Omelia della domenica V del T.O. (05/02/2023 -Anno A-)
Il
Vangelo appena letto è la diretta prosecuzione di quello di domenica scorsa che
ci proclamava le Beatitudini all’inizio del cosiddetto discorso della Montagna,
e in quello spirito va letto. Se le beatitudini non sono un discorso morale e
non ci prescrivono dei comandamenti da osservare, ma sono il riconoscimento di
uno stato di vita inserito nello stile, nella persona e nella vita di Gesù, che
per primo le ha incarnate, così da avere i suoi stessi sentimenti e i suoi
stessi atteggiamenti nei confronti del Padre e dei fratelli e della vita in
genere, oggi si descrivono le “conseguenze” del nostro nostro divenire
“Cristiformi”: essere sale ed essere luce per il mondo.
Un anno dopo la mia ordinazione ebbi la
gioia di concelebrare insieme ai miei confratelli di sacerdozio con S. Giovanni
Paolo II nella sua cappella privata, e constati di persona come celebra la
Messa un Santo. Non avevamo avuto questa gioia subito dopo l’ordinazione,
purtroppo, perché Lui aveva appena subito l’attentato ed era in ospedale. Toccò
a me di leggere il Vangelo, e ricordo ancora l’emozione che mi suscitò: era il
Vangelo di oggi, e fui molto stupito dal fatto che toccasse a me di ricordare
al successore di Pietro la necessità di essere sale e luce, vivendo per primo
quanto è richiesto a ogni cristiano autentico.
Ma cosa significa essere sale (o lievito:
altra metafora analoga) o essere luce? E cosa vuol dire “perdere il sapore” o
“mettere la lampada sotto il moggio”?
Nella vicenda dei Promessi Sposi possiamo
intravvedere una risposta. Manzoni era un bravo catechista e da uno sguardo
anche alla Chiesa e alle specifiche vocazioni che la compongono, e soprattutto
al loro influsso le une sulle altre. Nella vicenda incontriamo due vocazioni
alla vita consacrata che hanno “perso il sapore” e sono Don Abbondio, che non
aveva un cuor di leone e che si lascia intimidire dalle minacce di morte
mettendo nei pasticci Renzo e Lucia, e abbiamo la monaca di Monza, una
vocazione forzata, una povera vittima degli interessi del rango e delle leggi
spietate della nobiltà dell’epoca. Quando i due promessi sposi hanno a che fare
con loro la vicenda si imbroglia e si complica in modo tale da impedire il loro
progetto matrimoniale. Trovano ostacolo nella realizzazione della loro
vocazione. Ma ai guai causati da questi due personaggi rimediano due vocazioni
riuscite, due consacrati che hanno conservato il sapore del sale e lo splendore
della luce di Cristo. E sono Padre Cristoforo, che rimedia ai danni causati da
don Abbondio e il Cardinal Federigo Borromeo, che ripara quanto la monaca di
Monza, povero strumento nelle mani di un amante senza scrupoli, aveva fatto di
male collaborando al rapimento di Lucia, che viene proprio liberata da lui
mediante la conversione dell’Innominato. E se spostiamo lo sguardo su due
figure di genitori vediamo Agnese, semplice donna di fede che collabora al
progetto vocazionale di Renzo e Lucia organizzando la famosa “notte degli
imbrogli” che fa da contrasto al padre della Monaca di Monza che non esita a
sacrificare la figlia alle leggi della nobiltà, del rango e degli interessi,
rendendola infelice pur di conservare unito il patrimonio di famiglia. Agnese
sa che Renzo e Lucia non le appartengono e fa di tutto perché siano felici
nella vocazione matrimoniale che hanno scelto. Il Padre di Gertrude considera
la figlia come “cosa sua” e viola la sua libertà di scelta forzandolo in una
vocazione che non è la sua. L’una, nella sua semplicità, conserva il sapore del
sale e lo splendore della luce, l’altro, oltre che essere contorto, oscuro e
insipido, causa danni, infelicità e scandalo nella Chiesa.
Anche S. Bernardo dice che nella Chiesa,
simboleggiata dalla casa di Betania, ci sono le Marte, le Marie (tutte le
vocazionei che declinano in modo diverso la via attiva e contemplativa) ma
anche i Lazzari che stanno passando dalla morte alla vita, ed è dovere di chi è
salato e luminoso aiutare con la propria vita chi ha perso sapore e luce.
Essere sale e luce, o lievito, significa
essere cristiani autentici, senza mezze misure, che portano all’uomo del nostro
tempo lo stile di Cristo perché vengono conformati a Lui dall’azione dello
Spirito Santo. Il sale e il lievito devono fondersi nella pasta, in un certo
senso “morire”, per darle sapore e farla fermentare. E la luce non si accende
per nasconderla, ma perché illumini tutta la casa e quanti in essi vi abitano,
come i talenti ricevuti, che vanno trafficati e non seppelliti sottoterra.
La prima cosa che ci è richiesta è di essere
quindi sempre più cristiformi, e poi, come Lui, incarnarci amando la chiesa e
l’uomo del nostro tempo, così com’è. Dando sapore e colore alla nostra vita in
Lui perché possa, attraverso di noi, dar sapore e illuminare la vita di tutti.
Sentirci figli amati dal Padre, innestati in Cristo vivo e strumenti dello
Spirito per rinnovare a sua immagine il nostro rapporto con ogni uomo che
incontriamo, e con l’intera creazione, vivendo intensamente il nostro essere
“chiesa in uscita” per il bene di tutti, sempre protesi verso la vita eterna.
La fede non è ostentazione, non è un tendere
a “essere migliori” per essere ammirati dagli uomini, ma un unirci sempre più a
Cristo, meditando la Parola e accostandoci ai sacramenti, e tanto intensamente
da permettergli di agire, amare, guarire e consolare in noi e attraverso di
noi. Per usare un’altra metafora che completa quelle che i vangelo ci presenta,
ognuno di noi dovrebbe emanare il dolce profumo di Cristo, che come la sua
luce, si fa presente anche a chi non vuol vedere o sentire. Mettendo in
pratiche l’esortazione finale del vangelo di oggi: “Così risplenda la vostra
luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e glorifichino il
Padre che è nei cieli”. E concludo con una frase di un altro romanziere,
Françios Mauriac, che può ben fare risaltare da sfondo al vangelo di oggi: “I
veri nemici della Chiesa non sono i suoi persecutori, ma i cristiani mediocri!”
Fr
Gabriele
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