Omelia della domenica VII del T.O. (19/02/2023 -Anno A-)

 


Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

Parola difficile quella che Gesù ci rivolge oggi! Parola carica di aspettativa e che potrebbe sembrare irraggiungibile. Eppure è l’amore che Dio ha per noi che spinge Gesù a rivolgerci questa parola impegnativa.  Ma chi di noi può pretendere di essere perfetto, o pretendere che gli altri siano perfetti? Ma cosa significa in fondo questa esortazione?

 

Se proviamo a interrogare questa pagina di Vangelo attraverso la Scrittura, ci rendiamo conto che Matteo mette sulla bocca di Gesù una espressione che ritroviamo anche in altri passaggi della Bibbia, sebbene citata con qualche piccola differenza.

Il nostro sguardo è attirato dalla parola “perfezione”, ma forse il punto di riferimento per noi è quel “come” che in diversi passaggi della Scrittura è ripetuto più volte. Infatti più volte si insiste sul “come” di Dio, seppure di volta in volta varia la “caratteristica” che descrive l’aspetto del mistero di Dio da imitare. Ed è in fondo questa “imitazione” di Dio, questo seguire i “suoi passi”, i “suoi comandamenti” che è la cosa più importante per vivere una vita felice.

 

 Nel libro del Levitico, come infatti abbiamo ascoltato, il “come” insiste sulla santità di Dio – “siate santi perché io, il Signore vostro Dio, sono santo” (Lv 19,2) -  e in un passaggio del Vangelo di Luca si insiste sulla misericordia – “siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36).

 

Invece nel Vangelo di Matteo che abbiamo appena ascoltato Gesù parla di “perfezione”, una parola un po’ scomoda, perché soggetta a interpretazioni che possono starci strette. Utilizzando questo termine il Signore desiderava esortare i suoi discepoli a vivere non tanto una vita senza sbavature - sebbene potrebbe essere auspicabile - ma una vita vissuta in pienezza, come persone pienamente realizzate, persone che vivono una vita che è portata a compimento (questo è il significato etimologico della parola), secondo il progetto di Dio. Insomma una vita felice!

 

 L’uomo, creato ad immagine di Dio, è chiamato a vivere in pienezza e non ad accontentarsi di vivere a metà.

Essere perfetti, vivere in pienezza come il Padre, ad immagine di Dio.

 

Ma cosa significa essere “perfetti” secondo Dio?

La perfezione alla quale Gesù ci invita è la perfezione dell’amore, una perfezione che non è e non si ferma alla sola reciprocità, ma che ha il suo fondamento nella sovrabbondanza. Gesù ce lo fa notare: “Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete?”.

Per certi aspetti la reciprocità può essere una cosa buona, ma rischia di limitarsi alla semplice buona educazione, o - in casi di privazione - a riparare dei danni subiti, preoccupandosi che la riparazione sia proporzionale al danno subito: “Occhio per occhio e dente per dente”.

Di certo questo non è un vivere in pienezza, ma piuttosto da contabili!

 

Il cuore di Dio invece va ben al di la dei numeri e delle misure. Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe abbiamo cantato nel Salmo. Egli perdona, guarisce, salva, circonda…

 

 In Lui c’è sovrabbondanza piuttosto che reciprocità. Nulla è negato a nessuno e i Suoi doni sono per tutti gli uomini. Ce lo ricorda Paolo: tutto è vostro (e ne parla non in modo esclusivo ma inclusivo!!): il mondo, la vita, la morte, il presente e il futuro… e noi siamo di Cristo… in questa verità sta il nostro benessere, la nostra felicità.

 

Il sole sorge sui buoni e sui cattivi e la pioggia che feconda la terra è per i giusti e per gli ingiusti. Egli non fa distinzione di persona. Dio è sovrabbondante nei Suoi doni non per buonismo, ma per amore. Lui stesso è la sorgente dell’amore e questa sorgente è infinita, non viene mai meno. Non teme di sprecare, perché l’amore di Dio è senza fine.

 

A volte o spesso possiamo cadere nella tentazione di credere che l’amore o il perdono che Gesù ci chiede di dare al nostro nemico, sia qualcosa di nostra proprietà, e che, donato, rischiamo di rimanerne privi. Invece quell’amore e quel perdono, al quale noi per primi attingiamo da Dio, proviene da una fonte inesauribile - il cuore stesso di Dio - e che più è donato e più si rigenera, se invece trattenuto ristagna, si esaurisce e marcisce.

Credere che l’amore e il perdono sia dovuto ad ogni essere umano, è credere che non siamo padroni di quell’amore e quel perdono sovrabbondante che attraversa le nostre vite, ma appartiene a quanti ci sono prossimi, sapendo che Dio non è avaro, ma mai si stancherà di donarci il Suo amore, di cui siamo certi di avere bisogno.

 

Tra qualche giorno entreremo nel tempo di quaresima, un tempo che più che “penitenziale” vuole essere un tempo in cui il nostro sguardo possa essere purificato per cogliere la grandezza della salvezza che Cristo è venuto a portare. In essa siamo invitati ad entrare per cogliere la grandezza di questo amore che ci conduce alla perfezione.

 

Rinnoviamo allora oggi la speranza in questo amore che ci salva e ci trasforma ed entriamo con fiducia in questo cammino di imitazione che porterà a compimento le nostre vite rendendole felici secondo il progetto di Dio.

 P. Emanuele

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