Omelia della V domenica di Pasqua (28 aprile 2024)

 



 Gesù ci ha detto che Lui è la vite vera. Cosa vuole dirci con questo aggettivo “vera”? Spesso il popolo di Israele, il popolo amato dal Signore, che Lui volentieri chiama sua Sposa, è chiamato “vigna diletta”, ma talvolta esce anche un rimprovero: la vigna diletta, amata, curata con grande attenzione, ha deluso e invece di dare un vino buono ha prodotto uva selvatica. Questo tradimento ha fatto dire al Signore in Isaia parole amare: “Infatti la vigna del Signore degli eserciti è la casa d'Israele, e gli uomini di Giuda sono la sua piantagione prediletta; egli si aspettava rettitudine, ed ecco spargimento di sangue; giustizia, ed ecco grida d'angoscia!” Queste parole ci fanno capire l’importanza dell’aggettivo “vera” aggiunto a “Io sono la vigna” in questo discorso fatto, quasi come un testamento, durante l’ultima cena. Gesù è venuto perché ciò che è del Padre, amato e curato dal Padre, possa rispondere all’attesa e all’amore del suo Creatore. Gesù è la vite vera, quella che da sempre il Padre ha voluto e che l’uomo non ha saputo intrattenere e far fruttare come avrebbe dovuto. Lui è la vite che dà il buon frutto, un vino prezioso. Oggi Gesù dice che noi siamo i tralci, cioè quei rami che ricevono la vita e la linfa dal ceppo e che portano i grappoli e il frutto buono. È il compito dei discepoli di Gesù, un compito che non può essere portato a termine se non si rimane in totale dipendenza del ceppo, se non si rimane attaccati a Lui. “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca”. Sono parole chiare, che possono dare una grande consolazione e un coraggio a noi cristiani in un contesto in cui ci sembra di vacillare a ogni soffio di vento contrario. Dove possiamo trovare la forza per essere dei veri cristiani che portano un frutto buono, che disseta i nostri fratelli e sorelle assetati di vita e che rischiano di trovarsi in un deserto arido? Certo il compito è ben al di sopra delle nostre forza. Ma la parola di Gesù ci indica l’appoggio sicuro, la sorgente della vita e della vitalità, là dove potremo sempre attingere la linfa che ci fa vivere e portare frutto buono per i nostri fratelli e sorelle. Chi rimane in Lui porta molto frutto, chi non rimane in Lui viene gettato via come un tralcio tagliato dalla vite che necessariamente secca perché non ha dove attingere la forza vitale. Oggi Gesù ci dice qualcosa di capitale, che dobbiamo continuamente tenere nella mente e nel cuore, sorgente di coraggio e di vera umiltà: “Perché senza di me non potete far nulla”. Si può pensare che essere grandi significa fare da soli, non aver bisogno di nessuno. Grande sbaglio! L’essere insieme e il fare insieme è la grandezza della persona umana, che non è veramente tale se non entra in relazione. Questo non significa chiacchierare, ma costruire insieme, pensare insieme, mettere in comune le proprie intelligenze che servono per il bene comune. Gesù ce lo dice: da soli, senza di Lui, non possiamo costruire il futuro, ma solo scintille variopinte senza durata. In Lui Dio è sceso per dar vita alle nostre opere, non per annullarle o disprezzarle, ma per renderle vive. Lui è la Vita, la Vita che non tramonta, che risorge e fa risorgere, che attraversa la cultura di morte per dare la vita. San Giovanni ci ha detto che se non entriamo nell’amore non costruiamo nulla e l’amore chiede di essere in relazione. Possiamo auto-giudicarci e, in genere, dietro il velo della vanità ruggisce un giudizio feroce su noi stesso. Il nostro cuore non può salvarci. Ma “Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” e ci salva; conosce la bellezza nascosta e umile che ci abita ed è la cosa misconosciuta più grande che abbiamo. Allora possiamo fidarci di lui che collabora con noi. Se senza di lui non possiamo fare nulla, ricordiamo che: “Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui”. Rimanere in Dio è vivere, è respirare dello Spirito di Dio, è dilatare in noi l’amore che è Dio per avvolgere il mondo intero. Questo è il compito di quanti sono battezzati nella Pasqua di Cristo e sono dei risorti, portatori di Vita. Il passo degli Atti degli Apostoli che ci è proposto oggi ce lo fa comprendere. Pieni di fervore e di zelo i primi discepoli, come gli Apostoli, Barnaba ed altri, annunciavano Gesù risorto e davano speranza e gioia a una città umiliata e oppressa: ciò provocava invidia e persecuzione, tanto che coloro, che spiccavano per la loro predicazione più vigorosa e accesa, venivano minacciati di morte. Eppure gli Atti ci dicono che la piccola e primitiva “Chiesa era in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero”. Lo Spirito santo che era sceso su di loro non faceva percepire la persecuzione come un dramma, ma come luogo in cui i cuori potevano accendersi e gioire, tanto che nonostante tutto il numero cresceva. Fin dall’inizio la Parola di Dio è stata ed è come una spada che separa coloro che l’accolgono con gioia e coloro che vogliono farla tacere e lottano inutilmente contro. Per portare molto frutto i tralci vengono potati e di questo non dobbiamo avere paura, neanche ai giorni nostri. Il vignaiolo non smette di prendersi cura della sua vigna.

p. Cesare

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