Omelia per la solennità di Pentecoste (19 maggio 2024)
È sempre difficile parlare di Dio, poter dire qualcosa sui
misteri divini che celebriamo, perché quanto possiamo dire è sempre e
semplicemente un balbettare qualche piccola consapevolezza di una realtà che
sicuramente è più grande di noi, che ci supera e la cui verità non la
comprendiamo ancora. Ma piano piano il Signore ci guida e ci accompagna in
questa comprensione e proviamo allora a coglierne alcuni aspetti mettendoci in
ascolto della Parola di Dio che oggi ci è donata.
Nella preghiera che Gesù rivolge al Padre la sera
dell’ultima cena – riportata al capitolo 17 del vangelo di Giovanni - esprime
con forza questo suo desiderio: che siano
anch’essi in noi una cosa sola!
È il desiderio di Dio! Che tutti noi siamo uniti a Lui, e in
Lui in comunione tra di noi! Ed è bello sapere che la nostra vita è custodita
dal desiderio di Dio!
Pentecoste dunque è innanzitutto il compimento di questo
desiderio di Dio: noi siamo in Lui e Lui trova dimora in noi.
Ci verrebbe infatti da chiedere cosa bisogna fare per
ricevere il dono dello Spirito Santo? Il rischio sarebbe quello di agitarsi volendo
fare qualcosa come se dovessimo “guadagnare” o “meritare” il dono di Dio.
Invece il Signore si dona ad una comunità di discepoli che esprime il suo
desiderio di Dio rimanendo in una attesa orante. Una lunga attesa che ci ricorda
che la vita divina non è a nostra disposizione, ma che la vita divina di cui
abbiamo bisogno richiede solo disponibilità piena, come una terra preparata per
la semina, come una vela spiegata che attende il soffio del vento. Agitarsi non
serve a nulla, soffiare noi contro la vela non ci porta lontano, ma sicuramente
adoperarci perché la vela sia tesa, che il campo sia arato è il modo che ci è
dato per prepararci a ricevere il dono di Dio. Allora potremmo chiederci come
alimentiamo nella nostra vita il desiderio di Dio? Cosa può significare nel
concreto per noi lo “spiegare le vele” o il preparare la terra?
Forse la bellezza di questa umanità l’abbiamo contemplata
nella nostra vita incrociando vite di persone la cui umanità emanava luce,
armonia… volti trasfigurati che ci hanno
testimoniato la bellezza di una vita piena in Dio. E per queste persone
possiamo ringraziare il Signore!
Allora, consapevoli che il frutto dello Spirito è quello di una umanità rinnovata e una umanità piena, provare a porre atti di umanità potrebbe significare collaborare alla grazia e rendersi disponibili al dono dello Spirito Santo che porta a compimento in noi l’opera che desideriamo.
Un ultimo spunto di riflessione mi viene da un’altra conseguenza del dono dello Spirito Santo. Chi è abitato dallo Spirito è necessariamente aperto alla vita, perché dimora in lui una grande fiducia e ottimismo rispetto alla vita che sta dinanzi. Nel Vangelo Gesù parla della nostra storia con Dio, dello Spirito che ci verrà dato e che ci condurrà alla Verità. Tutti verbi che sono declinati al futuro (lo Spirito verrà, annuncerà, guiderà, parlerà) e che dunque ci provocano a custodire una fiducia nella vita che si sa essere accompagnata da Dio: lo Spirito conduce il cammino di ciascuno, aprendo strade, inventando cammini, scuotendo i torpori, creando cose nuove!
Facciamo esperienza dei nostri orizzonti molto limitati, di metri di giudizio che si rivelano poveri, riduttivi e basati solo sulle esperienze passate. Lo Spirito di Dio invece crea brecce e ci spinge in avanti: la Vita è davanti a noi, ben oltre le nostre consapevolezze. Sapere questo allora ci provoca e collaborare al dono dello Spirito significa osare sbilanciarsi, coltivare e custodire la fiducia in Dio.
Celebrando allora insieme questa Pentecoste chiediamo al Signore il dono di saperci sempre stupire del grande desiderio di Dio di voler entrare in comunione con noi, e dimorando perseveranti nella preghiera poniamo atti di umanità, fiduciosi che la vita divina renderà le nostre esistenze sempre più umane all’immagine di Gesù Cristo. Sia questa la nostra gioia, sia questa la nostra pace!
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