto lo colgo dal dettaglio riportato dagli Atti degli Apostoli: Le lingue di fuoco si posano su ciascuno dei discepoli, ed essi parlano una lingua che gli ascoltatori riconoscono come propria, sebbene siano ascoltatori di nazionalità differenti. Un linguaggio “familiare” compreso da tutti, nonostante la diversità delle lingue! E cosa può essere questo linguaggio familiare se non una vita pienamente umanizzata e umanizzante. Mi piace pensare che la “predicazione” dei discepoli possa essere avvenuta anche attraverso piccoli o grandi gesti di umanità compresi come tali da ogni lingua, popolo e cultura, senza bisogno di parole o di grandi discorsi. E credo proprio che il dono dello Spirito Santo non ci è dato perché la nostra vita si spiritualizzi, ma perché la nostra vita si umanizzi, divenga sempre più conforme all’umanità che Cristo ha assunto, ha voluto mostrarci e insegnarci!

Forse la bellezza di questa umanità l’abbiamo contemplata nella nostra vita incrociando vite di persone la cui umanità emanava luce, armonia…  volti trasfigurati che ci hanno testimoniato la bellezza di una vita piena in Dio. E per queste persone possiamo ringraziare il Signore!

Allora, consapevoli che il frutto dello Spirito è quello di una umanità rinnovata e una umanità piena, provare a porre atti di umanità potrebbe significare collaborare alla grazia e rendersi disponibili al dono dello Spirito Santo che porta a compimento in noi l’opera che desideriamo.

Un ultimo spunto di riflessione mi viene da un’altra conseguenza del dono dello Spirito Santo. Chi è abitato dallo Spirito è necessariamente aperto alla vita, perché dimora in lui una grande fiducia e ottimismo rispetto alla vita che sta dinanzi. Nel Vangelo Gesù parla della nostra storia con Dio, dello Spirito che ci verrà dato e che ci condurrà alla Verità. Tutti verbi che sono declinati al futuro (lo Spirito verrà, annuncerà, guiderà, parlerà) e che dunque ci provocano a custodire una fiducia nella vita che si sa essere accompagnata da Dio: lo Spirito conduce il cammino di ciascuno, aprendo strade, inventando cammini, scuotendo i torpori, creando cose nuove!

Facciamo esperienza dei nostri orizzonti molto limitati, di metri di giudizio che si rivelano poveri, riduttivi e basati solo sulle esperienze passate. Lo Spirito di Dio invece crea brecce e ci spinge in avanti: la Vita è davanti a noi, ben oltre le nostre consapevolezze. Sapere questo allora ci provoca e collaborare al dono dello Spirito significa osare sbilanciarsi, coltivare e custodire la fiducia in Dio.

Celebrando allora insieme questa Pentecoste chiediamo al Signore il dono di saperci sempre stupire del grande desiderio di Dio di voler entrare in comunione con noi, e dimorando perseveranti nella preghiera poniamo atti di umanità, fiduciosi che la vita divina renderà le nostre esistenze sempre più umane all’immagine di Gesù Cristo. Sia questa la nostra gioia, sia questa la nostra pace!

 

 

 

 


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